Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 19 gennaio 2015, n. 2334

 

Ritenuto in fatto

1. Con decreto del 19 dicembre 2013 il Tribunale di Torino, in qualità di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di accertamento del diritto di credito presentata in base agli artt. 1 comma 199 della legge 24 dicembre 2012, n. 28 (c.d. legge di stabilità) e 58 comma 2 del d.lgs. 159/2011, dal legale rappresentante della Italfondiario s.p.a., nell’interesse di Intesa San Paolo s.p.a., in relazione ad un mutuo ipotecario gravante sull’appartamento sito in (omissis) , e oggetto di un provvedimento di confisca ex art. 2-ter legge n. 575/1965, disposto dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale torinese in data 9.6.2005, divenuto definitivo il 27.4.2007.
2. L’immobile, formalmente intestato a R.C. , era nella effettiva disponibilità del suo compagno, C.C. , sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale in quanto appartenente ad associazione mafiosa e accusato di rapina, sequestro di persona e omicidio, sicché la confisca dell’appartamento era stata giustificata in quanto si era ritenuto che il bene costituisse il reimpiego delle attività illecite poste in essere dal C. .
Dal provvedimento del Tribunale di Torino si apprende che la R. aveva acquistato l’immobile il 17.10.2001 dalla Euromarmi s.a.s. al prezzo di lire 120.345.308, con accollo del residuo mutuo ipotecario che la venditrice aveva stipulato con la Cariplo s.p.a. sin dal 1999; tuttavia, la R. aveva corrisposto solo le prime rate di mutuo, restando debitrice della somma complessiva di Euro 82.287 comprensiva delle rate insolute, del capitale residuo e degli interessi.
Di questa somma l’istituto bancario Intesa San Paolo s.p.a., succeduto per una serie di fusioni per incorporazione alla Cariplo, originario creditore, ha richiesto l’accertamento del credito vantato, assumendo che la garanzia era stata rilasciata sei anni prima del provvedimento di confisca emesso nel procedimento di prevenzione a carico di C. e che l’istituto dovesse ritenersi in buona fede e quindi legittimato a richiedere l’accertamento del credito.
3. Il Tribunale, recependo le richieste formulate dall’Agenzia del Demanio e dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, costituitesi nel procedimento di cui all’art. 666 c.p.p., ha, invece, ritenuto che non ricorrano i presupposti per l’accoglimento della domanda, escludendo che l’istituto di credito si sia trovato in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole. In particolare, secondo i giudici l’istituto bancario avrebbe dovuto rendersi conto che il soggetto che era subentrato nel contratto di mutuo ipotecario era un interposto fittizio.
4. Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione la Italfondiario s.p.a. per mezzo dei difensori Bruno De Siena e Donatella Mondini.
Con un unico motivo si deduce la violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2001 e il connesso vizio di motivazione in relazione alla interpretazione che il Tribunale avrebbe dato dei principi di buona fede e di affidamento incolpevole in capo al creditore ipotecario per la tutela del suo diritto reale di garanzia.
Si assume che la verifica della buona fede andava fatta con riferimento al momento in cui il contratto di mutuo ipotecario è stato sottoscritto nel 1999 con la società Edilmarmi, mentre il Tribunale avrebbe accolto un’interpretazione eccessivamente estesa della nozione di incolpevole affidamento, sostenendo l’esistenza di un difetto di diligenza della banca in una fase successiva a quella della costituzione di ipoteca, cioè dopo che il credito era stato erogato da oltre due anni e da altrettanto tempo era stata iscritta la garanzia ipotecaria sul bene nei pubblici registri immobiliari.
Peraltro, si evidenzia come, anche prendendo in esame il periodo successivo all’acquisto dell’immobile da parte della R. , debba escludersi ogni ipotesi di mancanza di diligenza della banca ovvero di atteggiamenti colposamente compiacenti e diretti a trarre vantaggio dalla attività illecita del C. .
In conclusione, si chiede l’annullamento del decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Torino per la rivalutazione della sussistenza del diritto e conseguente ammissione al passivo del credito riconosciuto.
5. In data 26 settembre 2014 i difensori della società Italfondiario hanno depositato una memoria, in cui oltre a ribadire i motivi presentati nel ricorso, rilevano come la fattispecie in esame debba essere valutata sulla base della normativa all’epoca vigente e tenendo presente la giurisprudenza di quel periodo sul principio della tutela dell’affidamento incolpevole.
Con riferimento agli accolli dei mutui in caso di compravendita, si sottolinea che nella specie l’accollo è avvenuto tre anni prima del procedimento di prevenzione a carico di C. e quattro anni prima del provvedimento di confisca, sicché non vi poteva essere alcun elemento che riconducesse R. al C. , legame che è stato accertato solo nel maggio 2004, epoca in cui è stato emesso il sequestro.

