Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 4 dicembre 2017, n. 5704. Le nuove fattispecie non sono applicabili retroattivamente alle procedure di cui al precedente Codice n. 163/2006

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8. In contrario rispetto a quanto finora rilevato non induce il richiamo, operato dal giudice di primo grado, alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 18 dicembre 2014, C-470/13.
E’ infatti vero che con questa pronuncia il giudice europeo ha stabilito che nell’ipotesi di «errore grave» commesso «nell’esercizio dell’attività professionale» previsto dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) «un’infrazione alle regole della concorrenza, in particolare qualora tale infrazione sia stata sanzionata con un’ammenda» (§ 35). Tuttavia, è altrettanto vero – come sottolinea il CNS – che la pronuncia è stata resa in un giudizio sorto su un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità con il diritto euro-unitario di previsioni legislative di uno Stato membro dell’Unione che attribuivano espressa rilevanza all’infrazione al diritto della concorrenza ai fini della partecipazione al procedure di affidamento di contratti pubblici. La questione esaminata dalla Corte di giustizia era dunque se potesse essere ricondotta alla nozione utilizzata dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE la fattispecie prevista dalla legislazione ungherese in materia di contratti pubblici, la quale consente alle amministrazioni aggiudicatrici di impedire la partecipazione a procedure di affidamento agli operatori economici che hanno commesso «un’infrazione connessa alla propria attività economica e professionale, e constatata con decisione giurisdizionale passata in giudicato al massimo cinque anni prima».
9. Invece, nel caso di specie questa “interposizione” legislativa interna difetta.
Se infatti nel caso esaminato dal giudice europeo si verteva su una causa ostativa incentrata sull’«infrazione connessa alla propria attività economica e professionale», espressamente prevista dalla legge nazionale, nel caso di specie l’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 si limita per contro a riprodurre la formulazione normativa della direttiva europea, attraverso la nozione di «errore professionale», non ulteriormente specificata.
La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che l’illecito anticoncorrenziale, rientrante nella causa di esclusione prevista dal legislatore interno, sia a sua volta riconducibile alla fattispecie dell’errore grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale prevista dalla direttiva. Ciò nell’ambito di un giudizio di conformità del diritto interno rispetto allo strumento normativo sovranazionale finalizzato ad armonizzare le legislazioni degli Stati aderenti all’Unione europea, condotto secondo il tipico approccio “funzionale” che contraddistingue il diritto di quest’ultima, ovvero incentrato sulla verifica della corretta attuazione sul piano interno delle finalità perseguite a livello europeo.
10. Nel caso del previgente codice dei contratti pubblici manca invece il presupposto normativo “interno” e cioè l’opzione espressa del legislatore nazionale nel senso di declinare la nozione europea nel senso di ricondurvi anche l’illecito antitrust.
A fronte di ciò l’indagine deve essere affidata ai comuni criteri di interpretativi delle leggi, sanciti dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi).
11. A questo specifico riguardo, la differente formulazione della norma italiana rispetto a quella ungherese esaminata dalla Corte di giustizia ha carattere sostanziale: quest’ultima si riferisce a violazioni di legge commesse nell’ambito dell’attività di impresa ed a vantaggio di questa; la seconda, nel limitarsi ad impiegare il concetto di «grave errore professionale», deve invece ritenersi limitata ad inadempimenti di obblighi assunti dall’impresa stessa nei propri rapporti contrattuali.
Quindi, va evidenziato che le intese restrittive della concorrenza non possono essere ricondotte all’attività professionale dell’impresa, ma costituiscono fatti illeciti commessi appunto a vantaggio di quest’ultima, in violazione delle norme a tutela del fisiologico esplicarsi delle attività economiche.
12. Pertanto, de iure condito – e più precisamente secondo il diritto vigente all’epoca dei fatti di causa – gli assunti della Te. non possono quindi essere condivisi, come peraltro ha precisato questa Sezione nella sopra citata sentenza 17 aprile 2017, n. 3505, sulla base del raffronto con l’attuale codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Infatti, premesso che l’art. 80, comma 5, lett. c), di quest’ultimo testo normativo include nei «gravi illeciti professionali» anche «il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio», come pure il fornire «informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», nel precedente in esame si è evidenziato che questa previsione ha carattere innovativo rispetto a quella del previgente codice e che la stessa non è pertanto estensibile in via retroattiva a procedure di affidamento soggette a quest’ultimo.
Alle medesime conclusioni deve quindi giungersi per la gara oggetto del presente giudizio, anch’essa bandita prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016.

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