In relazione alla configurabilita’ del delitto di tentato omicidio

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 17 maggio 2018, n. 21947

La massima estrapolata:

Ai sensi del combinato disposto degli articoli 56 e 575 c.p., la fattispecie contestata al capo a) ricorre nel caso in cui l’agente abbia posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di una persona.
I due requisiti della idoneita’ degli atti e della non equivocita’ degli atti vengono ricostruiti, dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo ormai consolidate coordinate sistematico-interpretative.
La prima nozione rinvia alla capacita’ della condotta posta in essere dall’agente di realizzare il risultato tipico, costituito dal reato consumato; capacita’ che viene valutata alla stregua del paradigma della cd. prognosi postuma a base parziale. In altri termini, successivamente al mancato verificarsi della consumazione, deve essere esperito un tipico giudizio controfattuale, realizzato riportando la sequenza criminosa al momento della estrinsecazione della condotta e ipotizzando se fosse probabile, in tale frangente, la verificazione del risultato tipico voluto, assumendo quale base del giudizio in questione il complesso delle circostanze conosciute o conoscibili dall’agente in quella fase dell’iter criminis.
Quanto, invece, alla nozione di univocita’ degli atti, la soluzione ricostruttiva qui accolta richiede la realizzazione non gia’ di atti esecutivi veri e propri, ma anche eventualmente di quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilita’ di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sara’ commesso a meno che si verifichino eventi non prevedibili, indipendenti dalla volonta’ del reo, che ne impediscano la realizzazione.

Sentenza 17 maggio 2018, n. 21947

Data udienza 19 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 6/04/2016 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, Dott. Di Leo Giovanni, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi, per (OMISSIS) e (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Brescia in data 11/11/2015, emessa all’esito del giudizio abbreviato, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati, con la diminuente del rito: il primo, con la recidiva, alla pena di nove anni e quattro mesi di reclusione, il secondo e il terzo a quella di cinque anni e quattro mesi di reclusione in quanto riconosciuti colpevoli dei reati di tentato omicidio di cui agli articoli 56 e 575 c.p. (capo a), di tentata rapina aggravata di cui all’articolo 56 c.p., articolo 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1 (capo b), di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo di cui all’articolo 61 c.p., n. 2, articolo 110 c.p. e L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4 e 7 (capo c), nonche’ del delitto di ricettazione dell’arma in questione, risultata provento di furto. Con lo stesso provvedimento, i tre imputati erano stati condannati in solido al risarcimento dei danni, in favore della parte civile costituita, (OMISSIS), da liquidarsi nel separato giudizio civile, con il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva di 20.000 Euro, da imputarsi al danno non patrimoniale.
Secondo quanto accertato dal primo giudice, infatti, in data (OMISSIS), i tre imputati avevano realizzato un tentativo di rapina, cercando di impossessarsi del danaro contenuto nella cassa e nella cassaforte della sala slot (OMISSIS) sita in (OMISSIS), con violenza consistita nel puntare una pistola semiautomatica calibro 6.35 e un coltello all’indirizzo della cassiera. Nel corso della tentata rapina, inoltre, una delle persone presenti, il brigadiere (OMISSIS), era intervenuto, ingaggiando una colluttazione con (OMISSIS) e colpendolo con il calcio della pistola d’ordinanza. L’imputato, dal canto suo, aveva esploso un colpo di arma da fuoco all’indirizzo del militare, il quale si era improvvisamente scostato ed era stato attinto soltanto nel giubbino, in prossimita’ della spalla. Quindi, (OMISSIS) aveva cercato di colpirlo nuovamente, dopo avere armato la pistola una seconda volta ed averla puntata all’indirizzo della persona offesa, senza peraltro riuscirvi a causa dell’improvviso inceppamento dell’arma; ed anche un ulteriore tentativo di esplodere un colpo all’indirizzo del viso del militare non era riuscito, sempre per l’inceppamento dell’arma.
I tre componenti del gruppo criminale si erano, quindi, dati alla fuga senza riuscire a portare a termine la rapina; e mentre (OMISSIS) era stato bloccato da (OMISSIS) dopo un breve inseguimento, gli altri due erano stati successivamente tratti in arresto presso una struttura ospedaliera ove si erano recati a causa delle ferite riportate da (OMISSIS) nella colluttazione.
