Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

ordinanza 9 febbraio 2016, n. 538

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 8312 del 2014, proposto da:

To.Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Maria Izzo, con domicilio eletto presso il medesimo difensore in Roma, via (omissis);

contro

Ente Parco Regionale dei Castelli Romani, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, via (omissis);

nei confronti di

Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma: Sezione II Quater n. 08744/2014, resa tra le parti, concernente diniego nulla osta al programma integrato di intervento in variante al P.R.G. – risarcimento del danno

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Regionale dei Castelli Romani;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’avv. Roberto Izzo e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri;

1. La società To.Im. ha acquistato nel Comune di (omissis) dei terreni, confinanti con altri destinati dal piano particolareggiato c.d. “Mo.” ad area direttamente edificabile con destinazione residenziale, con possibile rilascio del permesso di costruire per l’edificazione di un complesso commerciale-residenziale.

In relazione alle superfici acquistate (in parte destinate a verde pubblico, in parte edificabili, ma con diritti edificatori ceduti ai terreni confinanti), in data 5 aprile 2012 i proprietari dell’epoca, in seguito danti causa della società, hanno presentato un programma integrato di intervento – in variante sia del P.R.G. che del P.P. – per la variazione della destinazione da verde pubblico a residenziale e la realizzazione di un ulteriore complesso commerciale-residenziale.

L’Ente parco regionale dei Castelli romani, nel perimetro del quale ricadono alcuni dei terreni interessati dall’intervento, previo preavviso di rigetto ha negato il proprio nulla-osta con atto n. 6081 del 10 dicembre 2013.

La società ha impugnato il provvedimento, sostenendo che questo sarebbe stato adottato decorso il termine di sessanta giorni dalla ricezione della relativa richiesta, previsto dal combinato disposto dell’art. 28, comma 1, della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29, e dall’art. 13, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394. Si sarebbe dunque formato il silenzio-assenso, rispetto al quale l’atto adottato dall’Ente non avrebbe i requisiti formali e sostanziali dell’atto di autotutela. Il provvedimento sarebbe inoltre viziato per vizio di motivazione, difetto di istruttoria e di motivazione.

Con sentenza 6 agosto 2014, n. 8744, il T.A.R. per il Lazio, sez. II quater, ha respinto il ricorso. Il Tribunale regionale ha ritenuto che, a fronte delle oscillazioni giurisprudenziali, fosse decisiva nel senso della necessità del provvedimento espresso, trattandosi di immobile sottoposto a vincolo ambientale e paesistico, la recente modifica apportata all’art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. testo unico dell’edilizia) dall’art. 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98). Nella specie, inoltre, mancherebbe tutta la documentazione necessaria, sicché anche per questa ragione il silenzio-assenso non potrebbe darsi per formato. Sarebbero inoltre infondate le ulteriori censure.

La società ha interposto appello contro la sentenza e ha anche formulato una domanda cautelare, che la Sezione ha respinto con ordinanza 19 novembre 2014, n. 5334.

L’appellante ricostruisce anzitutto la complessa vicenda amministrativa, che ha coinvolto una pluralità di soggetti pubblici, e ritiene non corretta la lettura che il primo Giudice avrebbe fatto di parte della documentazione versata in atti.

L’appellante deduce i seguenti motivi di ricorso:

I) errata ricostruzione del quadro normativo vigente. Secondo la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la disposizione dell’art. 13, comma 1, della legge n. 394 del 1991 sarebbe tuttora in vigore in quanto, in virtù del principio di specialità, non superata dalla successiva novella al comma 4 dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241;

II) in concreto, il silenzio-assenso si sarebbe formato, perché l’Ente parco avrebbe richiesto la documentazione integrativa a termini scaduti e questa non sarebbe stata comunque idonea a congelare alcun termine, perché il nulla-osta paesaggistico richiesto dall’Ente non sarebbe stato un presupposto del parere vertendosi non in tema di rilascio di un permesso di costruire, ma di approvazione di una variante urbanistica;

III) formatosi il silenzio-assenso, l’Ente avrebbe potuto semmai avviare un procedimento di autotutela in vista di un annullamento d’ufficio a norma dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, mentre l’atto impugnato sarebbe privo dei relativi requisiti, sostanziali e formali;

IV) violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990. L’Ente non avrebbe preso in considerazione le controdeduzioni svolte dalla società una volta ricevuto il preavviso di diniego. Sul punto il T.A.R. avrebbe omesso qualunque decisione;

V) difetto di motivazione dell’atto. Il T.A.R. si sarebbe espresso in termini non corretti sulla dedotta genericità e non pertinenza della motivazione; il diniego sarebbe motivato del tutto genericamente e denoterebbe travisamento della natura dell’intervento.

L’Ente parco si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, senza svolgere difese.

All’udienza pubblica del 17 novembre 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

2. In via preliminare, il Collegio rileva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono considerarsi assodati i fatti oggetto di giudizio.

