Usucapione: dalla nozione sino agli aspetti processuali

Usucapione: dalla nozione sino agli aspetti processuali

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A) Nozione ed elementi costitutivi dell’usucapione

  [204]

art. 1158 c.c.   usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari: la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso (1o elemento) continuato [(quindi non deve essere saltuario od occasionale) e non interrotto ] per venti (20) anni (2o elemento).

 

L’usucapione è il modo di acquisto della proprietà e di altri diritti reali di godimento, che si concretizza attraverso il possesso continuato del bene per il tempo stabilito dalla legge ex art. 1158.

Secondo la definizione della S.C.[205] l’usucapione è un modo di acquisto della proprietà e dei diritti reali di godimento, fondato essenzialmente sul possesso continuato per un tempo determinato; e, come tale, è riconosciuta e disciplinata dal codice civile vigente.

In altri termini, per la stessa Cassazione[206], l’acquisto della proprietà per usucapione dei beni immobili ha per fondamento una situazione di fatto caratterizzata dal mancato esercizio del diritto da parte del proprietario e dalla prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisce a lui nell’utilizzazione di essa. La pienezza e l’esclusività di questo potere che soddisfano il requisito dell’univocità del possesso e lo rendono idoneo a determinare il compiersi della prescrizione acquisitiva vanno dal giudice di merito apprezzate e valutate non in astratto ma con riferimento alla specifica natura del bene, alla sua destinazione economica e produttiva, alle utilità che esso secondo un criterio di normalità è capace di procurare al proprietario ed il cui conseguimento costituisce secondo un analogo criterio il precipuo contenuto delle sue facoltà di godimento.

Tale modo di acquisto è esplicazione dell’esigenza di attribuire certezza giuridica alla pacifica utilizzazione del bene che si protrae nel tempo.

I due requisiti indispensabili perché si compia l’usucapione sono

1)           il possesso in senso tecnico da parte di chi non è titolare del diritto corrispondente, e

2)           la durata dello stesso per un certo tempo stabilita dalla legge, entrambi accompagnati dall’ animus rem sibi habendi, la cui sussistenza non è esclusa dalla consapevolezza del possessore di non essere il titolare del diritto che si vuole usucapire[207].

Per possesso deve intendersi, come qualificato dall’art. 1140 c.c., il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente  all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

Giurisprudenza e dottrina  sono concordi ormai a ritenere che, ai fini del compimento dell’usucapione,  questo potere deve estrinsecarsi in un comportamento continuo, ininterrotto, pacifico, pubblico ed inequivoco .

1)   L’animus possidendi

Per quanto riguarda l’animus possidendi, invece, che è ritenuto elemento indispensabile del possesso ad usucapionem dalla costante giurisprudenza della S.C.[208], può essere desunto dalle concrete circostanze di fatto che caratterizzano la relazione di fatto con la cosa.

Quindi, tale elemento, che consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria o di esercitare il diritto come a sé spettante, indipendentemente dalla coscienza che si abbia del diritto altrui e del regime giuridico del bene su cui si esercita il potere di fatto, è da presumere iuris tantum in presenza del corpus possessionis[209].

Per ultima Cassazione [210] l’animus possidendi, necessario all’acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione.

Di conseguenza, la consapevolezza di possedere senza titolo, ed il compimento di attività negoziali o di altra natura, finalizzate a ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto o la stabilità sul piano formale della situazione giuridica rispetto ad esso non esclude che il possesso sia utile ai fini dell’usucapione.

Tuttavia, la presenza di tale elemento va esclusa

1)    nel caso di riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore, quale atto incompatibile con la volontà di godere del bene uti dominus[211], o

2)    nel caso in cui sia dimostrato che il possessore del bene abbia la consapevolezza di non potere assumere iniziative in ordine alla conservazione e alla disposizione del bene ovvero che l’intestatario del bene non abbia dismesso l’esercizio del suo diritto di proprietà[212]

3)    o nel caso di atti soltanto di gestione consentiti dal proprietario o anche atti tollerati[213] dallo stesso titolare del diritto dominicale perché comportanti solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa[214].

