Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 17 maggio 2018, n. 21958.
La massima estrapolata:
Il controllo di legittimita’ sulla motivazione delle ordinanze emesse a seguito di impugnazione di provvedimenti in materia di liberta’ personale e’ diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo, sia in ordine al collegamento degli indizi al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e alla valenza di tali indizi; sia in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari. Il controllo non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti ne’ la rilevanza e la concludenza del materiale probatorio. Occorre pero’ che il giudizio e gli apprezzamenti siano sostenuti da motivazione adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame o dell’appello cautelare, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, non puo’ essere sindacato dalla Corte di legittimita’ quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando alla Corte estranea la verifica della sufficienza della motivazione sulle questioni di fatto.
In altri termini, in tema di misure cautelari personali, allorche’ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale in sede di riesame o di appello cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze cautelari, alla Suprema Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita’ e ai suoi limiti, se il giudice del merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti e le esigenze cautelari rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Sentenza 17 maggio 2018, n. 21958
Data udienza 10 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere
Dott. MANCUSO Luigi F. – rel. Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
Dott. COCOMELLO Assunta – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/04/2017 del TRIB. LIBERTA’ di MESSINA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUIGI FABRIZIO MANCUSO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Dott. Gaeta Pietro, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 11/04/2017, il Tribunale di Messina, decidendo ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS) avverso il provvedimento in data 17/03/2017, con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina aveva applicato nei confronti del predetto la misura cautelare della custodia in carcere, avendolo ritenuto raggiunto, in presenza di esigenze cautelari, da gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato, descritto nel capo 33, di acquisto di sostanza stupefacente del tipo cocaina. Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal Giudice per le indagini preliminari e confermata dal Tribunale che la esponeva nel provvedimento benche’ la richiesta di riesame fosse riferita soltanto alle esigenze cautelari, gli indizi a carico di (OMISSIS) emergevano da una conversazione intercettata del giorno 01/05/2014, alla quale avevano preso parte (OMISSIS); (OMISSIS), definito dominus nella commercializzazione delle sostanze stupefacenti nel territorio messinese e gia’ condannato per il reato di associazione mafiosa quale partecipe al Clan (OMISSIS), sodalizio che aveva proseguito la propria attivita’ delittuosa secondo l’indagine in corso; (OMISSIS), ritenuto personaggio di spicco dell’associazione e definito dominus nel settore delle macchinette da gioco, gestito con metodo mafioso nel medesimo territorio. Secondo detta ipotesi, dalla conversazione emergeva che (OMISSIS), avendo precedentemente ricevuto da (OMISSIS) sostanza stupefacente del tipo cocaina e dovendo corrispondere il prezzo Euro 14.000,00 al fornitore che lo aveva schiaffeggiato e minacciato per ottenere il pagamento, si era rivolto a (OMISSIS), raccontando il fatto e chiedendo di prestargli l’importo o di intercedere presso (OMISSIS) perche’ glielo prestasse.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale rigettava la tesi difensiva, secondo la quale la circostanza che il fatto per il quale si procedeva era stato contestato come commesso “in epoca anteriore e prossima all’1.5.2014” valeva a ravvisare una continuita’ fra detta imputazione e quella relativa ad altro procedimento, in cui erano stati contestati ad (OMISSIS) reati in materia di stupefacenti, fra i quali il delitto associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. In detto procedimento era stata adottata, in sostituzione di quella piu’ afflittiva, la misura cautelare degli arresti domiciliari alla quale (OMISSIS) si trovava gia’ sottoposto nel momento in cui era stata eseguita nei suoi confronti la misura qui in esame. Secondo il Tribunale, gli elementi conoscitivi nuovi, emersi dalla captazione sopra ricordata, e in particolare la richiesta di aiuto avanzata a (OMISSIS) e a (OMISSIS) da (OMISSIS), ponevano a carico di quest’ultimo elementi rivelatori della sua contiguita’ all’associazione mafiosa, anche sulla base della rivendicazione di appartenenza resa da costui nel corso della conversazione. Il Tribunale riteneva, quindi, di superare le valutazioni in punto di adeguatezza degli arresti domiciliari operata nel distinto procedimento richiamato, e affermava, anche in considerazione della negativa personalita’ del ricorrente – gravato da precedenti penali e violatore degli obblighi derivanti dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza cui era stato sottoposto in passato – che la misura degli arresti domiciliari non avrebbe potuto impedire ad (OMISSIS) di mantenere rapporti con acquirenti e fornitori di sostanze stupefacenti, e cio’ neppure se fosse stato applicato il braccialetto elettronico, che si limitava a segnalare la violazione del divieto di allontanamento dal domicilio.
