Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3086. Il conto corrente bancario, in quanto contratto di mandato, si scioglie per effetto del fallimento del correntista

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Infatti, l’eventuale configurazione della fattispecie della gestione d’affari altrui non muterebbe la sostanza economica dell’operazione, posto che l’unico “pagamento” effettuato dall’Amministrazione finanziaria in favore della societa’, gia’ dichiarata fallita, non avrebbe potuto determinare, in ragione delle concrete modalita’ di esecuzione, una proliferazione di atti solutori. Erroneamente, quindi, la corte di appello aveva ritenuto che il pagamento revocabile fosse quello effettuato dalla Banca al correntista e non, invece, quello che si era realizzato mediante l’accredito, da parte dell’Erario, sul c/c della societa’ fallita.

5. I prospettati motivi, esaminabili congiuntamente perche’ strettamente connessi, e dei quali va esclusa l’inammissibilita’ eccepita dalla controricorrente perche’ formulati in modo da consentire comunque a questa Corte di individuare agevolmente le ragioni delle formulate censure, sono infondati.

5.1. Giova premettere, quanto alla proposta azione L. Fall., ex articolo 44, che detta norma, ai commi 1 e 2, prevedendo, tra l’altro, l’inefficacia, rispetto ai creditori, degli atti compiuti dal fallito e dei pagamenti da lui eseguiti, nonche’ di quelli da lui ricevuti, dopo la dichiarazione di suo fallimento, costituisce un logico corollario della perdita della disponibilita’ dei beni acquisiti al fallimento stesso, di cui al precedente L. Fall., articolo 42, assicurando la par candido creditorum.

In proposito, si e’ correttamente osservato che l’inefficacia dei pagamenti L. Fall., ex articolo 44, che colpisce gli atti posti in essere dal fallito od eseguiti in suo favore dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, trova la sua ratio nella perdita, coeva al fallimento stesso, del diritto di disporre da parte del debitore, piuttosto che nel pregiudizio sofferto dai creditori, distinguendosi, pertanto, da quella accertabile con l’azione revocatoria, per cui la relativa azione e’ diretta a far dichiarare una nullita’ che si verifica di pieno diritto nei confronti del fallimento e dei creditori (cfr. Cass. n. 1979/1970. A conclusioni sostanzialmente analoghe perviene, in motivazione, la piu’ recente Cass. 30 marzo 2005, n. 6737): principio, questo, finalizzato, nella sua assolutezza, ad una efficace e diretta tutela della massa dei creditori.

L’azione promossa dal curatore, ai sensi della L. Fall., articolo 44, comma 2, ha, peraltro, natura autonoma rispetto al rapporto causale che ha determinato il pagamento (cfr. Cass. n. 20742 del 2015).

Pertanto, sotto il profilo giuridico, e’ affatto irrilevante l’eventuale buona fede del terzo, posto che la inefficacia di cui alla L. Fall., articolo 44 non e’ fondata su una presunzione di conoscenza della perdita, da parte del fallito, del potere di disporre del proprio patrimonio, ma costituisce una sanzione di carattere obiettivo, che prescinde dalla effettiva conoscenza, da parte del solvens, della intervenuta dichiarazione di fallimento del creditore. In altri termini, l’irrilevanza, agli effetti dell’inopponibilita’ alla massa dei creditori dei pagamenti fatti e/o ricevuti dal fallito, dello stato soggettivo di conoscenza del solvens, proprio in quanto necessario riflesso dell’assolutezza del suddetto principio, trova giustificazione nell’esigenza di tutela della massa dei creditori: trattasi, all’evidenza, di una scelta del legislatore non manifestamente irragionevole e, percio’ stesso, non censurabile sul piano della legittimita’ costituzionale (cfr. C. Cost. 23.6.1998, n. 234).