3. Il primo motivo dell’appello, nel quale si compendia il nucleo essenziale della controversia, consiste nel discusso avvenuto rilascio, per silenzio-assenso, del nulla-osta richiesto all’Ente parco.

Come detto, i termini della questione non sono controversi in punto di fatto. Si discute tuttavia quale sia norma applicabile alla vicenda.

La tesi dell’appellante è debba valere la disposizione dell’art. 13, comma 1, della legge n. 394/1991(espressamente richiamata dall’art. 28, comma 1, della legge della Regione Lazio n. 29/1997), il quale stabilisce che “il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato…”.

Il Tribunale territoriale ha ritenuto invece di dover far ricorso alla disposizione generale dell’art. 20 della legge n. 241/1990.

Questa recita:

“1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge”.

4. Fra le disposizioni ricordate intercorre un’antinomia, a sciogliere la quale le Sezioni di questo Consiglio di Stato hanno fatto ricorso a criteri differenti, pervenendo in tal modo a soluzioni opposte.

Un primo criterio di soluzione è stato individuato nel criterio di specialità (sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6591; adesivamente, sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3407).

La tesi sostiene che la speciale forma di silenzio-assenso, prevista a livello statale dall’art. 13 della legge n. 394/1991, non sia stata implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore della riforma della legge n. 241 del 90 (disposta con la legge n. 80/2005).

Infatti, il novellato art. 20 della legge n. 241/90 avrebbe in primo luogo inteso generalizzare l’istituto del silenzio assenso, rendendolo applicabile a tutti i procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, fatta salva l’applicazione delle ipotesi di denuncia di inizio attività, regolate dal precedente art. 19.

Rispetto a tale generalizzazione, il comma 4 dell’art. 20 avrebbe introdotto alcune eccezioni in determinate materie, tra cui quelle inerenti al patrimonio culturale e paesaggistico e l’ambiente, che riguardano non l’impossibilità in assoluto di prevedere speciali ipotesi di silenzio-assenso, ma l’inapplicabilità della regola generale dell’art. 20, comma 1.

In sostanza, la generalizzazione dell’istituto del silenzio assenso non potrebbe applicarsi in modo automatico alle materie indicate dall’art. 20, comma 4, ma ciò non impedirebbe al legislatore di introdurre in tali materie norme specifiche, aventi a oggetto il silenzio-assenso, a meno che non sussistano espressi divieti, derivanti dall’ordinamento comunitario o dal rispetto dei principi costituzionali.

Il dato testuale del comma 4 dell’art. 20 sarebbe chiaro: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente… “; l’eccezione riguarderebbe solo “le disposizioni del presente articolo” e non potrebbe essere estesa a disposizioni precedenti, aventi a oggetto il silenzio assenso, rispetto alle quali i commi 1, 2 e 3 dell’art. 20 della legge n. 241/90 nulla avrebbero innovato.

Tali disposizioni resterebbero, quindi, in vigore e, del resto, se, come appena detto, l’art. 20, comma 4, non impedisce l’introduzione di norme speciali, dirette a prevedere il silenzio-assenso anche nelle materie menzionate dal comma 4, non potrebbe che ritenersi che eventuali norme speciali preesistenti, quali l’art. 13 della legge n. 394/1991, restino in vigore.

Tale tesi, oltre ad essere conforme al dato testuale della disposizione, si porrebbe in linea con la stessa ratio della riforma della legge n. 241/90, che sarebbe stata quella di generalizzare l’istituto del silenzio-assenso. Sarebbe irragionevole ritenere che tale generalizzazione abbia comportato un effetto abrogante su norme, che tale istituto già prevedevano.

L’unico limite che le disposizioni speciali, quale quella di cui al citato art. 13, dovrebbero rispettare è quello derivante dai principi comunitari e costituzionali.

Tuttavia, sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, non si porrebbe in contrasto con principi costituzionali o con specifiche disposizioni comunitarie la previsione del silenzio-assenso per il rilascio del nulla osta dell’Ente parco, caratterizzato da un tasso di discrezionalità non elevato e destinato a inserirsi, in un procedimento, in cui ulteriori specifici interessi ambientali vengono valutati in modo espresso, come in concreto avvenuto nel caso di specie (autorizzazioni paesaggistiche, idrogeologiche, archeologiche).

5. Un diverso criterio di soluzione privilegia invece il canone cronologico della successione delle leggi nel tempo (sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5188; implicitamente, sez. III, 15 gennaio 2014, n. 119; sez. IV, ord. 19 novembre 2014, n. 5531).

Secondo questa prospettazione, entrambe le norme avrebbero la medesima natura procedimentale e verrebbero a disciplinare lo stesso istituto operante in materia di edilizia e ambienta; resterebbe, infatti, escluso che tra esse possa configurarsi un rapporto di specialità, poiché questo presupporrebbe un certo grado di equivalenza tra norme a confronto, ma che non potrebbe spingersi sino alla sostanziale identità tra le due discipline in contrasto.

