Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 7 febbraio 2018, n. 2957. Il condomino ha il diritto di abbellire le aiuole comuni con delle piante

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6. Il tribunale di Cagliari con sentenza depositata il 30/07/2013 ha accolto l’appello, affermando l’erroneita’ della decisione di primo grado quanto al diniego della competenza, giacche’ la relativa questione era preclusa non essendo stata l’incompetenza tempestivamente eccepita dal convenuto, ne’ rilevata d’ufficio dal giudice. Nel merito ha ritenuto comunque sussistente la competenza del giudice di pace per materia (rientrando l’oggetto delle delibere assembleari nella previsione ex articolo 7 c.p.c., comma 4, n. 2)) e per valore (essendo preclusa la questione per mancato appello incidentale quanto alla Delib. 6 settembre 2010 e, quanto al petitum risarcitorio, avendo gli attori indicato il valore della controversia in una somma inferiore a Euro 5000). Ha dichiarato infine fondato l’appello nel merito, disponendo l’annullamento delle Delib. 21 maggio 2010 e Delib. 6 settembre 2010 siccome contrastanti con gli articoli 1102 e 1136 c.c., quanto rispettivamente alle decisioni concernenti l’uso delle aiuole e spazi comuni nonche’ la transazione della lite in assenza di maggioranza ove non poteva comprendersi il voto del signor (OMISSIS), e condannando il condominio al risarcimento dei danni per Euro 849,29 nei confronti del signor Sa battini per la rimozione e distruzione delle piante di sua proprieta’, oltreche’ alla somma, equitativamente determinata, di Euro 3.000, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.

7. – Avverso la predetta decisione il condominio ha proposto ricorso per cassazione, articolato su cinque motivi e illustrato da memoria. Hanno resistito i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il condominio deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione all’articolo 38 c.p.c., articolo 167 c.p.c., commi 1 e 2, articoli 311 e 320 c.p.c., sostanzialmente lamentando l’erroneita’ della statuizione del tribunale in ordine alla preclusione del rilievo dell’incompetenza, essendo stato esso tempestivo in quanto come prima udienza deve intendersi quella di prima effettiva trattazione alla quale si era costituito il condominio, non anche la precedente udienza di mero rinvio. Con il secondo motivo il condominio deduce poi violazione delle norme sulla competenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 2), in relazione all’articolo 7 c.p.c., lamentando sussistere l’incompetenza per materia del giudice di pace, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, non derivando dalle delibere adottate – quanto ai divieti e loro attuazione – una mera limitazione del diritto sulle parti comuni (come si confa’ alle controversie in materia di modalita’ o misura dell’uso dei servizi condominiali attribuite al giudice di pace) ma una radicale negazione di esso, con competenza del tribunale. Con il terzo motivo il condominio reitera la doglianza di cui al secondo, stavolta in relazione agli articoli 7 e 10 c.p.c., lamentando avere errato il tribunale, oltre che il riferimento normativo per fissare la competenza per valore, anche la qualificazione della domanda, di natura risarcitoria indeterminabile, per la cui limitazione non poteva valere la dichiarazione di valore di cui alla corresponsione del contributo unificato, avente mera valenza fiscale.

2. I tre motivi sono strettamente connessi; il secondo e’ infondato e il terzo e’ inammissibile, per cui il loro esser disattesi determina l’assorbimento del primo, concernente una ratio alternativa di decisione costituita dalla preclusione delle questioni di incompetenza.

3. In ordine al secondo motivo va data continuita’ alla giurisprudenza di questa corte, per la quale rientrano nella competenza per materia del giudice di pace tutte le controversie nelle quali siano in discussione i limiti quantitativi e qualitativi dell’esercizio delle facolta’ spettanti ai condomini, restando escluse solo quelle nelle quali si controverta circa l’esistenza (o l’inesistenza) del diritto stesso di usare le cose comuni per determinati fini. In tal senso, mentre ad es. e’ stata affermata la competenza del tribunale a conoscere della controversia avente ad oggetto la sussistenza o meno d’un divieto di far un determinato uso di spazi comuni, asseritamente imposto dal regolamento di condominio (Cass. n. 7547 del 31/03/2011), e’ stata ritenuta rientrare nella competenza per materia del giudice di pace la lite sulle modalita’ d’uso dell’area condominiale, come quando si discuta se essa sia utilizzabile per una determinata finalita’ (Cass. n. 21910 del 27/10/2015 relativa alla collocazione di tavolini e sedie). Nel caso di specie, si verte in una fattispecie della seconda tipologia, avendo le due delibere impugnate a oggetto il divieto di fare solo determinati usi di aree comuni.

4. In ordine al terzo motivo, poi, deve rilevarsi come, a sostegno dell’affermazione della competenza per valore del giudice di pace sulla domanda risarcitoria, la sentenza impugnata abbia posto due diverse rationes decidendi: una, oggetto del motivo, per la quale la parte avrebbe indicato a fini fiscali il valore inferiore a Euro 5.000, l’altra, sostanzialmente non impugnata (se non per stigmatizzare che la norma citata era quella dell’articolo 14 e non dell’articolo 7 c.p.c.), per cui “in mancanza di indicazione o dichiarazione la causa si presume di competenza del giudice adito” (cosi’ articolo 14 c.p.c., comma 1). Tale seconda ratio non essendo stata contestata, il motivo riguardante la sola ratio concorrente e’ inammissibile (cfr. ad es. Cass. n. 9752 del 18/04/2017).

5. E’ infondato, poi, il quarto motivo (indicato, per evidente refuso, con la lettera c) dopo che anche il precedente era indicato con la stessa lettera); con esso il condominio lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione all’articolo 1102 c.c., contestando che – nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito che regolamentare l’uso delle parti comuni vietando l’apposizione di vasi, essenze vegetali, materiali per il giardinaggio ecc. svilirebbe a tal punto il diritto di comunione sulle parti comuni da impedire l’uso di tutti i partecipanti su esse – vi sia stata affermazione di una regula iuris difforme da quella contemplata dalla citata disposizione.

6. In argomento, va premesso che la decisione del tribunale appare in continuita’ con la giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 27233 del 04/12/2013) per cui l’articolo 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile; ne consegue che, i suddetti limiti possono essere resi piu’ rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge (fermo restando che non e’ consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni).

Nel caso di specie, l’affermazione del tribunale, secondo la quale sarebbero illegittime (il tribunale adopera la categoria della nullita’, cio’ che non rileva ai fini dell’impugnazione – ma cfr. Cass. sez. U n. 4806 del 07/03/2005) le delibere in questione in quanto impedirebbero ai singoli condomini di porre proprie piante a dimora nelle aiuole comuni (con rimozioni di arbusti privati), ravvisando nelle delibere un intento emulativo e un abuso di maggioranza, con statuizione secondo cui sarebbe la piantumazione in questione espressione del diritto di ciascun condomino di migliorare l’uso delle aiuole ex articolo 1102 c.c., non contrasta con la retta interpretazione di questa norma, pur essendo eventualmente opinabile nel merito. In tal senso, sotto la veste di impugnazione per violazione di legge, il motivo si traduce in una istanza di riesame dell’apprezzamento fattuale operato dal tribunale, inesigibile da questa corte di legittimita’ al di fuori del sindacato sulla motivazione (oggi ridotto al “minimo costituzionale” dell'”omesso esame” di cui al testo del riformato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile alla presente controversia ratione temporis).

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