1.1. All’esito del giudizio abbreviato, era stata affermata, a carico dello stesso (OMISSIS), la piena responsabilita’ per i delitti di tentato omicidio, tentata rapina aggravata, detenzione e porto illegali di arma da sparo. Viceversa, nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), la responsabilita’ per il delitto di tentato omicidio era stata affermata soltanto a titolo di “concorso anomalo”, tenuto conto della programmata esecuzione della rapina con l’uso di armi e con la prevedibilita’ che, in caso di reazione di taluno degli avventori del locale, fosse necessario ricorrere alla pistola; e tuttavia, nei confronti dei due imputati era stata riconosciuta l’attenuante speciale di cui all’articolo 116 c.p., comma 2.
Nei confronti di tutti gli imputati, il primo giudice aveva escluso il riconoscimento delle attenuanti generiche.
2. Con sentenza emessa in data 6/04/2016, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ne dichiaro’ la nullita’ in relazione alla condanna per il delitto di ricettazione, in quanto mai contestato, rilevando altresi’ l’assorbimento, nei confronti dei soli (OMISSIS) e (OMISSIS), del delitto di detenzione illegale in quello di porto illegale dell’arma da sparo, per l’effetto rideterminando la pena per i tre imputati, nei seguenti termini: nove anni di reclusione per (OMISSIS) e quattro anni, undici mesi e venti giorni di reclusione per (OMISSIS) e (OMISSIS).
Nel resto, le statuizioni, penali e civili, della pronuncia di primo grado, erano state confermate. In particolare, anche la Corte di appello aveva ritenuto che non potesse plausibilmente ritenersi che (OMISSIS) non avesse avvertito i due complici della disponibilita’ dell’arma, avuto riguardo alla natura del reato di rapina e alla circostanza che esso comunemente esiga un previo accordo, tra i compartecipi, delle sue concrete modalita’ esecutive.
3. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione i tre imputati, deducendo una serie di distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Con il proprio ricorso, presentato personalmente, (OMISSIS) deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B) ed E), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al riconoscimento del cd. concorso anomalo di persone nel reato nonche’ la manifesta illogicita’ della motivazione e contraddittorieta’ rispetto alle risultanze delle indagini preliminari. Secondo il ricorrente, in particolare, la consapevolezza, in capo ai due complici, della presenza dell’arma in capo a (OMISSIS) sarebbe stata affermata sulla base di mere congetture, non essendo stato accertato il comportamento tenuto dai correi prima della rapina e non essendovi immagini che ritraessero il momento in cui lo stesso (OMISSIS) aveva estratto l’arma ed aveva aperto il fuoco. In definitiva, il ragionamento dei giudici di merito sarebbe fondato su una massima smentita dall’esperienza giudiziaria, che attesterebbe la frequentissima esecuzione di rapine senza l’uso di alcuna arma.
3.2. (OMISSIS) ha personalmente proposto ricorso, con il quale censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), l’omessa motivazione in relazione alla configurabilita’ a suo carico del concorso anomalo ex articolo 116 c.p., senza tenere conto delle deduzioni difensive circa l’asserita interruzione del nesso psicologico in relazione al reato diverso. Sotto altro profilo, la sentenza impugnata non avrebbe motivato adeguatamente in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, omettendo di considerare le deduzioni formulate, sul punto, dalla difesa dell’imputato, con particolare riferimento al ruolo del tutto marginale da lui assunto finanche nella realizzazione della tentata rapina, e fondando erroneamente il relativo giudizio sul riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 116 c.p., comma 2.
3.3. Il ricorso presentato dall’avv. (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), si articola in tre distinti motivi.
3.3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera B) ed E), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonche’ la manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla sussistenza del tentato omicidio contestato al capo a) dell’imputazione. L’imputato avrebbe esploso il colpo di arma da fuoco soltanto per spaventare il brigadiere (OMISSIS); circostanza che sarebbe dimostrata dal fatto che tra i due vi era una distanza di soli 50 cm. e che, pertanto, sarebbe stato impossibile per (OMISSIS) non colpire la persona offesa, se solo avesse voluto farlo.
3.3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera B) ed E), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonche’ la manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla diminuzione di pena applicata per il delitto contestato agli articoli 56 e 575 c.p..
Le sentenze non avrebbero indicato i motivi per i quali la riduzione prevista per il tentato omicidio sia stata inferiore al massimo consentito, tanto piu’ che, nei confronti dei due coimputati, i giudici avrebbero deciso diversamente, con cio’ determinandosi una ingiustificata disparita’ di trattamento che non potrebbe essere motivata con un indimostrato ruolo apicale svolto da (OMISSIS).
