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Nella resistenza dell’amministrazione comunale e dell’An., il TAR Salerno – premesso di non potere considerare le ulteriori ragioni di diniego rappresentate dalla p.a. nel corso del giudizio (relative alla circostanza che per il manufatto oggetto della richiesta di p.d.c. era pendente un procedimento di condono) – respingeva il ricorso, sulla base delle argomentazioni che possono essere così sintetizzate.
Doveva anzitutto considerarsi dirimente il fatto che “l’area di intervento ricade all’interno della fascia di rispetto della S.S. n. 19, ed il PRG di (omissis) nelle fasce di rispetto stradale consente la sola realizzazione di impianti per la gestione della rete stradale”.
L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal codice della strada (articoli 16, 17 e 18, del d.lgs. n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495/1992).
Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto stradale” – che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti – non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative.
Il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
Quanto, poi, alla circostanza che l’impianto progettato afferisce ad attività di soccorso stradale, rientrante tra quelle ammesse ai sensi del punto 7 della Circolare Ministero dei LL. PP., Direzione Generale Circolazione e Traffico n. 5980 del 30 dicembre 1970, il giudice di prime cure osservava che essa doveva essere rettamente intesa alla luce dei contenuti della giurisprudenza in materia.
Se, pertanto, potevano ammettersi – ove previsti negli atti di pianificazione comunale – insediamenti di attività svolte a beneficio della circolazione stradale e della sicurezza degli utenti (quali ad esempio parcheggi a raso, ovvero gli impianti di carburanti – questi ultimi, peraltro, conformemente alle prescrizioni del d.lgs. n. 32/98), a diverse conclusioni doveva pervenirsi in assenza di specifiche previsioni dello strumento urbanistico per impianti del tipo in oggetto, venendo quindi esclusivamente in rilievo la limitazione dello ius aedificandi di cui all’art. 26 del regolamento del Codice della Strada.
Nel caso di specie, lo strumento vigente nel Comune consentiva peraltro di realizzare solo opere funzionalmente e oggettivamente preordinate alla sola gestione della rete stradale.
Quelle progettate dal ricorrente invece (ovvero un corpo di fabbrica destinato per circa 250,46 mq di superficie netta a locali adibiti alla custodia degli autoveicoli e motoveicoli posti sotto sequestro dagli organi di polizia; per circa 27,55 mq destinato ad uffici di gestione e servizi; per circa 53,24 mq destinati a deposito, e per circa 65,88 mq di superficie netta destinati ad alloggio del custode), denotavano l’esistenza di un impianto produttivo “incompatibile ed estraneo” alla previsione urbanistica summenzionata, oggettivamente e funzionalmente connesso alle attività di sequestro, custodia e confisca amministrativa e “non necessariamente ma solo occasionalmente riconducibile all’attività di soccorso stradale”.
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