Legittimo il licenziamento della cassiera del supermercato che accredita sulla propria carta punti l’importo della spesa fatta dai clienti
Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 24 luglio 2017, n. 18184
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente
Dott. CURCIO Laura – Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16271-2015 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 289/2014 della CORTE D’APPELLO SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 24/11/2014 R.G.N. 126/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/03/2017 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO, che ha concluso per l’inammissibilita’ o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Sassari del 19.11.2011 (OMISSIS), gia’ dipendente della societa’ (OMISSIS) spa con mansioni di hostess di cassa, impugnava il licenziamento disciplinare intimatole in data 25 maggio 2011, a seguito delle contestazioni dei precedenti giorni 7 e 13 maggio, per avere accreditato indebitamente nel periodo dal 5 ottobre 2010 al 5 maggio 2011 sulla propria carta punti ((OMISSIS)) l’importo della spesa fatta dai clienti, accumulando punti equivalenti alla somma di Euro 50, spendibile sotto forma di sconti presso gli ipermercati aderenti al circuito della fidelity card.
Il Tribunale respingeva il ricorso (sentenza nr. 830/2013).
Con sentenza del 12-24.11.2014 (nr. 289/2014) la Corte di appello di Cagliari rigettava l’appello della lavoratrice.
La Corte territoriale rilevava che non era dubbia la consapevolezza della lavoratrice di tenere una condotta vietata dalla datrice di lavoro giacche’ i testi della societa’ avevano concordemente riferito che il regolamento aziendale, che conteneva il divieto, si trovava affisso in bacheca e che inoltre era affissa una pagina che riguardava proprio il divieto di utilizzo da parte delle cassiere della propria carta punti in occasione dell’acquisto effettuato dalla clientela. Era stato altresi’ provato dall’interrogatorio formale che la (OMISSIS) aveva partecipato, come le altre cassiere, ad un corso di aggiornamento circa l’utilizzo della stessa carta.
Doveva pertanto escludersi la semplice colpa lieve della lavoratrice.
Il licenziamento appariva altresi’ proporzionato all’addebito.
La gravita’ della condotta doveva essere apprezzata non gia’ rispetto alla tenuita’ del danno patrimoniale (il danno era pari a poco piu’ di 20 Euro perche’ parte dello sconto dei buoni andava a carico del fornitore) ma alla lesione del vincolo fiduciario che ne derivava; la (OMISSIS) aveva reiteratamente e consapevolmente violato il regolamento aziendale e tale fatto, considerata la delicatezza delle mansioni, era idoneo a far venir meno il rapporto di fiducia.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (OMISSIS), articolato in due motivi.
Ha resistito con controricorso la societa’ (OMISSIS) spa.
Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la lavoratrice ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 e n. 4 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 statuto dei lavoratori in combinato disposto con l’articolo 2119 c.c., articolo 229 CCNL, articolo 1455 c.c..
La censura investe la statuizione di proporzionalita’ del licenziamento rispetto alla contestazione.
La ricorrente ha dedotto la carenza di motivazione in ordine alla avvenuta irreversibile lesione del vincolo fiduciario, evidenziando la tenuita’ del danno, la assenza di precedenti rilievi disciplinari, il pentimento manifestato e la avvenuta restituzione della carta (OMISSIS), ancora non utilizzata.
Ha affermato che l’articolo 225 del CCNL di categoria prevedeva diverse tipologie di sanzione disciplinare (biasimo verbale, biasimo scritto, multa, sospensione, licenziamento); tra le cause di licenziamento indicate non rientrava l’utilizzo non corretto della carta (OMISSIS) ma le gravi violazioni di cui all’articolo 220 del CCNL, commi primo e secondo, nelle quali non era compreso l’addebito contestato. Infine l’articolo 229 CCNL, che si riferiva all’articolo 2119 c.c., conteneva una casistica esemplificativa delle ipotesi di licenziamento, ed indicava, tra l’altro, la appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi, fattispecie che il giudice del primo grado aveva ritenuto erroneamente di ravvisare.
La gravita’ del fatto doveva essere valutata con il criterio di cui all’articolo 1455 c.c., ovvero la non scarsa importanza dell’inadempimento, nella specie insussistente.
Il motivo e’ infondato.
Preliminarmente va dichiarata la improcedibilita’ delle censure di violazione e falsa applicazione dell’articolo 229 del CCNL; la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere di deposito in questa sede, ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 4, del testo integrale del CCNL – funzionale a consentirne a questa Corte una corretta interpretazione ed applicazione (sulla necessita’ del deposito della copia integrale del CCNL si veda Cass. SU., 23/09/2010, n. 20075) – ne’ ha, alternativamente, specificato nell’attuale ricorso di averlo prodotto nelle fasi di merito indicando la sede in cui il documento sia rinvenibile (Cassazione civile, sez. un., 07/11/2013, n. 25038).