Considerato in diritto

6. Il ricorso è fondato.
6.1. Nella specie trova applicazione il combinato disposto degli artt. 1 comma 198 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e 52 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, trattandosi di una confisca disposta prima della data del 1 gennaio 2013, su un bene in relazione al quale l’iscrizione dell’ipoteca è avvenuta prima della trascrizione del sequestro di prevenzione.
La domanda della banca creditrice è stata tempestivamente proposta ai sensi dell’art. 1 comma 199 legge n. 228 del 2012 e la valutazione del giudice sulla sussistenza e l’ammontare del credito è avvenuta sulla base dell’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011. Come è noto, quest’ultimo articolo, dedicato alla tutela dei diritti dei terzi, esclude che la confisca pregiudichi i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro in presenza di una serie di condizioni, tra cui quella che il credito non risulti che sia stato strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, prevedendo tuttavia che in tali casi il creditore sia comunque ammesso a dimostrare di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità. È la stessa legge a fornire i criteri in forza dei quali valutare la buona fede del creditore richiedente, precisando che il giudice deve tenere conto “delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi”. Pertanto, la buona fede del terzo va riconosciuta non solo nei casi in cui risulti la sua estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa, ma anche là dove emerga una credibile inconsapevolezza delle attività svolte dal prevenuto. Tuttavia, è evidente come il legislatore, in forza di una consolidata giurisprudenza (cfr., per tutte, Corte cost., sent n. 1 del 1997, nonché Sez. un., 28 aprile 1999, n. 9, Bacherotti e Sez. V, 18 marzo 2009, n. 15328, Banca Campania s.p.a.) abbia inteso richiamare i concetti civilistici della tutela dell’affidamento, sicché deve ritenersi che la buona fede del terzo possa derivare da un errore scusabile, come tale immune da colpa. In altri termini, il convincimento del terzo sulla situazione apparente deve essere incolpevole e tale indagine deve compiersi caso per caso con riferimento alla ragionevolezza dell’affidamento, che non potrà essere invocato da chi versi in una situazione di negligenza, ad esempio per avere notevolmente trascurato obblighi derivanti dalla stessa legge (artt.1175, 1176, 1189, 1337, 1341, 1366, 1375, 1393, 1396 e 1429 codice civile) ovvero per non avere osservato comuni norme di prudenza attraverso cui accertarsi della realtà delle cose, anziché affidarsi alla mera apparenza dei fatti.
6.2. Questi criteri relativi al concetto di buona fede, derivanti direttamente dalla legge, non sono stati correttamente applicati nel caso in esame da parte del Tribunale di Torino, che ha ritenuto mancante la prova in ordine all’affidamento incolpevole della banca istante.
Invero i giudici riconoscono che nessun addebito colposo può essere rivolto all’istituto bancario al momento della conclusione del mutuo con la Euromarmi nel 1999, in quanto tale società risultava effettivamente estranea alla compagine mafiosa del C. ; è il successivo rapporto con la subentrante R. che secondo i giudici dimostrerebbe la negligenza dell’istituto bancario.
Infatti, gli elementi evidenziati dal Tribunale che renderebbero inescusabile il difetto di diligenza della banca sono i seguenti:
a) l’avere la R. acquistato l’appartamento del valore di 130 milioni di lire senza richiedere il frazionamento dell’ipoteca e così accettando di accollarsi un’ipoteca pari al doppio del valore del bene;
b) il fatto che la R. era una casalinga di stato civile libero;
c) la circostanza che dopo i primi due pagamenti delle rate rimesse sul conto corrente, i successivi versamenti sono avvenuti in contanti, da parte di un soggetto che non era correntista, nonostante il contratto lo escludesse espressamente.
Tuttavia, si osserva che una volta esclusa ogni collusione o condotta negligente da parte dell’istituto bancario al momento della originaria costituzione del diritto di garanzia reale sul bene acquistato dalla società Euromarmi, risultata del tutto estranea alle attività criminose del C. , deve rilevarsi che gli elementi indicati come sintomatici della mancanza di buona fede avrebbero potuto essere ritenuti rilevanti a quel fine soltanto se l’istituto bancario avesse potuto opporsi al subentro della R. nel contratto di mutuo ipotecario.
