La legittimita’ del sequestro probatorio deve essere valutata non gia’ nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma in riferimento all’idoneita’ degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilita’ della “res” o l’acquisizione della stessa nella disponibilita’ dell’A.G.
In sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale e’ chiamato a verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, valutando il “fumus commissi delicti” sotto il profilo della congruita’ degli elementi rappresentati e, quindi, della sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro.
Ai fini della legittimita’ del sequestro probatorio non e’ necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilita’, purche’ non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilita’ di un rapporto di queste con il reato; configurabilita’ che deve nel caso di specie ritenersi raggiunta ove si consideri che le scritture contabili dell’impresa facente capo al ricorrente conterrebbero comunque i dati relativi alla molitura delle olive, ai trasporti ed all’introduzione dei frutti, cosi’ come alla restituzione dei medesimi in forma di olio, e che in ogni caso il soggetto colpito dalla misura non e’ impedito a richiedere l’estrazione ed il rilascio delle copie necessarie per la propria attivita’ commerciale ai sensi dell’articolo 258 c.p.p..
Sentenza 29 agosto 2017, n. 39508
Data udienza 30 gennaio 2017
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza in data 6.4.2016 del Tribunale di Grosseto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALLI Massimo, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso con i provvedimenti di cui all’articolo 616 c.p.p..
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in data 6.4.2016 il Tribunale di Grosseto, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro probatorio disposto nei confronti di (OMISSIS) e di altri 46 indagati, fra persone fisiche ed enti, per i reati di frode in commercio aggravata dall’aver ad oggetto alimenti a denominazione protetta, contraffazione di indicazioni geografiche e denominazione d’origine di prodotti alimentari, falsita’ in registri e notificazione e per taluni di essi anche per il delitto di associazione a delinquere nell’ambito di un’operazione commerciale fraudolenta facente capo a (OMISSIS), rappresentante e gestore dell’impresa olearia (OMISSIS) s.r.l.. Costui, stando alla ricostruzione del fatto operata dal Tribunale, avrebbe acquistato nel 2014 ingenti partite di olio di origine greca, senza averne prodotto di proprio ed avendo lavorato nel proprio frantoio solo piccoli quantitativi di olive per conto terzi, ed avrebbe invece proceduto alla vendita, attraverso la ditta (OMISSIS) che provvedeva allo smistamento agli acquirenti finali, di altrettanto ingenti quantita’ di olio extravergine comunitario con indicazione geografica protetta, ovverosia etichettandolo come “toscano” e lucrando la cospicua maggiorazione del prezzo di rivendita applicato alla merce rivenduta in ragione della superiore qualita’ del prodotto fittiziamente risultante dalle false indicazioni di olio toscano, del quale aveva simulato la molitura previo altrettanto fittizio acquisto da produttori italiani delle corrispondenti partite di olive. Anche nei confronti dei ricettori commerciali dei prodotti oleari, fra cui il (OMISSIS), era stato proceduto a sequestro, previo decreto di perquisizione sia locale che informatica, sull’assunto che potesse trovarsi presso i rispettivi uffici o aziende,documentazione contrattuale o contabile o fiscale utile a ricostruire l’effettivo volume delle attivita’ di produzione e commercializzazione dell’olio.
Avverso il suddetto provvedimento (OMISSIS) ha proposto ricorso in Cassazione affidandone le sorti ad un unico motivo con il quale lamenta l’arbitrarieta’ del proprio coinvolgimento in qualita’ di indagato come concorrente nel reato, senza che emerga alcun elemento nei propri confronti a suffragio dell’ipotesi delittuosa concorsuale, essendosi egli limitato ad acquistare una modestissima quantita’ di olio dalla societa’ (OMISSIS), collegata nell’ipotizzata associazione a delinquere con il (OMISSIS), debitamente riscontrabile dalle proprie scritture contabili. Sostiene, in sintesi, il ricorrente che illegittimamente si era proceduto nei propri confronti al generico sequestro di tutta la documentazione informatica presente nella sua azienda al solo scopo di ricercare la notizia criminis e non gia’ di assicurare al processo le fonti di prova, e che altrettanto illegittima era la sua iscrizione nel registro degli indagati, giustificata sulla inverosimiglianza dell’ipotesi che egli, quale operatore nello specifico settore commerciale oleario, non potesse non essere consapevole di ricevere un olio in luogo di un altro, ovverosia su un assunto del tutto astratto, che rendeva meramente apparente la motivazione in punto di fumus in ordine ai reati ascrittigli, rispetto ai quali si poneva semmai quale persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non puo’ ritenersi fondato.
Costituisce principio pacifico, secondo l’indiscusso insegnamento di questa Corte, che la legittimita’ del sequestro probatorio deve essere valutata non gia’ nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma in riferimento all’idoneita’ degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilita’ della “res” o l’acquisizione della stessa nella disponibilita’ dell’A.G. (Sez. 3, n. 15177 del 24/03/2011 – dep. 14/04/2011, P.M. in proc. Rocchino, Rv. 250300; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015 – dep. 14/04/2015,Previtero Rv. 263053).
