Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 27 novembre 2017, n. 5524. In riferimento alle tariffe del servizio idrico

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La stessa legge Galli, all’art. 13, introduce infine il concetto di “tariffa” come corrispettivo del SII nel suo complesso, e stabilisce al comma 2 che essa sia determinata “tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”; in concreto, prevede al comma 3 che un’autorità centrale, all’epoca ministeriale, determini un “metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento… articolata per fasce di utenza e territoriali, anche con riferimento a particolari situazioni idrogeologiche ed in funzione del contenimento del consumo”; prevede poi, ai commi 5 e 6, che la tariffa sia determinata dagli “enti locali” e applicata dai “soggetti gestori”.

Per le gestioni transitorie, ovvero per quelle esistenti, come si è visto mantenute in attività in attesa dell’istituzione degli ATO, dispose invece l’art. 39 comma 29 della l. 23 dicembre 1998 n. 448, ovvero la legge finanziaria di quell’anno, nel senso che la tariffa fosse determinata per delibera del CIPE.

Il successivo d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, recante il testo unico delle leggi in materia ambientale, abroga la legge Galli e ne trasfonde i contenuti al proprio interno, con alcune precisazioni e modifiche. Infatti, all’art. 141 comma 2, riprende testualmente la nozione di SII, demandandone al successivo art. 148 la gestione ai citati ATO; all’art. 154 comma 1 ribadisce il concetto di tariffa e il principio per cui essa va determinata assicurando la copertura del costo pieno della gestione stessa; rende poi esplicito per la prima volta il criterio “chi inquina paga”, per cui, com’è noto, le attività maggiormente inquinanti devono essere disincentivate in termini economici, il tutto in conformità con la direttiva europea 2000/60/CE del Parlamento del 23 ottobre 2000, nel frattempo sopravvenuta.

Lo stesso d.lgs. 152/2006 prevedeva poi, per sommi capi, che la tariffa fosse determinata sulla base di componenti di costo determinate dall’autorità ministeriale su proposta di un’apposita autorità di vigilanza, prevista dall’art. 159 e mai entrata effettivamente in funzione.

A questo sistema, il successivo art. 10 comma 11 lettera d) del d.l. 13 maggio 2011 n. 70 convertito nella l. 12 luglio 2011 n. 106 sostituì l’intervento di un’apposita agenzia, da costituire a tal fine, che avrebbe dovuto definire le componenti di costo rilevanti, approvare il metodo tariffario in generale, nonché le tariffe predisposte dalle singole autorità competenti; tale agenzia però in concreto non venne mai costituita, perché tali competenze, con il successivo art. 21 comma 19 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 convertito nella l. 22 dicembre 2011 n. 214, vennero attribuite alla già esistente Autorità per l’energia, che assunse così la denominazione attuale, estesa appunto al SII.

La stessa AEEGSI, dopo che, con D.P.C.M. 20 luglio 2012 vennero individuate con precisione, così come previsto dal d.l. 201/2011, le competenze a lei trasferite, fra le quali appunto quella di approvare le tariffe, provvide, per quanto qui interessa, ad approvare il metodo tariffario per le gestioni “ex-CIPE”, ovvero per le gestioni transitorie di cui s’è detto, appartenenti ai Comuni o ad altri soggetti, con la delibera 88/2013 meglio indicata in epigrafe, che è appunto una di quelle impugnate.

A questo punto, sempre per chiarezza, vanno richiamate alcune nozioni di comune esperienza, nell’ambito dell’economia dei servizi pubblici, sulle concrete modalità con le quali si procede a determinare la tariffa del servizio idrico, ovvero in parole semplici il prezzo che il cittadino, consumatore o utilizzatore industriale, paga per l’acqua che sgorga dal rubinetto.

Com’è noto, il servizio idrico corrisponde ad un monopolio naturale, ovvero ad un’attività che per le sue caratteristiche intrinseche non si presta ad essere gestita da più operatori in concorrenza fra loro; caratteristica del monopolio è poi la sua relativa inefficienza rispetto ai sistemi concorrenziali, nel senso che l’attività gestita da un privato in monopolio, rispetto ad una situazione di concorrenza, porta sul mercato un quantitativo inferiore di prodotto ad un prezzo superiore; la differenza fra il prezzo di monopolio e quello di concorrenza genera poi la ben nota rendita monopolistica, di cui l’operatore privato si appropria nei confronti della collettività dei propri clienti.

Per rimediare a tale inefficienza sistemica, il nostro ordinamento segue un sistema ampiamente condiviso da buona parte degli economisti, ovvero configura il servizio idrico come servizio pubblico, gestito dall’autorità amministrativa, che come tale non riscuote profitti, ma si limita a recuperare i costi, eliminando il profitto di monopolio. Il ruolo dell’autorità pubblica in tal senso non è soltanto passivo, nel senso che essa non si limita a prender atto, se pure col solo intento di farli ripagare, dei costi esistenti, ma agisce positivamente, con l’intento di contenere i costi stessi, e i conseguenti prezzi per l’utenza, e di far recuperare produttività al sistema, non trascurando però i necessari investimenti.

In concreto, ciò avviene garantendo al gestore del servizio un ammontare predeterminato di ricavi, detto vincolo dei ricavi del gestore- VRG, che comprende, con sufficiente approssimazione, i costi degli investimenti da compiere, i costi della gestione normale, i costi della risorsa, ovvero dell’acqua come tale, i conguagli di cui si dirà e un importo a titolo di anticipazione per gli investimenti futuri.

Va notato, per completezza, che a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, il VRG non può più comprendere alcun importo riconosciuto al gestore come profitto sui propri investimenti, come risultato della volontà politica espressa in quella sede di mantenere la natura pubblica del servizio.

Sempre con sufficiente approssimazione, dividendo il VRG per il numero dei metri cubi di acqua che si prevede di erogare nel periodo di riferimento, si ottiene la tariffa media, che poi viene adeguata, in aumento o in diminuzione, alla situazione delle varie categorie di utenti, ad esempio facendo pagare alle famiglie l’acqua meno di quanto la paga un operatore economico.

In base a quanto esposto, la gestione del servizio in esame si caratterizza come un “business di contenimento dei costi”. I ricavi del gestore non dipendono dal venduto, ma sono determinati nella misura fissa del VGR, che egli iscrive a bilancio; la differenza, positiva o negativa, fra il VRG e i ricavi effettivi, superiori o inferiori, genera un conguaglio, che viene recuperato negli anni successivi, in sede di determinazione del VRG per ciascuno di essi.

E’ importante notare, per quanto poi si dirà, che tale conguaglio è fisiologico nel sistema, nel senso che si verifica regolarmente, nell’ipotesi del tutto normale di scostamento fra il VRG e il venduto. Differisce quindi dall’altro conguaglio possibile nel sistema, che si verifica nel caso patologico di determinazione d’ufficio del moltiplicatore theta di cui subito, cui segua una sua rideterminazione secondo dati reali.

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