Al fine della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, invece che quale lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva

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Con riferimento particolare all’elemento psicologico del dolo, riguardo al reato di tentato omicidio, è costante l’orientamento alla cui stregua la figura di reato prevista dall’art. 56 cod. pen., che ha come suo presupposto il compimento di atti finalizzati (‘diretti in modo non equivoco’) alla commissione di un delitto, non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta considerazione dall’agente, che accetta il rischio del suo verificarsi (c.d. dolo eventuale) (tra le altre, Sez. 1, n. 25114 del 31/03/2010, Vismara, Rv. 247707; Sez. 6, n. 14342 del 20/03/2012, R., Rv. 252565), ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l’evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (c.d. dolo diretto alternativo), o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito come scopo finale (c.d. dolo diretto intenzionale) (tra le altre, Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804; Sez. 1, n. 10431 del 30/10/1997, Angelini, Rv. 208932; Sez. 1, n. 27620 del 24/05/2007, Mastrovito, Rv. 237022; Sez. 1, n. 12594 del 29/01/2008, Li, Rv. 240275; Sez. 1, n. 11521 del 25/02/2009, D’Alessandro, Rv. 243487; Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, Nardelli, Rv. 259465).

La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, deve essere, in particolare, desunta attraverso un procedimento inferenziale, analogo a quello utilizzabile nel procedimento indiziario, da fatti esterni o certi, aventi un sicuro valore sintomatico, e in particolare da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a esprimere il fine perseguito dall’agente secondo l’id quod plerumque accidit, quali esemplificativamente il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte e la reiterazione dei colpi (tra le altre, Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, citata; Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, citata; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, Milettaro, Rv. 251014; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisì, Rv. 257208).

2.2. Questa Corte ha da tempo anche sottolineato (Sez. 1, n. 450 del 18/03/1968, Orsini, Rv. 108721) e poi riaffermato (tra le altre, Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702) che, in tema di tentato omicidio, la scarsa entità delle lesioni cagionate alla vittima e la inesistenza di lesioni non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa.

3. La Corte di merito, in coerenza con tali condivisi principi, ha dato esaustivo conto delle ragioni giustificative della conferma delle valutazioni svolte dal Giudice di primo grado, che aveva già posto in debito risalto gli elementi probatori acquisiti e ritenuto dimostrata l’imputazione ascritta e pertinente la qualificazione giuridica del fatto.

3.1. Facendo richiami non incongrui ai dati fattuali esaminati, tratti dalla svolta ricostruzione della vicenda e della concreta condotta dell’imputato, ripercorsa con illustrazione specifica, nella parte espositiva, degli apporti dichiarativi delle persone offese e dei testi, la Corte di appello, nel dare preliminarmente atto dell’assenza di contestazioni, confrontandosi con le questioni devolute, in ordine a detta ricostruzione che ha condiviso, ha ritenuto, con ragionevole apprezzamento ex ante, che fossero dimostrativi della sussistenza del tentato omicidio e della responsabilità dell’imputato (sì come sintetizzato sub 2 del ‘ritenuto in fatto’), in continuità argomentativa con l’analisi già svolta, la circostanza fattuale che, in esito a pregresse condotte aggressive dell’imputato e lesive delle persone offese attestate da certificati medici, il primo aveva cosparso il corpo delle seconde di liquido altamente infiammabile e aveva in mano a distanza ravvicinata un accendino funzionante; il dato che tale condotta era stata accompagnata, nella progressione dell’azione aggressiva, antecedente e successiva all’utilizzo della tanica per cospargere di benzina le persone offese, dalla ripetuta pronuncia da parte dell’imputato di frasi minacciose, il cui contenuto – testualmente ripreso – era coerente con l’azione aggressiva in corso ed esplicito della intenzione dello stesso imputato, riferite dalla persona offesa C. e dal teste Ca.; la circostanza che l’accendino era stato estratto dalla tasca da parte dell’imputato, gridando la frase ‘adesso ti brucio’ e provando ad azionarlo (secondo le dichiarazioni della persona offesa O. ) ovvero riuscendo in una occasione ad azionandolo (secondo le dichiarazioni della persona offesa C. ), e comunque tenendolo, per concorde emergenza, a distanza ravvicinata rispetto alle persone offese; la circostanza che la presenza dell’accendino metallico nella mani dell’imputato e/o la pronuncia delle frasi minacciose pertinenti al ricorso al fuoco, correlato all’uso della benzina, era stata rilevata anche dai testi Ca. e Cappalunga, vicini di casa, cui intervento rapido e deciso, unitamente alla reazione delle vittime, aveva interrotto l’azione.

La Corte, valorizzando tali precisi e univoci indicatori fattuali, ha, quindi, conclusivamente rimarcato che le evidenze disponibili confermavano la sussistenza, sul piano soggettivo, della volontà omicida, e che i ripresi passaggi argomentativi della sentenza erano corretti in diritto e persuasivi nel merito anche in punto di idoneità e univocità della condotta a cagionare l’evento e di mancata consumazione della stessa per cause non riconducibili alla volontà dell’imputato, senza prescindere dall’analisi delle ragioni prospettate nell’atto di appello, giudicate soccombenti a fronte degli argomenti spesi dal primo Giudice e ripercorsi e approfonditi nel giudizio di appello.

3.2. Tali valutazioni, esenti da vizi giuridici e coerenti nella impostazione e nello sviluppo logico, resistono alle doglianze difensive.

Il ricorrente, infatti, mentre del tutto infondatamente si duole della incorsa violazione della normativa di riferimento e genericamente censura la operata riconduzione del fatto nella fattispecie del tentato omicidio reclamandone la qualificazione come mera intimidazione ovvero come atto dimostrativo, oppone sotto l’aspetto della contestazione della congruenza logica della decisione e della completezza della valutazione delle risultanze probatorie – deduzioni e osservazioni, che – in sovrapposizione argomentativa rispetto ai passaggi motivi della sentenza e senza correlazione specifica e critica con le risposte ricevute ad analoghe deduzioni già sostenute e discusse in sede di merito- svolgono sostanziali censure sul significato e sulla interpretazione di elementi di fatto posti a fondamento del discorso giustificativo della decisione quanto alla ricostruzione degli elementi, oggettivo e soggettivo, del tentato omicidio, reclamandone una rivisitazione nel merito (con il riferimento, in particolare, al gesto, mancato, di ‘porre in contatto la fiamma con il liquido infiammabile’, a fronte dell’accertata distanza ravvicinata dell’imputato alle persone offese, da lui stesso cosparse di liquido fortemente predisposto a infiammarsi), con l’adozione di alternativi parametri di ricostruzione e valutazione, non consentita ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen..

4. Alla inammissibilità del ricorso, che si dichiara, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta congrua, di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende.

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