Pertanto, quand’anche gli elementi indiziari posti a fondamento della responsabilita’ concorsuale del ricorrente non fossero sufficienti, in ragione dell’astrattezza delle imputazioni, a configurare il suo concreto coinvolgimento nell’operazione fraudolenta di natura commerciale posta in essere dai titolari delle ditte (OMISSIS) e (OMISSIS), occorre tuttavia rilevare che in sede di riesame del sequestro probatorio, il Tribunale era chiamato a verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, valutando quindi il fumus commissi delicti sotto il profilo della congruita’ degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi’ come esposti, al fine di verificare se il vincolo di temporanea indisponibilita’ dei beni sequestrati sia funzionale al corretto svolgimento delle indagini. Del resto il concetto del fumus di reato che caratterizza i presupposti per l’emanazione di sequestro probatorio, dovendo essere letto nella logica che presiede alla disciplina di cui agli articolo 352 c.p.p. e ss. relativa cioe’ all’assicurazione delle fonti di prova, si configura ben piu’ dilatato di quello costituente il presupposto del diverso istituto del sequestro preventivo ove si consideri che interviene di norma, come nel caso in esame, nella fase iniziale delle indagini dove l’ipotesi accusatoria che pur deve essere necessariamente presente e’ ancora in nuce, e cioe’ suscettibile di ulteriore definizione (cosi’ Sez. 3, n. 28151 del 20/3/2013, P.M. in proc. Chifor, Rv. 255458; Sez. 3, n. 33873 del 7.4.2006, rv. 234782; cfr., pure id. sez. 2, 27.9.2004, n. 44399, Rv. 229899).
A cio’ consegue che le attivita’ e i provvedimenti di perquisizione e sequestro probatorio, operati d’iniziativa dalla polizia giudiziaria e quindi convalidati oppure disposti dal Pubblico ministero, possono dirsi illegittimi solo nel caso che non trovino giustificazione in una notizia di reato legittimamente acquisita, ad esempio sulla base di sola fonte confidenziale, oppure nel caso che siano attivati in assenza di elementi di fatto sussumibili all’interno di una specifica ipotesi di reato.
L’applicazione di tali principi al caso concreto consente di ritenere l’ordinanza impugnata immune da censure. Premesso che il fumus va ri(OMISSIS)to al reato e non gia’ alla colpevolezza dei singoli indagati, che costituira’ oggetto di valutazione in sede di merito, occorre rilevare che la notizia di reato, delineata con sufficiente chiarezza nella sua, pur complessa, sequenza temporale, contiene elementi che risultano indicativi di possibili frodi commerciali, contraffazione di indicazioni geografiche e di denominazione di origine di prodotti alimentari, cosi’ come di falsita’ in registri, rispetto ai quali la posizione del ricorrente, seppur marginale rispetto a quella dei gestori delle imprese che hanno proceduto alla vendita dell’olio, non ne esclude a livello di ipotesi provvisoria la riconducibilita’ in astratto alla condotta concorsuale, senza possibilita’ in sede di riesame di approfondimenti in ordine all’elemento soggettivo configurante il discrimen tra la posizione di concorrente e quella di persona offesa dall’altrui perpetrazione del reato, riservata necessariamente al giudizio di merito.
Premesso che in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale e’ chiamato a verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, valutando il “fumus commissi delicti” sotto il profilo della congruita’ degli elementi rappresentati e, quindi, della sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro. (Sez. 5, n. 24589 del 18/04/2011 – dep. 20/06/2011, Misseri, Rv. 250397), correttamente i giudici di Grosseto hanno ritenuto il sequestro dei documenti contabili relativi all’azienda del ricorrente strumentale alla definizione delle indagini, rispondendo alla finalita’ di verificare l’estensione dell’operazione commerciale fraudolenta e l’esistenza dei fatti costituitivi dei reati ipotizzati, che non necessariamente postulano la qualifica di indagato, ben potendo essere adottati nei confronti di chiunque ne sia in possesso, senza che tuttavia l’iscrizione del ricorrente nel registro degli indagati si traduca in un nocumento per costui, rispondendo invece ad una funzione di maggior tutela nei confronti del titolare di cose che vengano comunque assoggettate a sequestro probatorio, misura che postula pur sempre l’ipotizzabilita’, in punto di fumus, di un reato e che si traduce nel mezzo di ricerca delle prove del medesimo. Del resto, sempre secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ai fini della legittimita’ del sequestro probatorio non e’ necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilita’, purche’ non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilita’ di un rapporto di queste con il reato (Sez. 6, n. 33229 del 02/04/2014 – dep. 28/07/2014, Visca, Rv. 260339): configurabilita’ che deve nel caso di specie ritenersi raggiunta ove si consideri che le scritture contabili dell’impresa facente capo al ricorrente conterrebbero comunque i dati relativi alla molitura delle olive, ai trasporti ed all’introduzione dei frutti, cosi’ come alla restituzione dei medesimi in forma di olio, e che in ogni caso il soggetto colpito dalla misura non e’ impedito a richiedere l’estrazione ed il rilascio delle copie necessarie per la propria attivita’ commerciale ai sensi dell’articolo 258 c.p.p..
All’esito del ricorso segue la condanna del ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi’ deciso in Roma, il 30 gennaio 2017.
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