Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 9 marzo 2018, n. 10762.
Il delitto di peculato è configurabile, anche in base all’articolo 48, quando il denaro o la cosa mobile sono nella disponibilità giuridica concorrente di più ufficiali, e uno se ne appropria (anche attraverso atti amministrativi) inducendo in errore gli altri, anche se questi ultimi sono i soggetti competenti a emettere l’atto finale del procedimento.
Sentenza 9 marzo 2018, n. 10762
Data udienza 1 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/11/2016 della Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi, per il ricorrente, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 16 novembre 2016, la Corte d’appello di Palermo, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Trapani nella parte in cui aveva dichiarato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per il reato di peculato che si contesta commesso, anche a norma dell’articolo 48 c.p., quale direttore amministrativo e componente del consiglio di amministrazione del Conservatorio di Musica “(OMISSIS)”, mediante Delib. 15 ottobre 2007, n. 274, e gli ha irrogato la pena ritenuta di giustizia.
Il fatto per il quale e’ stata pronunciata condanna attiene alla erogazione a sei dipendenti del Conservatorio, a titolo di compensi per incarichi aggiuntivi, di importi non spettanti perche’ di ammontare superiore rispetto a quanto previsto dagli accordi collettivi, in particolare dal contratto collettivo decentrato del 18 luglio 2007. Le condotte ritenute integrare gli estremi del reato sono state individuate nella predisposizione della delibera di spesa, nella sottoposizione della stessa al consiglio di amministrazione dell’ente, e nell’attivita’ di induzione nei confronti degli altri componenti di questo organo affinche’ la approvassero, attivita’ svolta fornendo false assicurazioni ai medesimi circa la legittimita’ e correttezza del provvedimento.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con un unico atto, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi quali difensori di fiducia di (OMISSIS), articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 42, 43 e 314 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla sussistenza del fatto, quanto meno in relazione all’elemento psicologico.
Si deduce, innanzitutto, che le somme di denaro in contestazione sono state attribuite sulla base di contratti collettivi nazionali, precisamente del contratto collettivo nazionale integrativo, invece che sulla base del contratto decentrato di istituto, e che, quindi, in difetto di una violazione di legge o di regolamento, analogamente a quanto si ritiene con riferimento al reato di abuso di ufficio, dovrebbe escludersi qualunque offesa al bene giuridico del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Si deduce, poi, che le attivita’ sono state effettivamente svolte, e che il ricorrente nutriva il convincimento dell’inapplicabilita’ del nuovo contratto decentrato di istituto, meno favorevole del contratto collettivo nazionale integrativo, in quanto le prestazioni era state effettuate in epoca precedente. Si rileva che la sentenza impugnata non ha creduto alla buona fede perche’, per prassi e tradizione, la contrattazione collettiva era sempre intervenuta a regolare retroattivamente i diversi istituti e prestazioni, e che, pero’, da un lato, vi e’ una clausola nel contratto decentrato di istituto in forza della quale: “Il presente accordo decorre dalla data di sottoscrizione”, e, dall’altro, questo accordo, stipulato 18 luglio 2007, era entrato in vigore ben tre mesi dopo la certificazione degli incarichi aggiuntivi e dei relativi compensi, data 18 aprile 2017.
Si aggiunge che non puo’ nemmeno contestarsi come indizio del dolo il mancato aggiornamento della tabella di liquidazione dei compensi allegata alla Delib. n. 274 del 2007, tanto piu’ che il contratto integrativo nazionale del 22 giugno 2005, i cui parametri sono stati posti a base della Delib. n. 274 del 2007, dettava espressamente norme suscettibili di immediata applicazione.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 314 c.p., articolo 61 c.p., n. 9 e articolo 640 c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla qualificazione del fatto come peculato invece che come truffa aggravata dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto il peculato ed escluso la truffa aggravata, fraintendendo i principi giurisprudenziali in materia di procedure complesse e di attivita’ decettive connesse allo svolgimento di queste. Precisamente, si premette che la Corte d’appello ha evidenziato che il ricorrente era intervenuto non in una fase meramente esecutiva, bensi’ nella fase istruttoria della pratica, predisponendo gli atti di disposizione da sottoporre al Consiglio di amministrazione del Conservatorio, ed aveva inoltre carpito la buona fede dei componenti dell’organo, sicche’ il fatto era sussumibile nella fattispecie di peculato a norma degli articoli 48 e 314 c.p.. Si aggiunge che, anzi, secondo la sentenza impugnata, l’inganno, diretto nei confronti dei componenti dell’organo deliberante, ma anche dell’organo di controllo contabile, era stato necessario perche’ il presidente del consiglio di amministrazione era convinto di dover applicare il nuovo contratto integrativo di istituto, come rende evidente il richiamo, nel testo della delibera, al medesimo contratto integrativo di istituto, indicato come emesso “in conformita’” a quelli collettivi nazionali, sulla base dei cui piu’ generosi parametri, invece, era stata effettuata la liquidazione. Si osserva, poi, che in casi esattamente sovrapponibili, la giurisprudenza di legittimita’ ha ravvisato gli estremi del reato di truffa aggravata; in particolare, si citano: Sez. 6, n. 24768 del 31/03/2016; Sez. 6, n. 10309 del 22/01/2014; Sez. 6, n. 31243 del 04/04/2014.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 157 e 158 c.p. e articolo 159 c.p., comma 1, n. 3, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla mancata dichiarazione di prescrizione del reato, riqualificato in termini di truffa aggravata.
