Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 19 gennaio 2015, n. 2329
Considerato in fatto
1. Avverso la sentenza con cui in data 3-11.4.2014 la Corte d’appello di Campobasso ha confermato l’affermazione della sua responsabilità ai fini penali e civili, deliberata dal Tribunale di Larino il 15.12.10 per reato ex art. 570 cod.pen. in danno della moglie, solo concedendogli la sospensione condizionale della pena, ricorre N.C. a mezzo del difensore, avv. Salvatore Pilone, con unico motivo di erronea applicazione della legge penale ed inosservanza delle norme processuali, in relazione all’omessa esclusione della parte civile.
2. II ricorrente deduce che la persona offesa, che riconosce pienamente legittimata all’esercizio dell’azione civile nella fattispecie per cui si procede, si è tuttavia costituita in primo grado con modalità illegittime, perché in concreto l’atto di costituzione e la pertinente necessaria procura speciale sono stati depositati in udienza da un sostituto dei difensore-procuratore speciale, tuttavia non abilitato dai termini in cui concretamente la procura speciale per la costituzione era stata conferita al titolare della difesa tecnica. Quindi, erronea sarebbe stata la risposta della Corte d’appello, che ha affermato l’inammissibilità della questione nel giudizio di impugnazione, con la conseguente inammissibilità del motivo, sovrapponendo due aspetti del tutto differenti: la legittimazione processuale e le concrete modalità di esercizio del corrispondente diritto.
Ragione della decisione
3. II ricorso è fondato, nei termini che seguono.
Anche la Corte d’appello conviene con il consolidato principio di diritto secondo il quale il sostituto processuale (nominato ex art. 102 cod.proc.pen. dal difensore titolare della difesa tecnica) è legittimato alla difesa tecnica ma non alla costituzione di parte civile nel processo, quando la procura speciale che ha attribuito al difensore, insieme con la nomina a difensore tecnico (ex art.100 cod.proc.pen.), pure i poteri dispositivi relativi al diritto in contesa propri della parte (artt. 76 e 122 cod.proc.pen.) non lo preveda espressamente (Sez.6 sent. 33228 del 14.5.2014, dep. 28.7.2014; Sez. 5, sent. 19548 del 3.2.2010, dep. 24.5.2010). La Corte distrettuale non ha contraddetto lo specifico assunto dell’imputato che, nel caso concreto, tale specifica ed espressa previsione non era presente, dato che pertanto deve ritenersi acquisito al processo. Dal verbale dell’udienza in cui è avvenuta la dichiarazione di costituzione di parte civile da parte del sostituto risulta che neppure era presente la persona offesa.
4. La questione di diritto che il ricorso pone è pertanto quella dell’impugnabilità dell’ordinanza con la quale sia stata rigettata la richiesta di esclusione della parte civile, richiesta fondata non sulla contestazione del suo diritto sostanziale a costituirsi, ma sulle concrete modalità con cui la costituzione in giudizio è intervenuta.
5. La Corte d’appello ha ritenuto tale ordinanza non impugnabile, richiamando due pronunce di questa Corte: Sez. 4 sent. 7291 del 21.11.2002, dep. 14.2.2003 e Sez.5 sent. 2071 del 25.11.2008, dep. 20.1.1009, ma pare aver sovrapposto due tematiche diverse: quella della impugnabilità e quella della specificità del motivo di impugnazione (la cui mancanza è per sè causa di inammissibilità di un’impugnazione astrattamente ammissibile).
5.1 Va ricordato che il nostro caso è non quello dell’impugnazione della statuizione positiva dell’esclusione della parte civile, che provenga dalla persona offesa che si era costituita parte civile ed era stata estromessa (Sez.7, ord. 10880 del 11.10.2012, dep. 7.3.2013), bensì quello dell’impugnazione dell’imputato che abbia visto respingere la sua richiesta di esclusione della parte civile che si è costituita.
Proprio la sentenza delle S.U. n. 12 del 19.5.1999, dep. 13.7.1999, Pediconi ha chiarito che mentre l’ordinanza dibattimentale di (positiva) esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, quella di inammissibilità o rigetto della richiesta di esclusione è impugnabile da parte dell’imputato, unitamente all’impugnazione della sentenza.