Quanto alle ulteriori censure, il giudice del merito ha correttamente fondato il suo giudizio di proporzionalita’ della sanzione sulla intensita’ del vincolo fiduciario sotteso alle mansioni di cassiera e sulla gravita’, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, di una condotta reiterata, consapevole e volontaria di trasgressione del regolamento aziendale benche’ esso prevedesse la punibilita’ della infrazione commessa con il licenziamento. Tale giudizio e’ esente dalle critiche mosse giacche’ la tenuita’ del danno e la mancanza di precedenti disciplinari non sono circostanze in se’ decisive, dovendo piuttosto verificarsi se l’inadempimento, complessivamente valutato, sia idoneo ad incidere sulla prognosi di futura correttezza dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa.
Ne’ ha pregio la censura articolata in riferimento alla mancata applicazione dell’articolo 1455 c.c..
Parte ricorrente sostiene che l’inadempimento del lavoratore debba essere valutato secondo il parametro della non – scarsa importanza di cui al suddetto articolo.
Questa Corte ha ripetutamente affermato, invece (ex plurimis: Cassazione civile sez. lav. 25 maggio 2016 n. 10842;Cassazione civile sez. lav. 16 ottobre 2015 n. 21017;Cassazione civile sez. lav. 25 giugno 2015 n. 13162; Cassazione civile sez. lav. 26 ottobre 2010 n. 21912;Cassazione civile sez. lav. 22 marzo 2010 n. 6848), che nel licenziamento disciplinare la gravita’ dell’inadempimento deve esse valutata secondo il parametro piu’ rigoroso dell’ inadempimento notevole degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, articolo 3) ovvero tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (articolo 2119 c.c.), in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’articolo 1455 c.c.. Tale parametro e’ stato correttamente applicato dalla Corte di merito.
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 e n. 4, – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in combinato disposto con gli articoli 115, 116 e 416 c.p.c. e con l’articolo 2729 c.c., nonche’ violazione e falsa applicazione dell’articolo 252 c.p.c..
Ha esposto che la societa’ non aveva contestato il fatto che ella aveva ammesso l’addebito solo perche’ il direttore le aveva assicurato che in tal modo avrebbe evitato il licenziamento, fatto oggetto del capitolo 2 della prova per testi. Da cio’ risultava la mancanza di dolo nella trasgressione delle regole aziendali ed il carattere colposo del comportamento.
L’accertamento della Corte di merito era frutto di una errata applicazione della regola di cui all’articolo 2729 c.c.: il giudice dell’appello desumeva la sua conoscenza del divieto aziendale dal fatto di avere seguito un corso sull’utilizzo della carta (OMISSIS); dal fatto noto non si poteva tuttavia ricavare la sua consapevolezza del fatto che la trasgressione delle regole di utilizzo potesse dar luogo al licenziamento piuttosto che alla applicazione di sanzioni meno gravi.
La ricorrente ha altresi’ dedotto l’erronea valutazione, in violazione dell’articolo 252 c.p.c., della attendibilita’ dei testi introdotti dalla societa’- piuttosto che del teste (OMISSIS) – in ordine ai contenuti del regolamento aziendale affisso in bacheca; da una corretta valutazione delle fonti di prova sarebbe derivata la conclusione che la societa’ non aveva assolto all’onere di provare la avvenuta affissione del regolamento aziendale ed i suoi contenuti.
Il motivo e’ inammissibile.
Le censure, benche’ formalmente qualificate sub specie di vizio di violazione di norme di diritto, investono l’accertamento del fatto storico da parte del giudice del merito all’esito della valutazione delle prove, in particolare in punto di affissione del regolamento aziendale, di consapevolezza da parte della odierna ricorrente dei suoi contenuti e di volonta’ della trasgressione.
Tale accertamento di fatto e’ denunziabile in questa sede di legittimita’ soltanto nei limiti di deducibilita’ del vizio della motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Come ripetutamente affermato da questa Corte lo scrimine tra il vizio di violazione di legge in senso proprio, a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, e la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, e’ segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonche’ Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499).
Nella fattispecie di causa la deducibilita’ del vizio di motivazione incontra la assoluta preclusione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile ratione temporÃÂÂs (il ricorso in appello e’ stato depositato nell’anno 2014), in quanto la avvenuta affissione del codice disciplinare e la volontarieta’ della condotta illecita contestata sono state accertate in modo conforme nei due gradi di merito.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, (che ha aggiunto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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