La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14508.

La massima estrapolata:

La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intenda rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni: tuttavia non può essere imposto al locatore , in applicazione del generale principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e del divieto dell’abuso del processo, di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza.

Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14508

Data udienza 17 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2642/2017 proposto da:
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2130/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/04/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) intimarono sfratto per morosita’ alla Societa’ (OMISSIS) in relazione ad un contratto di locazione di un appezzamento di terreno e la citarono per la convalida ed i conseguenti provvedimenti davanti al Tribunale di Palermo.
Precisarono i ricorrenti che l’articolo 8 del contratto prevedeva che il mancato pagamento del canone entro il termine stabilito implicava la risoluzione di diritto del contratto stesso.
Si costitui’ in giudizio la societa’ convenuta, opponendosi alla convalida e sostenendo che il ritardo nel pagamento era conseguente alla normale prassi di tolleranza da parte del locatore.
Il Tribunale accolse la domanda, dichiaro’ risolto di diritto il contratto per effetto della clausola risolutiva espressa e condanno’ la societa’ convenuta al rilascio dell’immobile ed al pagamento dell’indennita’ di occupazione, con il carico delle spese di lite.
2. La pronuncia e’ stata impugnata dalla Societa’ (OMISSIS) e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 29 dicembre 2016, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che l’esistenza di una prassi di tolleranza del ritardo nei pagamenti non era stata provata e che la clausola risolutiva espressa imponeva al conduttore l’obbligo di pagamento del canone entro il giorno primo di ogni mese, esonerando il locatore dall’onere di provare la gravita’ dell’inadempimento. Nella specie, il canone era stato corrisposto in ampio ritardo, giacche’ quello in scadenza alla data del 1 luglio 2012 era ancora insoluto alla data di notifica dell’intimazione di sfratto (8 agosto 2012).
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo propone ricorso la Societa’ (OMISSIS) con atto affidato a due motivi.
Resistono (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con un unico controricorso.
Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli articoli 375, 376 e 380 bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli articoli 1455, 1456 e 1367 c.c., nonche’ degli articoli 1218, 1256 e 1351 c.c., oltre ad omessa o almeno insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
1.1. Il motivo non e’ fondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha in piu’ occasioni affermato che la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volonta’, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni. Tuttavia, non puo’ essere imposto al locatore, in applicazione del generale principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e del divieto dell’abuso del processo, di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza (sentenza 14 febbraio 2012, n. 2111, confermata dalle sentenze 31 ottobre 2013, n. 24564, e 27 settembre 2016, n. 18991).
Nella specie la Corte d’appello ha fatto buon governo di tali principi. Essa ha accertato che i locatori avevano intimato alla societa’ conduttrice, gia’ con lettera raccomandata del 23 novembre 2010, di adempiere tempestivamente all’obbligo di pagamento del canone, con l’avvertimento che, in difetto di tale adempimento, il contratto si sarebbe risolto di diritto ai sensi dell’articolo 1456 c.c., come previsto dall’articolo 8 dell’accordo. Tale circostanza e’ addotta dalla parte ricorrente ad ulteriore conferma della tolleranza nel ritardo, sul rilievo che, nonostante tale sollecito, i locatori fino al 2012 avevano sempre accettato pagamenti in ritardo.
Deve pero’ essere osservato che – a prescindere da alcune considerazioni di fatto sulle abitudini di pagamento che non possono piu’ essere accertate in questa sede – la Corte di merito ha giustamente osservato che quella lettera raccomandata non poteva essere considerata come indice di rinuncia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa, e che l’esistenza di tale clausola era motivo che esonerava il locatore dall’obbligo di dimostrare la gravita’ dell’inadempimento. D’altra parte, la valutazione sull’esistenza o meno di una prassi di tolleranza del ritardo costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimita’.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli articoli 420 e 426 c.p.c., oltre ad omessa o almeno insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
Si osserva che i locatori avevano introdotto, con memoria integrativa successiva all’ordinanza di mutamento del rito, ulteriori domande, volte ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento e l’intimazione della licenza per finita locazione. Su tali domande, peraltro ritenute nuove, la Corte d’appello, respinto il gravame, avrebbe dovuto pronunciarsi, riconoscendo che esse erano inammissibili.
2.1. Il motivo e’ inammissibile, per evidente difetto di interesse.
Una volta affermata l’infondatezza del primo motivo, nessun interesse poteva avere la societa’ ricorrente allo scrutinio delle ulteriori ragioni per le quali, in via di ipotesi, i locatori avevano invocato l’esistenza di altri elementi idonei alla declaratoria di risoluzione o di cessazione del contratto.
3. Il ricorso, pertanto, e’ rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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