Questo perché, una volta esclusa nel giudizio di primo grado, la persona offesa che intendeva esercitare l’azione civile nel processo penale non è più parte dello stesso, che infatti si svolge regolarmente in sua assenza, sicché sarebbe sistematicamente del tutto anomala un’impugnazione tardiva. Né la scelta del legislatore di non permettere un’immediata impugnazione dell’ordinanza che abbia deliberato l’esclusione della parte civile si presta a censure di costituzionalità, atteso che la persona offesa può sempre esercitare la propria azione civile nella sede civile, il suo pregiudizio pertanto essendo sostanzialmente di mero fatto. Invece, l’imputato – che è parte fisiologica e necessaria del processo – ha un permanente interesse a contrastare decisioni in ipotesi erronee che hanno un’immediata incidenza sul capo della decisione afferente le questioni civili pertinenti al fatto di reato per cui si procede. Così specificamente sul punto, le richiamate Sezioni unite di questa Corte: «4.5 L’interpretazione letterale e quella logico-sistematica si saldano pertanto a favore della soluzione più liberale, nel senso che la stabilità decisoria dell’ordinanza dibattimentale ammissiva della parte civile (…) deve ritenersi in ogni caso provvisoria, “allo stato degli atti’; idonea perciò a giustificare una limitata preclusione endoprocessuale, la cui ratio è quella di garantire, in base ad intuitive esigenze di economia processuale, l’ordinato e progressivo svolgimento del giudizio in presenza di una parte eventuale, senza l’instaurazione di fasi incidentali produttive di stasi nel processo penale. È viceversa consentito, con la sentenza di merito soggetta a sua volta agli ordinari mezzi di gravame, il controllo da parte del giudice dei presupposti di legittimità formale e sostanziale per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale – sia la legitimatio ad causam, sia la legítimatio ad processum, sia l’osservanza delle formalità e dei termini prescritti dalla legge a pena d’inammissibilità – e per il conseguente riconoscimento del “diritto” della parte civile al risarcimento del danno».
5.2 La giurisprudenza di legittimità successiva si è assestata su questo puntuale e chiaro insegnamento: per tutte, Sez.4 sent. 4101 del 6.12.2012, dep. 25.1.2013; Sez.1 sent. 4060 del 8.11.2007, dep. 25.1.2008; Sez.2 sent. 30045 del 12.3.2003, dep. 17.7.2003.
Le due sentenze richiamate dai Giudici d’appello in realtà non paiono contrastare direttamente questo comunque ormai consolidato insegnamento, ma (specialmente la sentenza Sez.5 n. 2071 del 25.11.2008) lo raccordano con i principi generali in tema di specificità dei motivi di impugnazione ai sensi dell’art. 581 cod.proc.pen., in sostanza negando che l’impugnazione da parte dell’imputato dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile o ha rigettato la sua richiesta di esclusione della parte civile, proposta insieme con l’impugnazione della sentenza ex art. 586 cod.proc.pen., possa sottrarsi alle generali regole di ammissibilità e, in particolare, al requisito della specificità dei motivo che, per il ricorso per cassazione, pretende anche l’espresso confronto argomentativo con le risposte date dai Giudici del merito alle medesime richieste (deve anche osservarsi che la sentenza Sez. 4 n. 7291 del 21.11.2002 sul punto non si confronta espressamente con la pure richiamata sentenza Pediconi).
6. Tutto ciò premesso, osserva riassuntivamente la Corte che: la statuizione di inammissibilità dell’appello dell’imputato sul punto è errata per le ragioni appena esposte; il motivo attiene a questione di mero diritto e poggia su un assunto in fatto (la dichiarazione di costituzione di parte civile è avvenuta ad opera di un sostituto del soggetto nominato procuratore speciale senza che tale sostituzione fosse stata espressamente prevista e autorizzata e senza che la persona offesa interessata fosse fisicamente presente) che va ritenuto acquisito al processo; il motivo che chiede l’esclusione della parte civile è pertanto ammissibile e fondato; tale fondatezza, afferendo questione di diritto in contesto di fatto che non necessita di ulteriori approfondimenti, può essere direttamente rilevata da questa Corte di legittimità, che ai sensi dell’art. 620 lett. L) cod.proc.pen. può dare i provvedimenti necessari: consegue l’annullamento senza rinvio del punto della decisione delle due sentenze di merito relativo alle statuizioni civili, con la conseguente eliminazione delle pertinenti statuizioni, come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado limitatamente alle statuizioni civili, che elimina.
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