Si deduce che la riqualificazione del fatto come truffa aggravata impone la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, maturata antecedentemente alla pronuncia della Corte d’appello. Si rileva che il fatto per cui e’ stata emessa condanna e’ contestato come commesso “sino al (OMISSIS)”, che le sospensioni sono pari complessivamente a 203 giorni, e che, quindi, il termine per la maturazione della prescrizione si e’ consumato il 4 novembre 2015.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. La prima delle due censure dedotte nel primo motivo di ricorso contesta la configurabilita’ del peculato perche’ le somme in contestazione sono state erogate in violazione di disposizioni contenute in un contatto collettivo decentrato e, quindi, non in violazione di norme di legge o di regolamento. Si assume che il difetto di violazioni di norme di legge o di regolamento esclude l’offesa al bene giuridico del buon andamento della Pubblica Amministrazione, come si evince dalla disciplina in tema di abuso d’ufficio.
La censura non tiene conto che il richiamo alla violazione della disposizione del contratto collettivo d’istituto ha la funzione di rappresentare che le somme sono state erogate in assenza di qualunque base giuridica. Ed infatti, la sentenza impugnata (cfr. spec. p. 97-98), cosi’ come gia’ l’imputazione, evidenzia che i fondi oggetto di indebita appropriazione furono assegnati ai sei dipendenti in violazione dell’articolo 24 del regolamento di amministrazione, finanza e contabilita’ dell’ente, approvato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, articolo 14, comma 2, lettera c), in forza del quale “Le spese debbono essere deliberate quando e’ giuridicamente perfezionata la relativa sottostante obbligazione e nei limiti del quantum dovuto”.
Cio’ posto, l’attribuzione di denaro pubblico in assenza di un titolo che la legittima e’ condotta che assume un significato direttamente offensivo del patrimonio della Pubblica Amministrazione: quest’ultima, in conseguenza del fatto appena descritto, e’ privata di somme di sua spettanza senza causa, e, quindi, senza alcuna giustificazione giuridicamente apprezzabile.
Tanto e’ sufficiente per la configurabilita’ del reato di peculato.
Invero, la fattispecie di cui all’articolo 314 c.p. si realizza per effetto dell’appropriazione di denaro o di altra cosa mobile altrui di cui il pubblico agente abbia il possesso o la disponibilita’ per ragione del suo ufficio o servizio; la disposizione, invece, non indica, tra gli elementi costitutivi del reato, la violazione di legge o di regolamento.
3. La seconda censura formulata nel primo motivo riguarda la correttezza della ricostruzione del fatto, in particolare con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo in capo al ricorrente.
3.1. Estremamente articolata e’ la ricostruzione della vicenda operata dalla Corte d’appello, sia con riferimento ai profili oggettivi, sia in relazione all’elemento soggettivo.
3.1.1. Per quanto attiene al fatto oggettivo dell’appropriazione ingiustificata di denaro pubblico, la sentenza impugnata rappresenta, innanzitutto, che la Delib. n. 274 del 2007, erogo’ a sei assistenti amministrative compensi per importi superiori ai limiti previsti dal contratto decentrato di istituto in relazione ad attivita’ relative all’anno 2005/2006.
Si segnala, precisamente, che gli esborsi ingiustificati sono stati quantificati: a) per (OMISSIS), in Euro 1.300,00; b) per (OMISSIS) in 800,00 Euro; c) per (OMISSIS) in 1.700,00 Euro; d) per (OMISSIS) in Euro 1.900,00; e) per (OMISSIS) in Euro 1.200,00; f) per (OMISSIS) in Euro 3.400,00. Si rileva, inoltre, che i compensi erogati sono relativi agli incarichi indicati nella nota del 18 aprile 2007, in base alla quale fu effettuata la liquidazione con la successiva Delib. n. 274 del 2007, e che vi e’ una discrasia tra gli incarichi cosi’ elencati e quelli conferiti formalmente dall’imputato (OMISSIS) con lettera del 23 giugno 2006; si osserva, in proposito, che la nota del 18 aprile 2007 risulta operare aggiustamenti diretti “a fare conseguire a tutte e sei le assistenti amministrative un uguale trattamento economico aggiuntivo”.
La medesima sentenza, poi, ritiene che indiscutibilmente, al momento dell’adozione della Delib. n. 274 del 2007, il contratto collettivo decentrato di istituto del 18 luglio 2007 era vigente ed applicabile ai fini della determinazione dei compensi da corrispondere alle stesse per l’anno 2005/2006.
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