3.3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera B) ed E), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonche’ la mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, giustificato con il riferimento alla sola gravita’ del fatto, obliterando gli altri parametri posti dall’articolo 133 c.p., in specie sul versante della capacita’ a delinquere dell’imputato, affermata apoditticamente sulla base di un’indimostrata posizione di leadership all’interno del gruppo criminale, smentita dalla evidente imperizia nella scelta dell’arma da sparo utilizzata nel corso della rapina, inceppatasi dopo il primo colpo. Inoltre, i giudici non avrebbero tenuto in debita considerazione la circostanza della positiva condotta processuale, avendo egli ammesso interamente gli addebiti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Muovendo dalle censure svolte in punto di affermazione della responsabilita’, occorre partire dalle deduzioni difensive di (OMISSIS), atteso il carattere di pregiudizialita’ logica che le stesse rivestono anche rispetto alla posizione processuale dei due coimputati.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata in relazione alla configurabilita’ del delitto di tentato omicidio.
Ai sensi del combinato disposto degli articoli 56 e 575 c.p., la fattispecie contestata al capo a) ricorre nel caso in cui l’agente abbia posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di una persona.
I due requisiti della idoneita’ degli atti e della non equivocita’ degli atti vengono ricostruiti, dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo ormai consolidate coordinate sistematico-interpretative.
La prima nozione rinvia alla capacita’ della condotta posta in essere dall’agente di realizzare il risultato tipico, costituito dal reato consumato; capacita’ che viene valutata alla stregua del paradigma della cd. prognosi postuma a base parziale. In altri termini, successivamente al mancato verificarsi della consumazione, deve essere esperito un tipico giudizio controfattuale, realizzato riportando la sequenza criminosa al momento della estrinsecazione della condotta e ipotizzando se fosse probabile, in tale frangente, la verificazione del risultato tipico voluto, assumendo quale base del giudizio in questione il complesso delle circostanze conosciute o conoscibili dall’agente in quella fase dell’iter criminis (Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, dep. 29/07/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991).
Quanto, invece, alla nozione di univocita’ degli atti, la soluzione ricostruttiva qui accolta richiede la realizzazione non gia’ di atti esecutivi veri e propri, ma anche eventualmente di quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilita’ di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sara’ commesso a meno che si verifichino eventi non prevedibili, indipendenti dalla volonta’ del reo, che ne impediscano la realizzazione (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, dep. 20/04/2017, Macori e altro, Rv. 269931).
Ora, secondo la tesi difensiva, l’imputato avrebbe esploso il colpo di pistola unicamente per spaventare il brigadiere (OMISSIS), atteso che, ove egli avesse inteso ucciderlo, lo avrebbe sicuramente colpito, dato che tra i due vi era una distanza di soli 50 cm.
Tale ricostruzione, fondata su un presupposto meramente congetturale, si infrange contro la puntuale ricostruzione del fatto compiuta da parte dei giudici di merito, i quali hanno adeguatamente motivato, in maniera niente affatto illogica, in ordine alla configurabilita’ dei menzionati requisiti della idoneita’ e univocita’ degli atti posti in essere dall’imputato, ponendo in luce il fatto che l’arma, secondo quanto riscontrato dai rilievi balistici e riferito dalla vittima, fosse stata puntata verso il torace di quest’ultima e, dunque, in una parte del corpo sede di organi vitali; che il bersaglio non fosse stato attinto unicamente a causa dell’improvviso spostamento del carabiniere; che l’esplosione del colpo non fosse stata accidentale, ma assolutamente volontaria; che la presenza dell’animus necandi fosse stata dimostrata dalla condotta successiva, ovvero dal tentativo, attuato per ben due volte, di armare nuovamente la pistola: circostanza questa asseverata dagli accertamenti espletati dal RIS di Parma.
A fronte delle evidenziate circostanze di fatto, i giudici di merito hanno coerentemente ritenuto, con procedimento inferenziale immune da censure logiche, la sussistenza dei menzionati requisiti del delitto di tentato omicidio, rispetto alla quale il ricorso presentato da (OMISSIS) ha proposto, come detto, una lettura alternativa, sostanzialmente fondata sull’argomento logico secondo cui l’imputato, ove avesse inteso cagionare la morte del brigadiere (OMISSIS) non avrebbe certamente mancato il facile bersaglio. Tale assunto difensivo, pur non astrattamente illogico, si scontra, pero’, con la puntuale ricostruzione offerta dalla sentenza impugnata, tentando una reinterpretazione del materiale probatorio pacificamente non consentita al giudice di legittimita’.
