Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 28 novembre 2017, n. 5575. È illegittimo il decreto ministeriale n. 144/2015 che ha approvato il Regolamento per il conseguimento del titolo di Avvocato specialista

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8.6. La doglianza dell’Amministrazione, a detta della quale contenuti e modalità del colloquio dovrebbero essere desunti da una visione complessiva della normativa di settore, è sostanzialmente generica e va comunque oltre il segno là dove sostiene che “diversamente opinando sarebbe sufficiente dimostrare la comprovata esperienza mediante l’iscrizione all’albo e la documentazione numericamente contemplata dal regolamento unilateralmente ritenuta conferente allo scopo”. Ciò che fondatamente si contesta, infatti, non è l’adozione dello strumento prescelto dal regolamento (il colloquio), che è di per sé senz’altro ragionevole e legittimo, ma – esattamente al contrario – la circostanza che tale strumento abbia contorni nebulosi e indeterminati, anche perché l’attribuzione di competenza in materia al C.N.F. “in via esclusiva” (ai sensi dell’art. 9, comma 5, della legge) non può risolversi in una sorta di delega in bianco.

8.7. Di conseguenza, l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.

8.8. Vista la novità della materia controversia, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

9. (ricorso n. r.g. 2016/8716). Ancora in via preliminare, il Collegio rileva che, in mancanza di appello incidentale, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e, nel merito, hanno rigettato le censure proposte dagli originari ricorrenti.

9.1. L’art. 3 del regolamento elenca i settori di specializzazione nei quali l’avvocato può conseguire il titolo di specialista.

9.2. Il T.A.R. ha ritenuto la suddivisione delle specializzazioni palesemente irragionevole e arbitraria nonché illogicamente omissiva di determinate discipline giuridiche, e la sentenza resiste alle critiche che sono mosse con l’appello.

9.3. Come osserva il parere del C.N.F., l’elenco prende le mosse dalla tripartizione tradizionale fra diritto civile, penale e amministrativo. Tuttavia, esso poi dilata ampiamente il primo settore e non introduce nessuna differenziazione nell’ambito degli altri, laddove è ben noto che quanto meno il diritto amministrativo conosce sotto-settori autonomi nella pratica, nella dottrina e nella didattica, che – al pari di quelli del diritto civile – meriterebbero di essere considerati settori autonomi di specializzazione; mentre, per converso, appare discutibile, in termini di ragionevolezza, la analitica suddivisione per il diritto civile. In altri termini, la previsione regolamentare presenta una intrinseca incoerenza laddove sembra prescegliere criteri simmetricamente diversi nella individuazione delle articolazioni interne ai settori.

9.4. Non vale portare in contrario i pareri espressi dalla Sezione atti normativi del Consiglio di Stato (19 settembre 2014, n. 2871) e dal C.N.F. – come fa l’Avvocatura generale – per concludere che il regolatore si sarebbe integralmente adeguato alle indicazioni ricevute, perché i pareri si limitavano a segnalare un contenuto minimo del catalogo delle specializzazioni, facendo salve, quanto al resto, le scelte di merito dell’Amministrazione.

9.5. Né si tratta di sindacare nel merito, appunto, le opzioni del regolatore, ma di vagliarne la coerenza e la sostenibilità rispetto al metro della logicità e della ragionevolezza; vaglio che, come detto, non può che avere esito negativo.

9.6. Per l’impossibilità di ricostruire il criterio ordinatore dei settori di specializzazione contenuti nel regolamento, tale giudizio negativo implica un profondo ripensamento della disciplina introdotta con l’adozione di parametri che siano il frutto di una scelta di merito, ma che devono rispettare i criteri di effettività, congruità e ragionevolezza; né tale articolazione, se originariamente ritenuta incongrua, può essere corretta nella sede di modifica e aggiornamento riconosciuta al Ministro della giustizia dall’art. 4 del regolamento.

9.7. Segue da ciò che l’appello è infondato e va dunque respinto, con conferma della sentenza impugnata.

9.8. Nulla deve disporsi quanto alle spese di lite, non essendo costituiti in giudizio i ricorrenti in primo grado.

10. (ricorso n. r.g. 2016/8717).Ancora in via preliminare, il Collegio rileva che, in mancanza di appello incidentale sul punto specifico, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.

10.1. L’appello dell’Amministrazione è infondato, dovendosi richiamare le considerazioni espresse con riguardo agli appelli n. r.g. 2016/8715 e n. r.g. 2016/8716, e va perciò respinto.

10.2. Quanto all’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti, che ripropone integralmente i motivi di merito rigettati dal T.A.R., il Collegio respinge in primo luogo l’eccezione di irricevibilità opposta dall’Amministrazione sull’argomento che esso sarebbe tardivo per essere stato notificato oltre la scadenza del termine lungo di impugnazione della sentenza (il dato è incontestato in punto di fatto: notifica del 29 dicembre 2016 a fronte di una sentenza depositata il 14 aprile 2016, tenuto conto del periodo feriale).