Questo aspetto è stato del tutto trascurato dal Tribunale, che si è limitato a rilevare il mancato frazionamento del mutuo da parte della R. , peraltro senza verificare se il contratto di mutuo prevedesse una simile possibilità.
Invero, deve riconoscersi che a seguito dell’acquisto dell’appartamento dalla società Euromarmi la R. è subentrata nel contratto di mutuo ipotecario senza che la banca potesse obiettare alcunché: in altri termini, il creditore ipotecario ha subito il subentro della R. non potendo certo opporsi alla successione nel contratto.
Occorre sottolineare, quindi, che non vi è stata trattativa o fase precontrattuale tra banca e nuovo acquirente del bene ipotecato, né vi è stata alcuna forma di erogazione di credito alla R. , avendo l’istituto ricevuto solo la comunicazione dell’intervenuta compravendita con l’accollo del mutuo: in altri termini non vi è stato un rapporto personale e diretto con l’acquirente del bene, sicché appare anche difficile ipotizzare una negligenza della banca per non avere rilevato la posizione di prestanome della R. .
Peraltro, dalle deduzioni difensive è emerso che all’atto del sub ingresso della Rosalia la società Euromarmi, originaria contraente del mutuo stipulato con la banca, non è stata liberata dalle obbligazioni di pagamento, in quanto l’accollo del mutuo è stato cumulativo, per cui non può neppure affermarsi che vi sia stata una condotta negligente dell’istituto bancario a tutela del proprio credito, né che vi siano stati favoritismi nei confronti della R. .
Del resto, anche la circostanza della mancata riduzione del mutuo non appare elemento sufficiente per escludere ogni ipotesi di buona fede da parte del terzo creditore, dal momento che non è stato chiarito se il frazionamento fosse effettivamente praticabile in presenza di una ipoteca accesa su un unico immobile e a garanzia di un unico debito, senza contare che appartiene alla prassi bancaria richiedere una ipoteca per un valore di gran lunga superiore al finanziamento concesso. A questo proposito la difesa della ricorrente ha evidenziato come per l’acquirente fosse impossibile ottenere una riduzione dell’iscrizione ipotecaria, in quanto l’art. 2873 comma 2 c.c. consente la riduzione proporzionale dell’ipoteca volontaria solo nel caso in cui siano stati eseguiti pagamenti parziali in misura tale da avere estinto almeno un quinto del debito originario, condizione che nella specie non ricorreva.
Inoltre, anche la corresponsione delle rate in contanti e la stessa interruzione dei pagamenti appaiono circostanze che, da sole, non giustificano una valutazione di carenza di buona fede della banca, trattandosi di situazioni che rientrano nella normalità del rischio c.d. bancario.
Per quanto riguarda l’altro elemento preso in considerazione dai giudici per ritenere la negligenza dell’istituto di credito, cioè il fatto che la R. fosse una casalinga non coniugata, si tratta di circostanza del tutto neutra ai fini che qui interessano, in quanto ciò che avrebbe dovuto rilevare è il collegamento con il C. , non certo lo stato familiare della R. . D’altra parte, la difesa ha dimostrato che l’accollo del mutuo da parte della acquirente è avvenuto tre anni prima del procedimento di prevenzione e quattro anni prima del provvedimento di confisca, sicché la banca non poteva avere elementi che collegassero R. a C. .
6.3. In conclusione si rileva come, con riferimento alla tutela dei diritti reali di garanzia nei rapporti con i provvedimenti di prevenzione, la verifica della buona fede del terzo creditore debba essere fatta, di regola, in relazione al momento in cui il diritto sorge, nella specie nel momento in cui il contratto di mutuo è stato sottoscritto. Nel caso in cui, come nella presente fattispecie, si realizzi una successione nel rapporto giuridico l’accertamento giudiziale deve tenere conto della particolarità della situazione, in cui spesso può mancare un contatto diretto tra debitore e terzo creditore, con conseguenti maggiori difficoltà nel verificare la buona fede.
In conclusione, nel provvedimento impugnato il Tribunale di Torino non ha fatto una corretta applicazione delle norme contenute nell’art. 52 commi 1, 2 e 3 d.lgs. n. 159 del 2011, escludendo la sussistenza della buona fede sulla base di elementi inidonei a dimostrare che la banca ricorrente abbia osservato condotte negligenti in qualche modo strumentali rispetto all’attività criminale cui il provvedimento di prevenzione si riferiva.
7. Pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Torino, in diversa composizione.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Torino.

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