Costituisce, infatti, principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che al giudice di legittimita’ non e’ consentito sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ne’ di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; in termini v. Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Resta, dunque, esclusa, anche dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze probatorie acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 5/06/2014, P. civ. C.C. in proc. M.M., Rv. non massimata; Sez. 3, n. 30908 del 3/06/2014, I.S., Rv. non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, da P.G., Rv. non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716). Ne consegue, pertanto, che una volta riscontrata una interpretazione del tutto coerente, sul piano logico-argomentativo, del dato processuale da parte dei giudici di merito, il controllo di legittimita’ non puo’ sostanziarsi in ricostruzioni alternative, pur dotate di analoga plausibilita’ sul piano della ricostruzione fattuale (cfr. Sez. 2, n. 29480 del 7/02/2017, dep. 13/06/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519).
Pertanto, il motivo di impugnazione in esame deve ritenersi inammissibile.
2.2. I ricorsi presentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) articolano una serie di censure in ordine alla configurabilita’ del meccanismo di imputazione delineato dall’articolo 116 c.p..
In proposito, va premesso che la disposizione in esame configura un meccanismo di estensione della responsabilita’ concorsuale a carico dei correi che non abbiano voluto la realizzazione del reato effettivamente commesso solo da uno (o da alcuni soltanto) dei concorrenti.
Tale disciplina, originariamente configurata dal legislatore del 1930 secondo il paradigma della responsabilita’ oggettiva propria del versari in re illicita, e’ stata successivamente ridisegnata, nell’evoluzione della giurisprudenza di legittimita’ e costituzionale, riconducendo il richiamato meccanismo di imputazione nell’alveo della responsabilita’ soggettiva (cfr. Corte costituzionale sent. n. 42 del 1965). In particolare, la giurisprudenza della Consulta sull’articolo 27 Cost. ha fornito una serie di significative indicazioni in ordine alla portata del principio di colpevolezza, certamente rilevanti anche ai fini dell’interpretazione dell’articolo 116 c.p., configurando detto principio un “canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nell’applicazione delle disposizioni vigenti” (cosi’ Corte cost. n. 322/2007).
La Corte costituzionale ha, infatti, affermato (cfr. sent. nn. 364/1988 e 1085/1988) che il fatto oggetto di imputazione debba, come regola generale, includere necessariamente quantomeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi piu’ significativi della fattispecie tipica. E muovendo, evidentemente, dal presupposto che, tra questi ultimi, debba rientrare anche il “reato diverso” previsto dall’articolo 116 c.p., si e’ dipanata la stessa elaborazione della giurisprudenza di questa Corte.
Nella sua attuale configurazione, invero, l’applicazione dell’articolo 116 c.p. e’ subordinata, innanzitutto, alla sussistenza di un presupposto negativo, costituito dal fatto che il reato diverso da quello originariamente programmato non deve essere stato voluto, dal concorrente anomalo, neppure nella forma del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale), ricorrendo l’ipotesi del concorso ex articolo 110 c.p. nel caso in cui egli abbia accettato il rischio del suo verificarsi (cosi’ Sez. 1, n. 11595 del 15/12/2015, dep. 18/03/2016, P.G. in proc. Cinquepalmi e altro, Rv. 266647; Sez. 5, n. 44359 del 18/03/2015, dep. 3/11/2015, Sisti, Rv. 265728) o abbia comunque considerato tale reato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata (Sez. 2, n. 49486 del 14/11/2014, dep. 27/11/2014, Cancelli, Rv. 261003).
