Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 27 novembre 2017, n. 5524. In riferimento alle tariffe del servizio idrico

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In tal senso, quindi, si devono condividere le deduzioni dell’amministrazione appellante, secondo le quali un soggetto siffatto può e deve rendersi conto di essere uno dei “soggetti competenti” i quali devono, come gestori, trasmettere alla Autorità i dati che esso richiede.

In tal senso, l’eventuale contenuto lesivo delle delibere con cui l’Autorità determina quali siano tali dati è immediatamente percepibile. Non è invece necessario, contrariamente a quanto afferma la sentenza impugnata, che la singola delibera vada a specificare in modo esplicito che fra i soggetti competenti vi sono i comuni gestori in economia del servizio idrico: rileva il mero fatto che tale servizio si gestisca, perché gli obblighi informativi sorgono per ciò solo, non in dipendenza dal fatto che il gestore sia un comune o un soggetto di diversa veste giuridica.

L’impugnazione di tali delibere, pertanto, va dichiarata inammissibile.

Va peraltro notato, per completezza, che l’accoglimento dell’eccezione non ha sostanziali riflessi sulla decisione di merito, dato che i motivi di ricorso in primo grado non rivolgono specifiche censure alle delibere di determinazione degli obblighi informativi in quanto tali, ma contestano, come subito si vedrà, la concreta applicazione che se ne è fatta nella determinazione di ufficio della tariffa.

4. Il terzo motivo di appello è a sua volta fondato.

Ricollegandosi a quanto appena esposto, si precisa che esso è autonomo dal motivo appena esaminato, perché riguarda non già le delibere a monte, di determinazione in via generale del contenuto degli obblighi informativi, ma la delibera a valle, che determina d’ufficio le tariffe sul presupposto che gli obblighi informativi stessi non sarebbero stati correttamente adempiuti.

In tal senso, il motivo in esame critica infatti l’affermazione della sentenza di primo grado, secondo la quale l’Autorità, prima di procedere in tal senso, avrebbe dovuto instaurare un contraddittorio con ciascuno dei gestori interessati, volto per ciascuno di essi a individuare quali fra i dati necessari fossero stati omessi e a sollecitarne l’invio.

La critica va condivisa.

La sentenza impugnata, come condivisibilmente evidenziato dalla difesa dell’amministrazione, muove da una ricostruzione non corretta dei poteri dell’Autorità, la quale -ai sensi dell’art. 3 comma 1 lettera f) del D.P.C.M. 20 luglio 2012 citato in premesse, che ne ha precisato le funzioni- “approva le tariffe del servizio idrico integrato” predisposte da altri, ovvero dal gestore, non è invece chiamata a determinarle in via diretta e ordinaria.

Va allora fatta una considerazione imposta anche dalla comune logica.

Come si è detto, il gestore del servizio -esclusa l’eventualità solo teorica in cui esso fornisca l’acqua gratuitamente- si fa pur sempre pagare determinate somme di danaro in cambio del servizio prestato agli utenti; sa quindi per definizione con quale metodo di calcolo tali somme vengano determinate ed è potenzialmente nella condizione di illustrarlo all’Autorità, così come essa richiede.

Si danno quindi due possibilità distinte, l’una alternativa all’altra.

Il gestore potrebbe in fatto seguire un metodo corretto secondo i criteri economici e secondo le norme vigenti, ovvero un metodo che prevede il recupero dei costi del servizio così come la legge impone. In tal caso, non vi è ragione per cui non dovrebbe essere in grado di adempiere a tutti i suoi obblighi informativi nei confronti dell’Autorità e ottenere da essa l’approvazione della tariffa come da lui predisposta.

Oppure, il gestore potrebbe seguire un metodo non conforme, che non garantisce il recupero dei costi, per esempio perché non si è curato di determinarli, o perché, pur conoscendoli, ha deciso, formalmente o informalmente, di determinare il prezzo dell’acqua in base a considerazioni extra economiche. In tal caso, è del tutto conseguenziale che egli non sia in grado di indicare all’Autorità i dati che essa richiede, o perché non li conosce, o perché, pur conoscendoli, ha deciso di ignorarli nel calcolo. Ciò però dipende da una scelta organizzativa che il gestore stesso ha compiuto, e può sempre modificare di propria iniziativa, senza bisogno che soggetti esterni, e in ispecie l’Autorità, gli diano indicazioni di sorta. Nel caso poi in cui non possa, o non voglia, farlo, si sarà verificata una delle ipotesi in cui, non essendo adempiuti gli obblighi informativi, correttamente si procederà alla determinazione d’ufficio.

Anche a prescindere dalle difficoltà pratiche che ciò comporterebbe, anche in questo caso correttamente evidenziate dalla difesa dell’amministrazione, non vi è quindi ragione perché l’Autorità debba attivare alcun contraddittorio con i singoli gestori, i quali, lo si ripete, sono i soggetti che istituzionalmente esigono il prezzo della fornitura e procedono ai calcoli a tal fine necessari.

5. In base a quanto fin qui esposto, risulta fondato anche il quarto ed ultimo motivo di appello.

Esso contesta l’affermazione della sentenza di primo grado, secondo la quale l’Autorità, prima di determinare la tariffa con il valore del theta fissato d’ufficio, avrebbe dovuto verificare la possibilità di determinarla in base a criteri reali, sulla base dei dati inviatile, per quanto formalmente non completi.

Le norme applicabili alla fattispecie, così come ritenuto anche dalla sentenza impugnata, sono il § 2.7 della delibera AEEGSI 347/2012 e il § 4.7 della delibera AEEGSI 88/2013.

Secondo il § 2.7 citato: “Fatta salva l’applicazione dell’articolo 20 comma 20 lettera c) della legge 481/1995” ovvero il potere di verificare che le esigenze degli utenti siano soddisfatte “la tariffa sarà determinata d’ufficio nei casi in cui: a) il gestore non fornisca in tutto o in parte i dati richiesti ai sensi del presente provvedimento, nel formato indicato dall’Autorità; b) il gestore non fornisca, in tutto o in parte, le fonti contabili obbligatorie che certificano gli elementi di costo e investimento indicati; c) il gestore non fornisca la modulistica di cui al comma 2.4 o la fornisca non corredata dalla sottoscrizione del legale rappresentante; d) risulti che il gestore ha indicato elementi di costo o di investimento superiori a quelli indicati nelle fonti contabili obbligatorie”.

E’ rilevante anche il successivo § 2.8, che demanda ad un successivo provvedimento di individuare “criteri per la determinazione d’ufficio delle tariffe… tali da disincentivare comportamenti opportunistici da parte dei gestori”.

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