Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 17 aprile 2018, n.17174.
Al fine della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, invece che quale lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, richiedendosi nel primo un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente.
CORTE DI CASSAZIONE
sezione prima penale
SENTENZA 17 aprile 2018, n.17174
Pres. Cortese – est. Tardio
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 22 settembre 2015 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza resa in data 11 febbraio 2015 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato O.C. colpevole del reato di tentato omicidio pluriaggravato ai danni del fratello O.M. e della cognata C.C.A., ascrittogli per avere compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte, consistiti nel cospargerli di benzina, estrarre dalla tasca un accendino e attivarlo a distanza ravvicinata, senza riuscire nell’intento per la reazione della cognata e il successivo intervento dei vicini di casa, e lo aveva condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, ritenuta la continuazione, essendo due le vittime dell’azione aggressiva, apprezzate le aggravanti del fatto commesso anche in danno del fratello e del motivo futile, ritenuta la recidiva contestata e operata la riduzione per il rito.
2. La Corte di appello, richiamata la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado e ripercorse le considerazioni che avevano supportato la decisione di condanna, dava conto dei motivi di appello, e, premessa la mancanza di sostanziale contestazione dei fatti e della concreta condotta tenuta dall’imputato, sì come ricostruiti, nonché delle ritenute circostanze aggravanti e della recidiva, rilevava, a ragione della decisione, che:
– la riproposta deduzione difensiva che l’azione descritta nel capo di imputazione integrava il reato di minaccia grave e non il reato di tentato omicidio era stata già risolta con la sentenza impugnata con argomenti appropriati ed esaustivi, del tutto condivisi, alla luce dei ripercorsi principi di diritto in tema di valutazioni da farsi dal giudice per qualificare giuridicamente una condotta come tentato omicidio o altro;
– doveva procedersi dal rilievo che la condotta contestata, che non aveva provocato lesioni alle vittime, aveva costituito l’escalation di una pregressa condotta aggressiva, nel corso della quale entrambe le persone offese avevano riportato lesioni, attestate dai certificati medici in atti; dette persone erano, poi, state, in progressione, cosparse di liquido altamente infiammabile e l’imputato, tenendo in mano un accendino funzionante a distanza ravvicinata, aveva esplicitamente minacciato di azionarlo contro le persone offese già completamente intrise di benzina; tale condotta di per sé, a prescindere dalla uscita o meno della fiamma dall’accendino, aveva già integrato il tentativo punibile, avuto anche riguardo alle frasi minacciose, esplicative della intenzione dell’agente di ammazzare e coerenti con l’azione aggressiva, che avevano accompagnato la condotta; la ricostruzione dei fatti resa dalla persona offesa C.C., testualmente riportata, era stata sostanzialmente confermata dagli altri testimoni; il teste Ca., in particolare, aveva riferito di avere udito l’imputato urlare ‘ti butto la benzina e ti do fuoco’, mentre lo vedeva agitare un accendino di metallo; a persona offesa O.M. aveva ricordato che il fratello, da distanza ravvicinata, aveva provato ad azionare l’accendino, e il teste Cappalunga, pure vicino di casa, aveva dichiarato di avere visto l’imputato estrarre un accendino dalla tasca dei pantaloni e di essere corso verso i tre, bloccando l’imputato che continuava a litigare con il fratello e non aveva più in mano l’accendino;
– la condotta dell’imputato, già ritenuta sorretta in primo grado, dal dolo quantomeno alternativo, era stata interrotta dalla reazione rapida e decisa dei presenti, preclusiva del chiesto riconoscimento della desistenza volontaria;
– la pena inflitta era proporzionata ai fatti e, mentre non erano riconoscibili le attenuanti generiche, doveva essere rettificato il calcolo interno per la determinazione della pena riducendo a mesi due l’aumento per l’aggravante dei futili motivi.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del suo difensore avv. Daniela Danieli, chiedendone l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia errata applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen..
Secondo il ricorrente, le azioni da lui poste in essere sono tipiche della mera intimidazione, evidenziando la minaccia proferita al fratello e l’omessa accensione dell’accendino per innescare il fuoco la sua intenzione di intimorire concretamente le parti offese, e non di volerne provocare la morte sulla base di un giudizio probabilistico.
Peraltro, la destinazione dell’azione in contesto dimostrativo è comprovata dal fatto che l’utilizzo effettivo dell’accendino con la finalità di appiccare il fuoco avrebbe coinvolto egli stesso nel fuoco, essendosi i suoi vestiti impregnati della benzina versata sul fratello e sulla cognata.
Sul piano oggettivo doveva essere esclusa l’idoneità dell’azione a provocare la morte delle persone offese, mentre si era erroneamente anticipato il momento di realizzazione del tentativo, attesa l’assenza di fiamma o di scintille e considerato il solo versamento di liquido infiammabile.
In ogni caso, anche la presunta fiamma vista dalla parte offesa C. è rimasta accesa, secondo le dichiarazioni della stessa, per un attimo prima di spegnersi quasi subito, e nessuno ha parlato di un suo movimento per porre la fiamma in contatto con il liquido infiammabile.
Vi erano stati, quindi, solo atti prodromici che non avevano raggiunto la soglia del tentativo.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
2. Si premette in diritto che, per aversi il reato tentato, l’art. 56 cod. pen. richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un reato. È, quindi, elemento strutturale oggettivo del tentativo, insieme alla direzione non equivoca degli atti, l’idoneità degli stessi, dovendosi intendere per tali quelli dotati di una effettiva e concreta potenzialità lesiva per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, alla luce di una valutazione prognostica compiuta ex post (e quindi postuma), con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell’azione in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare, che non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti (tra le altre, Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, Stabile, Rv. 215511; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, Rv. 241339; Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991 Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014, Guglielmino, Rv. 260855), e, quindi, tenendosi conto con giudizio ex ante, nella prospettiva del bene protetto, delle circostanze in cui ha operato l’agente e delle modalità dell’azione (tra le altre, Sez. 6, n. 27323 del 20/05/2008, R, Rv. 240736; Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, Basco, Rv. 247197; Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305).
2.1. Questa Corte ha anche ripetutamente affermato che, al fine della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, invece che quale lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, richiedendosi nel primo un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente (tra le altre, Sez. 1, n. 35174 del 23/06/2009, M., Rv. 245204; Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, Rv. 248550; Sez. 1, n. 51056 del 27/11/2013, Tripodi, Rv. 257881).
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