2. L’avv. Salvatore Silvestro, in difesa di (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione con atto depositato il 29/05/2017, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, richiamando l’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b), e), violazione di legge in relazione agli articoli 275, 275-bis e 292 c.p.p. e difetto di motivazione. La difesa aveva eccepito la nullita’ dell’ordinanza cautelare genetica, per mancanza di motivazione in ordine alla idoneita’ della misura cautelare degli arresti domiciliari con l’attivazione delle misure di controllo a distanza di cui all’articolo 275-bis c.p.p. Il Tribunale ha errato nel ritenere che la carenza di motivazione non costituisse vizio di motivazione e potesse essere integrata in sede di riesame. Il Tribunale non ha tenuto conto della sentenza delle Sezioni Unite n. 20769 del 28/04/2016, in base alla quale, in tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, il giudice deve sempre motivare sulla inidoneita’ della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, ove non si sia al cospetto di una ipotesi di presunzione assoluta.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alle ritenute esigenze cautelari e ai criteri di scelta della misura cautelare. Secondo il Giudice per le indagini preliminari, l’ (OMISSIS) e’ stato soggetto alla misura perche’ “dal contenuto delle conversazioni intercettate trapela una propensione dello stesso all’uso della violenza”. In realta’, la serena analisi delle emergenze indiziarie, come prospettata dal Tribunale del riesame, permette di affermare, senza possibilita’ di smentita, che il ricorrente ha subito violenza, senza reagire e senza raccogliere le altrui sollecitazioni delittuose, dal presunte fornitore dello stupefacente (OMISSIS). La scoordinata affermazione “gli sparo alle gambe”, esternata da (OMISSIS) al suo interlocutore nella conversazione intercettata, non puo’ essere utilizzata per la formulazione di un giudizio di pericolosita’ talmente pregnante da dover essere fronteggiato unicamente con la misura della custodia cautelare in carcere. L’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), cosi’ come novellato dalla L. n. 47 del 2015, impone per l’applicazione della misura di massimo rigore la sussistenza di un pericolo di reiterazione del delitto non solo concreto ma anche attuale. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, il requisito dell’attualita’, pur non costituendo una mera ripetizione di quello di concretezza, richiama necessariamente l’esigenza di elevata probabilita’ del suo verificarsi rispetto non gia’ all’occasione del delinquere, ma alla sua occasionalita’. In questo senso deve dunque ritenersi che il pericolo non e’ attuale se la condotta criminosa si appalesa del tutto sporadica ed occasionale, mentre sussiste laddove l’illecito possa ripetersi in ragione della personalita’ del soggetto, indipendentemente dalla imminenza della sua verificazione.
Il requisito puo’ individuarsi a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive ed immediate opportunita’ di ricadute, essendo necessario e sufficiente formulare un giudizio prognostico che, sulla base dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., si riconnetta alla realta’ emergente degli atti del procedimento ed alle valutazioni della persistente pericolosita’ che e’ dato trarne, dovendosi comunque effettuare una previsione correlata alla situazione esistenziale e socio-ambientale in cui l’indagato verra’ a trovarsi, nell’ipotesi in cui venga meno lo stato di detenzione. In tale contesto normativo e giurisprudenziale, occorre rilevare che l’indagato, nel momento in cui e’ stato raggiunto dal provvedimento restrittivo nel presente procedimento, si trovava sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, perche’ indagato in un diverso procedimento penale nel quale era stato ritenuto gravemente indiziato dell’appartenenza ad una associazione finalizzata al narcotraffico e di una serie di condotte sussunte nella previsione normativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo articolo 73, contestati come commessi in (OMISSIS), mentre nel presente procedimento e’ stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere perche’ gravemente indiziato di aver acquistato in epoca antecedente e prossima al giorno 01/05/2014 sostanza stupefacente del tipo cocaina da (OMISSIS). Dalla documentazione allegata alle memorie difensive depositate nel corso dell’udienza camerale di discussione della disattesa richiesta di riesame, emerge che la sostanza indicata nell’imputazione provvisoria non e’ altro che lo stupefacente ceduto, in tutto o in parte, ai partecipi del sodalizio operante fra (OMISSIS), oggetto di accertamento nel diverso procedimento penale. Secondo il provvedimento qui impugnato, tali circostanze non valgono a far ravvisare, sul piano cautelare, una continuita’ fra le due imputazioni formali o carattere sostanzialmente unitario alle relative vicende processuali. Ma e’ pretestuosa e fuorviante l’affermazione in base alla quale la scelta della custodia cautelare adottata nel presente procedimento possa trovare giustificazione nella vicinanza di (OMISSIS) al sodalizio criminoso Clan (OMISSIS). Il Tribunale ha omesso di considerare che nel presente procedimento e in quello richiamato non e’ stata accertata alcuna transazione illecita fra (OMISSIS) e (OMISSIS), benche’ quest’ultimo, ritenuto promotore dell’associazione di stampo mafioso oggetto di indagine, sia stato raggiunto da un giudizio di gravita’ indiziaria per plurimi episodi di cessione di sostanze stupefacenti accertati nel presente procedimento e sia stato condannato, quale dirigente e organizzatore di un’associazione finalizzata al narcotraffico operativa in un contesto temporale coevo e prossimo a quello oggetto dell’indagine qui in esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi, da trattare congiuntamente perche’ connessi, sono infondati.