Presupposto “positivo” e’, invece, che il reato ulteriore fosse concretamente prevedibile, in quanto collegato da un nesso di “pura eventualita’ rispetto al delitto base programmato” (cosi’ Sez 1, n. 11595 del 15/12/2015, dep. 18/03/2016, P.G. in proc. Cinquepalmi e altro, citata),), venendo il concorso anomalo escluso quanto il diverso e piu’ grave reato realizzato dai compartecipi costituisca un fatto “anormale, eccezionale e, quindi, non prevedibile” (Sez. 6, n. 15958 del 15/12/2015, dep. 18/04/2016, Provenzano e altri, Rv. 267363; N. 3167 del 2014, Rv. 258604), oppure quando si verifichi un rapporto di mera occasionalita’ idoneo ad escludere il nesso di causalita’ (Sez. 2, n. 3167 del 28/10/2013, dep. 23/01/2014, Sorrenti, Rv. 258604). Ed al fine di verificare la sussistenza di un nesso, non solo causale ma anche psicologico, tra la condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l’evento diverso, la prognosi postuma sulla prevedibilita’ del diverso reato commesso dal concorrente va effettuata in concreto, valutando la personalita’ dell’imputato e le circostanze ambientali nelle quali l’azione si e’ svolta (Sez. 5, n. 34036 del 18/06/2013, dep. 6/08/2013, P.G., P.C., in proc. Malgeri e altri, Rv. 257251), sicche’ l’agente avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile dell’azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (Sez. 3, n. 44266 del 3/04/2013, dep. 31/10/2013, De Luca, Rv. 257614; Sez. 1, n. 12273 del 5/12/2013), dep. 14/03/2014, C., non massimata).
In questo modo, dunque, la giurisprudenza di questa Corte ha sostanzialmente ricondotto lo schema dell’articolo 116 al paradigma colposo, richiedendo la sussistenza, ai fini dell’affermazione della responsabilita’ del concorrente per il reato non voluto, la possibilita’ di un rimprovero correlato alla inosservanza di regole preventive in relazione al verificarsi del “complessivo ultimo risultato vietato” costituito dalla produzione del “reato diverso”. Una soluzione coerente, del reato, con la tesi sviluppata dalle Sezioni unite di questa Corte in relazione alla fattispecie contemplata dall’articolo 586 c.p., secondo cui e’ possibile muovere un rimprovero di colpa per un risultato non voluto anche nei confronti dell’agente che versa in re illicita, ovvero di colui il quale abbia intrapreso, volontariamente, un’attivita’ penalmente illecita (cosi’ Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, dep. 29/05/2009, Ronci, Rv. 243381).
2.2.1. Tanto osservato in linea generale, deve rilevarsi come i giudici di merito abbiano ritenuto, con ragionamento niente affatto illogico, come la tipologia del reato programmato (rapina in un esercizio pubblico) e le particolari condizioni di contesto (l’affollamento del luogo) dovessero avere, necessariamente, condotto i complici a condividere la piena consapevolezza dell’arma e, conseguentemente, a prevedere la possibilita’ di una sua eventuale utilizzazione. Inoltre, la particolarita’ del luogo in cui l’arma era stata nascosta, ovvero in un vano ricavato nel cambio della vettura in uso a (OMISSIS), e’ stata ritenuta indicativa di una siffatta consapevolezza, atteso che le caratteristiche della pistola, e in particolare le sue ridotte dimensioni, sono state spiegate anche in funzione della possibilita’ di un trasporto occulto in vista di una sua pronta utilizzazione nel corso della rapina.
Una volta affermata la consapevolezza dell’esistenza dell’arma, i giudici hanno affermato, coerentemente con i ricordati principi in materia di concorso anomalo, che il tentato omicidio del brigadiere (OMISSIS) non potesse considerarsi una evenienza del tutto imprevedibile ed eccezionale, ma dovesse al contrario ritenersi del tutto prevedibile, proprio per le evidenziate condizioni di contesto, che rendevano certamente non improbabile che taluno degli astanti potesse reagire, rendendo necessario l’uso della pistola.
Ne consegue la manifesta infondatezza delle relative doglianze.
3. Venendo, quindi, alle censure sulla pena, giova soffermarsi, innanzitutto, sul secondo motivo di impugnazione dedotto dalla difesa di (OMISSIS), secondo cui non sarebbero stati indicati i motivi per i quali la riduzione prevista per il tentato omicidio sia stata inferiore al massimo consentito, pari ai due terzi della pena base, tanto piu’ che, nei confronti dei due coimputati, i giudici avrebbero deciso, invece, per la riduzione massima.
Rileva, nondimeno, il Collegio che, nel caso che occupa, la dosimetria della pena e’ stata motivatamente ancorata agli indici dell’articolo 133 c.p., avendo le sentenze fatto riferimento, a piu’ riprese, alla particolare gravita’ della condotta posta in essere dall’imputato e alla sua spiccata capacita’ a delinquere, resa manifesta anche dalla considerazione di un precedente specifico.