10.2.1. L’Amministrazione non cita a proposito la decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 16 dicembre 2011, n. 24 (indi in senso conforme Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2013, n. 2837; sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5342) che, consapevolmente discostandosi dalla giurisprudenza formatasi prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ha affermato – per quanto qui interessa – che:

– l’impugnazione incidentale di cui all’art. 334 c.p.c. può essere proposta dalla parte in via subordinata all’accoglimento di quella principale o in via autonoma;

– tale impugnazione incidentale è tardiva, nel senso che è proponibile entro sessanta giorni dalla notificazione di altra impugnazione, anche se a tale data è decorso il termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o quello lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza; in definitiva, la notificazione di altra impugnazione sortisce l’effetto di rimettere in termini la parte che era decaduta dal termine di impugnazione breve o lungo;

– l’interesse a proporre impugnazione incidentale, ancorché autonoma, può sorgere in conseguenza dell’impugnazione principale;

– questo giustifica la possibilità di proporre impugnazione incidentale tardiva dopo la notificazione di quella principale ed entro un termine decorrente da quest’ultima;

– appare dunque giustificato lo spostamento del termine per l’impugnazione incidentale “tardiva” anche oltre il decorso del termine lungo, ovviamente per uno spazio massimo di ulteriori sessanta giorni (circostanza anche questa non contestata, in punto di fatto, nel caso di specie), atteso che l’impugnazione principale non può comunque essere notificata oltre l’ultimo giorno del termine lungo.

10.2. Inoltre, l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se proposta contro una parte della sentenza diversa da quella aggredita nell’impugnazione principale e su un capo diverso da quello oggetto di questa impugnazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2009, n. 6444; sez. III, 25 maggio 2010, n. 12714; sez. lav. 22 aprile 2011, n. 9308; sez. I, 16 novembre 2015, n. 23396; sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21304).

10.2.3. Non vale in contrario il precedente che l’Amministrazione invoca a sostegno della propria tesi (l’art. 334 c.p.c. si applicherebbe solo all’appello incidentale condizionato), che ha deciso una diversa fattispecie statuendo che un appellante principale non può avvalersi del termine lungo per impugnare quando altro appellante principale, con la notifica, lo abbia portato a conoscenza della sentenza di primo grado (Cons. Stato, sez. V, 27 luglio 2016, n. 3400).

10.2.4. Non vi è dunque ragione per ritenere tardivo l’appello incidentale degli originari ricorrenti, anche perché non ne è contestato l’avvenuto deposito entro dieci giorni dalla notificazione (4 gennaio 2017) nel rispetto dell’art. 96, comma 5, c.p.a.

10.3.1. Nel merito, l’appello incidentale è parzialmente fondato, nei termini che seguono.

10.3.1. La censura concernente il numero massimo di specializzazioni conseguibili è fondata non in sé, in quanto può essere opportuno frenare una “corsa alla specializzazione” che rischierebbe di svilire il valore della specializzazione stessa e di andare contro l’interesse del cliente-consumatore, ma alla luce della acclarata irragionevolezza della suddivisione relativa che individua ambiti contermini e settori affini, tanto da far apparire egualmente irragionevole la limitazione impugnata. E’ evidente che rivisitazione dell’elenco e individuazione di un limite ragionevole e congruo dovranno andare di pari passo.

10.3.2. Non hanno pregio le doglianze, variamente articolate (vedi meglio supra§ 5.7), che sostengono l’illegittimità dei requisiti prescritti dal regolamento per ottenere e mantenere il titolo di avvocato specialista poiché – come ha correttamente rilevato il T.A.R. – la normativa regolamentare discende direttamente dalla previsione dell’art. 9, comma 2, della legge (“Il titolo di specialista si può conseguire all’esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione”) e non appare irragionevole o immotivata la specificazione posta dall’art. 8, comma 1, del d.m. in relazione al rinvio alla fonte secondaria fatto dall’art. 9, comma 5, della legge. Del pari non appaiono irragionevoli i presupposti della revoca tenendo conto del necessario tratto dell’attualità della qualifica e dei connessi obblighi di formazione permanente, sui quali il primo giudice ha messo l’accento in termini del tutto condivisibili.

10.3.3. E’ infondato il motivo riguardante l’asserita illegittima attribuzione di competenze al C.N.F., perché le disposizioni regolamentari costituiscono corretto svolgimento della disciplina di legge, uno dei capisaldi della quale è proprio l’attribuzione in via esclusiva al C.N.F. della competenza al conferimento e alla revoca del titolo. La tesi dell’appello incidentale, secondo cui dall’impianto della legge risulterebbe un chiaro favor verso l’attribuzione di competenze ai Consigli degli Ordini territoriali, è enunciata ma non dimostrata e ha carattere generico.

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