5.2. E’ poi utile ricordare che, come e’ palese, per effetto della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), nonche’ di quest’ultimo in proprio quale socio illimitatamente responsabile, pronunciata dal Tribunale di Trani il 24 ottobre 2001, il rapporto di conto corrente n. (OMISSIS), da detta societa’ intrattenuto presso la (OMISSIS) s.p.a., doveva considerarsi sciolto ipso iure ai sensi della L. Fall., articolo 78 (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche ad esso apportate dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006), sicche’ quanto su quel conto pervenuto a decorrere da quella dichiarazione doveva rifluire nella massa attiva fallimentare, laddove i pagamenti effettuati dopo quel momento con provvista pacificamente del fallito ivi esistente devono ritenersi inefficaci verso l’odierna Curatela controricorrente (cfr. Cass. 20 gennaio 1988, n. 407, secondo cui, “con riguardo a contratto di conto corrente bancario, la dichiarazione di fallimento del correntista comporta la risoluzione del contratto a norma della L. Fall., articolo 78, con la conseguente estinzione degli obblighi della banca per l’esecuzione del mandato inerente al conto corrente, nonche’ l’acquisizione alla massa del fallimento dei relativi accreditamenti, restando salva, giusta la L. Fall., articolo 42, comma 2, la detrazione delle sole spese per la tenuta e conservazione del conto corrente ma non dei pagamenti eseguiti dalla banca per conto del correntista successivamente al suo fallimento ed al conseguente venir meno della sua disponibilita’ delle somme depositate”).

In altri termini, secondo l’opinione prevalente della Suprema Corte, il conto corrente bancario, quale contratto, lato sensu, di mandato (consistendo il servizio di cassa che ne forma oggetto appunto nel ricevere, per conto del mandante, accrediti o nell’effettuare, per conto del medesimo, pagamenti), si scioglie per effetto del fallimento del correntista (cfr. L. Fall., articolo 78) e l’utilizzazione del conto, cioe’ le operazioni concretamente eseguite, gli ordini del correntista, i correlativi atti esecutivi della banca restano colpiti dalla sanzione di inefficacia di cui alla L. Fall., articolo 44 (cfr. sostanzialmente in tal senso Cass. 20 dicembre 2000, n. 16032, in motivazione; Cass. 20 gennaio 1988, n. 407).

Pertanto, le somme che la banca accredita al correntista, quale mandataria nel rapporto di conto corrente con questi intercorso, rimangono di pertinenza del fallimento e sono sottratte alla disponibilita’ del correntista fallito, sicche’, ove quest’ultimo, come nella specie, ne entri, cio’ malgrado, in possesso mediante le operazioni di prelievo pacificamente avvenute dopo il suo fallimento, si e’ in presenza di atti inopponibili alla massa dei creditori, cui la mandataria predetta e’ tenuta a versare l’intera provvista del conto, posto che la Banca, quale debitrice del correntista per le somme pervenute sul proprio conto, deve astenersi dall’estinguere, in tutto o in parte, il suo debito nei confronti del correntista medesimo – anche mediante pagamenti a persone da questi indicate – e ha l’obbligo di versare il relativo importo alla curatela. Conseguentemente, i pagamenti e/o gli atti estintivi del proprio debito verso il correntista eseguiti dalla Banca dopo il deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa del fallimento di quest’ultimo sono inefficaci nei confronti della procedura (cfr. Cass. 6 dicembre 1974 n. 4043; Cass. 14 maggio 1975 n. 1851; Cass. 7 luglio 1981 n. 4434; Cass. 21 marzo 1989 n. 1417; Cass. 2 marzo 1993 n. 2572). Ancora piu’ specificamente, come sancito da Cass. n. 26501 del 2013, i prelievi dal conto corrente bancario fatti dal correntista fallito (ed i pagamenti eseguiti dalla banca a terzi sullo stesso conto) sono, ai sensi della L. Fall., articolo 44, inefficaci verso i creditori, per cui la banca, nei confronti degli organi della procedura, non puo’ sottrarsi alla restituzione invocando l’uso fatto delle somme versate nel conto ed e’ tenuta a restituire quanto ricevuto dal fallito a qualsiasi titolo, senza poter dedurre dall’obbligo di restituzione – nei limiti delle somme ricevute – i prelievi ed i pagamenti eseguiti per conto del fallito, in cio’ differenziandosi dall’ipotesi regolata dalla L. Fall., articolo 42 che, ove le rimesse costituiscano proventi di un’attivita’ d’impresa (autorizzata), legittima la curatela a reclamare dalla banca la restituzione del solo saldo attivo del conto, corrispondente all’utile di impresa.

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