Quanto alla asserita sperequazione rispetto agli altri concorrenti, i giudici di merito hanno sottolineato la diversa valenza del contributo concorsuale offerto dall’imputato, indicato come il leader del gruppo criminale, anche per la disponibilita’ dell’arma, e, in ogni caso, come colui che aveva posto in essere la condotta di tentato omicidio. Una valutazione, quella appena riportata, che il ricorso ha tentato di confutare, in maniera del tutto assertiva, affermando che il ruolo apicale svolto da (OMISSIS) sarebbe rimasto indimostrato. Ne consegue, dunque, la inammissibilita’ delle relative censure, siccome in parte generiche e, altra parte, manifestamente infondate.
4. Quanto, poi, alle doglianze espresse sulle attenuanti generiche, giova preliminarmente osservare che la valutazione circa l’applicazione o il diniego delle circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p. si configura come un giudizio di fatto, lasciato alla discrezionalita’ del giudice, il quale deve motivare la sua decisione nei soli limiti atti a far emergere, in misura sufficiente, l’avvenuta valutazione circa l’adeguamento della pena concretamente applicata rispetto alla gravita’ effettiva del reato e alla personalita’ dell’imputato (tra le tante, Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, dep. 23/11/2010, Straface, Rv. 248737; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, dep. 2/12/2004, P.G. in proc. Palmisani e altro, Rv. 230591), se del caso anche attraverso il ricorso a formule sintetiche (cosi’ Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, dep. 31/05/2013, Viale e altro, Rv. 256201).
In questa prospettiva, il giudicante, se si determina per il diniego, non e’ tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli con l’indicazione delle ragioni ostative al riconoscimento e delle circostanze fattuali ritenute di preponderante rilievo, avuto riguardo ai parametri di cui all’articolo 133 c.p., senza che, peraltro, sia necessario che il giudice li esamini tutti, essendo in realta’ sufficiente che egli specifichi a quali, tra essi, egli abbia inteso fare riferimento, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, dep. 3/07/2014, Lule, Rv. 259899; sostanzia(mente in termini anche Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
4.1. Tanto premesso e venendo all’analisi del terzo motivo proposto dalla difesa di (OMISSIS), il ricorso denuncia che la sentenza impugnata, facendo riferimento, al fine di giustificare i(mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, alla sola gravita’ del fatto, abbia erroneamente obliterato gli altri parametri posti dall’articolo 133 c.p., in specie sul versante della capacita’ a delinquere dell’imputato, senza tenere in debita considerazione il fatto che egli abbia ammesso interamente gli addebiti.
In proposito, tuttavia, e’ appena il caso di osservare come i giudici di merito abbiano fornito puntuale motivazione in ordine all’esercizio del potere discrezionale relativo al giudizio in questione, facendo specifico riferimento, in primo luogo, alle gravi modalita’ del fatto, caratterizzato dall’uso di un’arma da sparo e di un coltello, nonche’ alla presenza di tre persone, tutte travisate.
Inoltre, proprio con riguardo alla posizione di (OMISSIS), e’ stato anche valorizzato il negativo profilo di personalita’ dell’imputato, tratto dai suoi precedenti penali e dalle modalita’ della condotta, caratterizzata dal reiterato tentativo di esplodere dei colpi d’arma da fuoco all’indirizzo della persona offesa. In questo modo, attraverso il riferimento a taluni degli indici posti dall’articolo 133 c.p., i giudici di merito hanno adeguatamente motivato la decisione assunta, conformandosi alla gia’ richiamata cornice di principio; sicche’ la censura mossa dalla difesa dell’imputato si connota in termini di manifesta infondatezza.
4.2. Analoghe considerazioni devono essere, poi, svolte con riferimento alle doglianze espresse, sul punto, nel ricorso di (OMISSIS).
Anche in questo caso, i giudici di merito hanno ritenuto di valorizzare la spavalderia e la oggettiva pericolosita’ soggettiva mostrata dall’imputato nel corso della rapina, realizzata in accordo agli altri concorrenti, nell’ambito di un legame di solidarieta’ criminale stabile e niente affatto occasionale; ed a fronte di tali elementi, sono stati ritenuti recessivi, con motivazione che ha dato adeguatamente conto del giudizio di merito che e’ stato epresso, i dati della arretratezza socio-culturale, della giovane eta’ e della incensuratezza dell’imputato. Ne consegue, conclusivamente, la manifesta infondatezza anche del presente motivo di impugnazione dedotto da (OMISSIS).
5. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro per ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 2000,00 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.

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