1.1. E’ opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza, il controllo di legittimita’ sulla motivazione delle ordinanze emesse a seguito di impugnazione di provvedimenti in materia di liberta’ personale e’ diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo, sia in ordine al collegamento degli indizi al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e alla valenza di tali indizi; sia in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari. Il controllo non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti ne’ la rilevanza e la concludenza del materiale probatorio. Occorre pero’ che il giudizio e gli apprezzamenti siano sostenuti da motivazione adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame o dell’appello cautelare, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, non puo’ essere sindacato dalla Corte di legittimita’ quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando alla Corte estranea la verifica della sufficienza della motivazione sulle questioni di fatto (Cass. Sez. 1, sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv. 210566; Cass. Sez. 2, sent. n. 56 del 7.12.2011 dep. 4.1.2012, rv. 251761; Cass. Sez. 4, sent. n. 26992 del 29.5.2013 dep. 20.6.2013, rv. 255460). In altri termini, in tema di misure cautelari personali, allorche’ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale in sede di riesame o di appello cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze cautelari, alla Suprema Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita’ e ai suoi limiti, se il giudice del merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti e le esigenze cautelari rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. Fer. n. 47748 dell’11.8.2014, rv. 261400).
1.2. Cio’ posto, occorre rilevare, con riferimento al caso concreto, che il vaglio logico e puntuale delle risultanze processuali operato dal Tribunale, in sede di riesame cautelare, non consente a questa Corte di legittimita’ di muovere critiche, ne’ tantomeno di operare diverse scelte in punto di fatto. Le osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione
della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicita’ della stessa. Nella sostanza, le censure, al di la’ dei vizi formalmente denunciati, recano, sul punto oggetto dell’impugnazione, relativo alle esigenze cautelari e alla scelta della misura in concreto adottata, considerazioni in fatto relative all’interpretazione degli elementi istruttori, ma in questa sede non e’ ammesso un intervento che si sovrapponga ai contenuti della decisione adottata dal giudice del merito.
Il Tribunale ha attentamente analizzato le risultanze disponibili e ha spiegato – senza incorrere in alcun errore di diritto – che la contiguita’ di (OMISSIS) all’associazione mafiosa suddetta induce, pur in assenza di formale contestazione sul punto da parte del Pubblico Ministero, a giudicare in modo autonomo la vicenda cautelare rispetto alla valutazione resa in diverso procedimento da altro giudice, le cui indicazioni sull’adeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari vanno superate in considerazione della maggiore pericolosita’ espressa dai fatti; che la misura cautelare degli arresti domiciliari non impedirebbe ad (OMISSIS) di mantenere rapporti con acquirenti e fornitori di sostanze stupefacenti, ne’ sarebbe idonea a recidere i collegamenti con il sodalizio mafioso che rappresenta per l’indagato un punto di riferimento; che l’applicazione del braccialetto elettronico non scongiurerebbe i pericoli in parola, poiche’ detto dispositivo si limita a segnalare la violazione del divieto di allontanamento dal luogo degli arresti; che osta ad una prognosi di affidabilita’, alla osservanza delle prescrizioni connesse alla misura degli arresti domiciliari, la negativa personalita’ del ricorrente, gravato da precedenti penali e violatore degli obblighi derivanti dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza cui e’ stato sottoposto in passato.
In definitiva, lo sviluppo argomentativo della motivazione posta a sostegno dell’ordinanza qui impugnata, esauriente ed immune da vizi logici, e’ basato su una coerente analisi critica degli elementi disponibili e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, in modo tale da costituire una rete articolata di ragionamenti costituenti risposta adeguata alle deduzioni difensive.
Detta motivazione, quindi, supera il vaglio di legittimita’ demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi, come sopra anticipato, alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformita’ ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
Di contro, le censure esposte nel ricorso in trattazione propongono una non consentita rilettura dei dati acquisiti e una parimenti non
consentita rinnovazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalita’, effettuato dal giudicante, in realta’, in modo rispettoso del disposto normativo. Le doglianze espongono, infatti, riflessioni pienamente superate dalle assorbenti osservazioni del provvedimento.
2. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Va disposta la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
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