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10.3.4. E’ fondata la censura rivolta avverso la previsione in regolamento di una fattispecie di illecito disciplinare (art. 2, comma 3, del d.m.: “Commette illecito disciplinare l’avvocato che spende il titolo di specialista senza averlo conseguito”).
A fronte dell’inequivoco disposto dell’art. 3, comma 3, della legge, che rinvia al codice deontologico per l’individuazione dei fatti di rilievo disciplinare, la norma regolamentare è illegittima se vuole ampliare l’ambito delle fattispecie rilevanti, superflua e illogica se non perplessa, e dunque parimenti da annullare, se intende riportarsi alle previsioni del codice deontologico specificandole. Fermo il rispetto del principio della tipizzazione delle condotte rilevanti in chiave disciplinare, la disposizione regolamentare, se così ricostruita, introdurrebbe non consentiti elementi di incertezza sulle conseguenze sanzionatorie dell’indebito utilizzo del titolo, poiché alla violazione dell’art. 65, comma 1, del codice, valorizzato dal T.A.R., segue l’avvertimento, mentre potrebbero egualmente essere richiamati le prescrizioni dell’art. 35 (“dovere di corretta informazione”) o dell’art. 36 del codice (“divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti”), alle quali sono collegate le diverse sanzioni della censura o della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale e che rimangono comunque pienamente applicabili una volta in concreto accertati i relativi presupposti.
10.3.5. Non ha pregio il motivo che mette in discussione l’intero impianto normativo del regolamento, ritenuto fonte di disparità di trattamento fra avvocati e di gravi distorsioni della concorrenza nonché imputato di violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza allo scopo, con conseguenze dannose per il cliente-consumatore, costretto a scegliere fra una pluralità di distinte figure professionali senza avere gli strumenti necessari per orientarsi. Sotto il profilo in questione, va pienamente confermata la statuizione del T.A.R., il quale ha bene osservato che la censura è generica e “si presenta in sostanza assertiva e comunque tesa, inammissibilmente, a contestare il merito delle scelte, non tanto regolamentari, quanto legislative”.
10.3.6. Del pari è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta, in via subordinata, avverso l’art. 9 della legge, che violerebbe l’art. 3 Cost. per avere introdotto una disciplina intrinsecamente irragionevole, contraria alla concorrenza e non rispettosa del bilanciamento degli interessi in gioco. Da un lato, infatti, è apodittica la tesi che i requisiti previsti per il conseguimento del titolo non assicurerebbero una particolare idoneità professionale, perché tanto non si può dire di parametri (i percorsi formativi e la comprovata esperienza) che sono suscettibili di essere contestati nel merito, ma non paiono di per sé irragionevoli. Dall’altro, neppure può essere seguita la censura che il sistema delineato dalla legge penalizzerebbe inammissibilmente i professionisti giovani, perché è ragionevole che la specializzazione sia un quid pluris e dunque richieda l’acquisizione e l’accertamento di competenze ulteriori rispetto a quelle certificate dalla sola iscrizione all’albo professionale.
10.4. Rigettato l’appello principale e accolto in parte l’appello incidentale, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti in ragione della parziale reciproca soccombenza.
11. (ricorso n. r.g. 2016/8740). L’appello dell’Amministrazione è infondato sulla scorta delle considerazioni espresse con riguardo agli appelli n. r.g. 2016/8715 e n. r.g. 2016/8716 e va perciò respinto.
11.1 Sono inammissibili i motivi riproposti dagli originari ricorrenti con la memoria depositata il 16 gennaio 2017 (pagg. 8 – 12) in quanto:
a) per i motivi accolti dal T.A.R. in relazione agli artt. 3 e 6 del regolamento, la riproposizione è superflua e costituisce solo una sintetica variatio delle difese avverso le censure svolte dall’Amministrazione con l’appello, che gli appellati espongono partitamente in altra parte della memoria (pagg. 3 – 8);
b) quanto ai motivi formulati in relazione agli artt. 7 e (implicitamente) 8 del regolamento, questi sono stati vagliati e rigettati dal T.A.R. (pagg. 5 ss. e 11-12 della sentenza impugnata), sicché avrebbero dovuto essere riproposti con appello incidentale tempestivo e non con semplice memoria non notificata e comunque tardiva rispetto al termine previsto dall’art. 101, comma 2, c.p.a. (deposito del 16 gennaio 2017 a fronte di una notifica perfezionatasi il 31 ottobre 2010).
11.2. Di conseguenza, in mancanza di tempestivo appello incidentale, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le censure proposte dai ricorrenti.
11.3. Come detto prima, la novità della controversia giustifica la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
12. In sintesi:
a) gli appelli dell’Amministrazione sono infondati e vanno respinti;
b) quanto all’appello n. r.g. 2016/8717, l’appello incidentale è parzialmente fondato – come meglio sopra esposto – e in questa parte va accolto, con riforma in parte qua della sentenza impugnata e corrispondente accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;
c) quanto all’appello n. r.g. 2016/8740, sono inammissibili i motivi proposti dagli originari ricorrenti in primo grado e riproposti in questo grado di appello;
d) le spese del presente (n. r.g. 2016/8715 e n. r.g. 2016/8740) o del doppio grado di giudizio (n. r.g. 2016/8717) possono essere compensate fra le parti; per ciò che concerne le spese dell’appello n. r.g. 2016/8716, nulla deve disporsi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta,
definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti:
a) respinge gli appelli dell’Amministrazione;
b) quanto all’appello n. r.g. 2016/8717, accoglie in parte l’appello incidentale nei limiti esposti in motivazione;
c) quanto all’appello n. r.g. 2016/8740, dichiara inammissibili i motivi proposti dai ricorrenti in primo grado e riproposti in questo grado di appello.
Per l’effetto, conferma le impugnate sentenze del T.A.R. Lazio n. 4427/2016, n. 4424/2016 e n. 4426/2016; riforma in parte la sentenza n. 4428/2016 e accoglie in parte quail ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
In ordine alle spese di giudizio:
a) quanto agli appelli n. r.g. 2016/8715 e n. r.g. 2016/8740, compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio;
b) quanto all’appello n. r.g. 2016/8717, compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio;
c) nulla dispone circa le spese relative all’appello n. r.g. 2016/8716.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Luca Lamberti – Consigliere
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