In questo secondo caso, il prospettato conflitto tra due disposizioni, che, seppur con esiti opposti per l’istante, disciplinano il medesimo istituto procedimentale del silenzio-assenso, dovrebbe quindi essere risolto alla luce della successione nel tempo tra due norme generali e pertanto secondo il principio per cui la legge posteriore abroga la legge anteriore con essa incompatibile (art. 15 disp. prel. cod. civ.).

Non si potrebbe dunque far ricorso al principio di specialità, che postula l’equivalenza tra le norme stesse, ma dovrebbe necessariamente applicarsi il criterio cronologico, in base al quale la legge successiva prevale su quella precedente. Con la conseguenza che l’intervento dell’art. 20 della legge n. 241/1990, come successivamente modificato, determinerebbe che il regime del silenzio-assenso non trovi applicazione in materia di tutela ambientale: il diniego di nulla osta, pur sopravvenuto oltre il termine fissato dalla legge precedente, risulterebbe pienamente legittimo in quanto emesso in forza di un potere non consumatosi – in quanto esplicato nella vigenza della nuova legge – ed il cui esercizio, dunque, non presupporrebbe l’annullamento in autotutela di un precedente silenzio-assenso, viceversa inesistente.

6. Alla luce del contrasto giurisprudenziale rilevato, il Collegio ritiene opportuno sottoporre il ricorso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a norma dell’art. 99, comma 1, c.p.a.

Nel fare ciò, il Collegio non può non segnalare di reputare più fondata la seconda delle alternative prospettate, quella cioè per cui, a risolvere l’antinomia fra le disposizioni richiamate, debba farsi applicazione del criterio cronologico. E ciò, non solo per coerenza con l’orientamento della Sezione, ma anche alla luce delle considerazioni che seguono.

6.1. A sostegno della propria, analoga tesi, il Tribunale regionale ha richiamato anche l’art. 30 del c.d. “decreto del fare” (decreto-legge n. 69/2013, convertito con modificazioni nella legge n. 98/2013) che, modificando la disciplina per il rilascio del permesso di costruire (art. 20, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 – c.d. testo unico dell’edilizia) con l’introdurre il silenzio-assenso sulla domanda relativa, ha fatto salvi “i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui al comma 9”. Il quale comma 9 a sua volta prevede che “qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, il termine di cui al comma 6 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso, il procedimento è concluso con l’adozione di un provvedimento espresso…”.

A questa osservazione l’appellante replica osservando che la nuova norma opera solo in tema di rilascio di permesso di costruire e non con riferimento ad ambiti di diversa natura.

Tale replica è corretta, ma trascura il rilievo che il Collegio reputa debba darsi a un’innovazione normativa che, pur essendo complessivamente rivolta ad ampliare e non a restringere le ipotesi di silenzio-assenso in materia edilizia (come rileva ancora l’appellante), ha significativamente escluso dal proprio ambito gli interventi su beni assistiti da vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Se dunque la norma non è direttamente applicabile alla vicenda controversa, essa appare tuttavia indice non trascurabile di una linea di tendenza del sistema normativo, dalla quale non sembra lecito prescindere in sede di interpretazione e ricostruzione delle disposizioni vigenti.

6.2. Ad arricchire il quadro d’assieme, va anche rammentata la sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. – l’art. 1, comma 250, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, nella parte in cui prevede che “ l’autorità competente provvede entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda. Se detta autorità risulta inadempiente nei termini sopra indicati, l’autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi giorni, salvo revoca ” (sentenza 18 luglio 2014, n. 209). La Corte ha ritenuto che la disposizione impugnata violasse la competenza esclusiva statale in materia di ambiente (alla quale va ascritta la disciplina degli scarichi in fognatura) in quanto determinerebbe livelli di tutela ambientale inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge statale, segnatamente dall’art. 124, comma 7, del decreto legislativo n. 152/2006 – che fissa, invece, il termine perentorio di novanta giorni per la concessione dell’autorizzazione – e dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241/1990, che esclude l’applicabilità del silenzio-assenso alla materia ambientale.

Se ne potrebbe dedurre che la Corte legga l’art. 20, comma 4, citato, come portatore di una regola generale di governo della materia ambientale, ostativa all’applicabilità delle disposizioni sul silenzio-assenso, salve forse specifiche e motivate eccezioni, che dovrebbero però apparire chiaramente come tali e non essere affidate a un’operazione esegetica controvertibile e controversa.

6.3. Per completezza, sarà infine opportuno ricordare quella giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui la formazione di un silenzio-assenso in materia di paesaggio o ambiente si pone in contrasto con i principi comunitari che impongono l’esplicitazione delle ragioni di compatibilità ambientale, con l’adozione di eventuali prescrizioni correttive, sulla base di un’analisi sintetico-comparativa per definizione incompatibile con un modulo tacito di formazione della volontà amministrativa (cfr. sez. V, 25 agosto 2008, n. 4058).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Fabio Taormina – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 09 febbraio 2016.

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