La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza civile n. 13662 del 21 maggio 2025, ha stabilito un importante principio in materia di ricorsi per cassazione. La sentenza sottolinea che, affinché un ricorso che contesta la violazione dell’art. 2909 c.c. (relativo all’efficacia del giudicato) sia ammissibile, deve essere autosufficiente. Questo significa che il ricorrente è obbligato a indicare in modo specifico e dettagliato, nel ricorso stesso, la parte del provvedimento passato in giudicato di cui lamenta l’errata interpretazione. La mancata specifica di tale elemento comporta l’inammissibilità del ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c.
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2025| n. 13662.
Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione del giudicato
Massima: Il ricorso per cassazione, con il quale si deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., deve contenere, a pena di inammissibilità, per il principio dell’autosufficienza ex art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., la specifica indicazione della parte del provvedimento giurisdizionale passato in giudicato, contenente il precetto sostanziale di cui si denuncia l’errata interpretazione.
Ordinanza|21 maggio 2025| n. 13662. Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione del giudicato
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REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente
Dott. MARULLI Marco – Consigliere Rel.
Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere
ORDINANZA
sul ricorso 13610/2024 proposto da:
MA.DI. Srl rappresentata e difesa dall’avvocato Ma.Bi.
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CERVIA rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Gr., Ca.Ma. e Si.Me.
– controricorrente –
SO. Spa
nonché contro
– intimata –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 610/2024 depositata il 25/03/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Cons. Dott. Marco Marulli.
Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione del giudicato
FATTI DI CAUSA
1. MA.DI. Srl ricorre a questa Corte al fine di sentire cassare l’epigrafata sentenza della Corte di appello di Bologna che ha nuovamente respinto l’opposizione da essa proposta alle ordinanze ingiunzioni con le quali il Comune di Cervia, richiamando la convenzione regolante i rapporti tra le parti stipulata il 20.5.1976, aveva, tra l’altro, reclamato il pagamento della somma concordata inizialmente in Lire 4.000.000 a titolo di rimborso forfettario per le spese di manutenzione delle strade circostanti rivalutata annualmente a partire dalla data di stipulazione.
In particolare, avendo l’appellante limitato le proprie ragioni di contestazione alla sola decorrenza della rivalutazione – assumendo che essa, contrariamente a quanto preteso dall’ingiungente e confermato dal giudice di primo grado, dovesse decorrere anno per anno dalla scadenza del singolo rateo sino al suo pagamento – la Corte territoriale, smentendo la tesi secondo cui al riguardo sarebbe intervenuto tra le parti un giudicato di opposto segno in conseguenza di altra sentenza adottata dal medesimo giudice di primo grado (sentenza 214/1991), ha inizialmente osservato che, poiché il giudicato formatosi su una frazione del credito complessivo non spiega effetti nel giudizio avente ad oggetto un’altra frazione del medesimo credito, “la sentenza capostipite del Tribunale di Ravenna n. 214/91 non formerebbe allora, giudicato, sul rapporto di durata (maturato e maturando) e, dunque, per quanto qui interessa, in relazione al canone per l’anno 2016, oggetto del presente procedimento”. Peraltro, ha ancora notato la Corte a margine del citato precedente, vi è un “evidente contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza n. 214/1991”, dato che nella motivazione si reputa che il meccanismo rivalutativo si debba applicare al canone annuale originario, mentre nel dispositivo è contenuta una statuizione di condanna al pagamento di un importo annuale fisso che viene assoggettato a rivalutazione solo a decorrere dalla data dell’inadempimento. Né, poi, prosegue la motivazione, è trascurabile, per il principio della posteriorità prevalente, che, rispetto a quello rappresentato dalla sentenza citata dall’impugnante, il Tribunale di Ravenna abbia avuto occasione di pronunciarsi sulla questione in altre successive occasioni, addivenendo con le pronunce 1229/2012 e 1103/2014, anche esse passate in giudicato, “a statuizioni del tutto diverse e pienamente applicative della previsione di cui all’art. IV della Convenzione 20.05.1976”. In conformità, perciò, al giudicato più recente ed in linea con l’analoga statuizione adottata per l’anno 2015, “va pertanto condivisa la sentenza qui impugnata che ha fissato la decorrenza iniziale del calcolo della rivalutazione Istat, “a far data evidentemente dalla sottoscrizione del 20.05.1976 sino all’anno 2016″”.
L’odierno ricorso della MA.DI. fa leva su un unico motivo, al quale resiste con controricorso e memoria il Comune di Cervia.
Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione del giudicato
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. L’unico motivo del proposto ricorso – con cui si argomenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. perché, pronunciandosi nei riferiti termini, la Corte di appello sarebbe incorsa in errore nell’applicare ai rapporti di durata la giurisprudenza sull’efficacia del giudicato sulla frazione del credito e non avrebbe tenuto conto dei giudicati formatisi a seguito del pronunciamento del Tribunale con sentenza 214/1991 e della medesima Corte territoriale con sentenza 908/2018, tutte dell’avviso, riprodotto pure dalle sentenze 1229/2012 e 1103/2014 scrutinate dal decidente, che, diversamente da quanto opinato da questo, il canone di manutenzione delle strade adiacenti l’insediamento del porto turistico in gestione alla Marina debba essere rivalutato a far data dalle singole scadenze al saldo e non dalla di sottoscrizione della relativa convenzione – si presta ad una duplice preliminare valutazione di inammissibilità che ne preclude lo scrutinio.
3. Da un lato, infatti, esso non esaurisce la totalità delle rationes decidendi sviluppate a supporto della decisione, posto che il motivo censura l’errato richiamo alla giurisprudenza sull’efficacia del giudicato concernente la frazione di un credito più complesso che non sarebbe applicabile ai rapporti di durata; e lamenta, con esso, pure il contrasto tra il provvedimento qui impugnato ed altro giudicato della medesima Corte di appello (sentenza 908/2018), profilo, questo, peraltro non scrutinabile – in disparte da quel che si osserverà più sotto – per non essere stata l’esistenza di detto giudicato, formatosi antecedentemente alla decisione qui impugnata, dedotta nel presente giudizio per gli effetti preclusivi alla sua rilevabilità in questa sede già sanciti dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Cass., Sez. V, 19/10/2016, n. 21170); ma se già quest’ultima considerazione non può reputarsi senza effetto sul terreno dell’ammissibilità, il motivo oblitera, poi, – consegnandosi perciò ad una precoce prognosi di inammissibilità per difetto di interesse secondo i precetti più volti delineati da questa Corte (ex plurimis, Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118) – almeno altri due argomenti che corroborano il discorso motivazionale dispensato dal decidente del merito. Nulla, infatti, la ricorrente obietta riguardo alla discrasia tra motivazione e dispositivo rimarcata dal decidente nell’occuparsi della sentenza capostipite, nell’una risultando il meccanismo rivalutativo previsto in convenzione riferito al contributo originario – sì da indurre a concludere che la rivalutazione si riferisse al canone – nell’altro risultando invece riferito all’inadempimento – sì da indurre a credere che la rivalutazione fosse dovuta sul singolo canone – in ogni caso impedendo che dalla sua lettura si potesse ricavare un responso univoco, tanto più nel senso preteso dal ricorrente; ma nulla la ricorrente, pure, dice riguardo al fatto che la decisione pronuncianda nell’occasione dal collegio di merito si allinei anche con altro precedente della medesima Corte risalente al 2022 di cui, ignorandolo il motivo, non è smentita l’efficacia di giudicato con l’effetto di rendere applicabile il principio della posteriorità prevalente.
4. E’ vero poi, da un altro lato, che il motivo pecca di autosufficienza.
Va, infatti qui ricordato che secondo lo stabile indirizzo di questa Corte enunciato a SS.UU. con riguardo segnatamente al’opposizione all’esecuzione (Cass., Sez. U, 21/02/2022, n. 5633), il ricorso per cassazione con cui venga denunciata la violazione dell’art. 2909 cod. civ. deve contenere, a pena di inammissibilità, tra l’altro, secondo quanto prescritto ai fini dell’autosufficienza del ricorso dall’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., la specifica indicazione della parte del provvedimento giurisdizionale passato in giudicato contenente il precetto sostanziale di cui si denuncia l’errata interpretazione, non diversamente da quel che, più in generale, si raccomanda allorché si deduca l’esistenza del giudicato, essendo onere in tal caso del ricorrente che ne invochi l’efficacia nel giudizio pendente, a pena d’inammissibilità del motivo, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (ex plurimis, Cass., Sez. II, 23/06/2017, n. 15737).
Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione del giudicato
5. Orbene, nel caso che ne occupa, va detto, con più diretto riguardo alla sentenza 214/1991, oggetto di valutazione da parte del decidente, che la violazione del giudicato che gli si imputa – oltre ad incorrere nel rilievo preclusivo cui si è fatto dianzi cenno, non prestandosi ad una lettura univoca per il disaccordo tra motivazione e dispositivo, secondo quanto affermato dal decidente – non si rende in ogni caso scrutinabile, dato che, non riproducendone il ricorso il contenuto se non per stralci, non risulta possibile stabilire – anche ad onta di quanto già a questo riguardo si dà cura di sottolineare il provvedimento impugnato – se quanto affermato in dispositivo (“oltre interessi legali sulle somme rivalutate alle singole scadenze al saldo) debba interpretarsi come somme rivalutate dalle singole scadenze annuali per le quali è dovuto il contributo piuttosto che dalla data della convenzione, vero che il richiamo così operato non lascia intendere se le “singole scadenze” si riferiscono alla rivalutazione o, come è pure plausibile, secondo quanto sostenuto dal decidente di merito, ai soli interessi legali. E dunque il motivo è manifestamente privo di autosufficienza ed anche per questa ragione se ne impone l’inammissibilità.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1 – quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione del giudicato
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1 – quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 11 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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