Ai fini dell’usucapione non è richiesto che il possessore, oltre all’animus rem sibi habendi, abbia anche l’animus usucapiendi, cioè l’intento di pervenire all’acquisto per usucapione della proprietà o di altro diritto reale sulla cosa posseduta[215].

  • Possesso continuato

[216]

Il possesso deve essere quindi continuato, stesso concetto si ritrova nell’art. 1170, secondo, c.c., dovendosi considerare equivalenti i termini «continuato» e «continuo» riferendosi il primo ad una fattispecie esaurita e il secondo ad un possesso ancora in atto.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte[217], ai fini della configurabilità di un possesso ad usucapionem è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri inequivocabilmente l’intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno jus in re aliena, e quindi una signoria sulla cosa che permanga, senza interruzione, per tutto il tempo indispensabile per usucapirla, sia per quanto riguarda l’animus che il corpus; occorre, pertanto, che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa, e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa, contrapposta all’inerzia del titolare del diritto. Ne consegue che non può ritenersi prova sufficiente di un possesso utile ai predetti fini la produzione di un titolo di acquisto del bene[218] .

Nel caso di specie alla luce degli enunciati principi, correttamente, si continua a leggere nella sentenza richiamata,  il giudice di appello ha ritenuto la mancanza di prova circa il possesso ad usucapionem del muro di fabbrica in questione, avendo rilevato, all’esito di un’attenta disamina delle risultanze processuali, che i testi escussi, pur avendo riferito di un possesso esercitato nel tempo dagli attori e dai loro danti causa sia sulla striscia di terreno che sul muro di fabbrica, con riguardo a tale ultima entità immobiliare hanno reso dichiarazioni del tutto generiche, senza descrivere gli specifici comportamenti attraverso i quali sarebbe stata esercitata la signoria di fatto. E’ evidente, infatti, che il generico riferimento, operato dai testi, ad una situazione di possesso, è inidoneo a legittimare la pretesa degli attori in ordine all’acquisto per usucapione del bene in questione, in mancanza di oggettivi elementi di riscontro circa le modalità di tale possesso, necessari al fine di verificare se la relazione di fatto con la cosa si sia effettivamente estrinsecata, per il tempo necessario all’usucapione, attraverso atti corrispondenti all’esercizio del diritto dominicale.

Il principio di cui sopra è stato nuovamente ribadito da ultimo arresto della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 4 febbraio 2015, n. 2043

ovvero: per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabili ernte ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena”, un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto.

Ancora, secondo altro recente adagio della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, 2 settembre 2015, n. 17459

per la configurabilità dei possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena”, un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto. Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione, ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta. Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzione di parte.

Non significa tuttavia che il possesso debba comportare un’assidua ingerenza sul bene, perché, se così fosse il legislatore avrebbe dovuto escludere l’usucapione per quei diritti il cui possesso si esercita in modo saltuario od occasionale. Su questo aspetto parte della dottrina si poneva in posizione contraria, non trovando però sostegno nella giurisprudenza, propensa piuttosto a sostenere che l’eventuale intermittenza, nel caso per esempio delle servitù di prospetto, di atti di godimento della res, non scalfisce la continuità del possesso, la quale persiste fin tanto che permane la possibilità concreta di effettuare l’inspectio e la prospectio[219].

La continuità si riferisce al comportamento tenuto dal possessore, nonché alla relazione intercorrente tra possessore stesso e la res, nè si può parlare di discontinuità nel caso in cui il possessore perda il potere sul bene per fatti naturali o interventi di terzi, in questi casi si parla di interruzione dell’usucapione ai sensi dell’art. 1167 c.c. qualora entro un anno dallo spoglio non sia stata esercitata l’azione per il recupero del possesso.

Quel che rileva è che la signoria sul bene non sia dovuta a mera tolleranza, la quale è da ravvisarsi tutte le volte che il godimento della cosa tragga origine da spirito di condiscendenza o da ragioni di amicizia o di buon vicinato con il titolare effettivo del bene[220].

La continuità è stata talvolta identificata con l’uniformità degli atti di esercizio del possesso, per cui è continuo se rimane uguale a se stesso per tutto il suo decorso, ovviamente il concetto di uniformità non va inteso in senso rigido bensì in modo da permettere al possessore variazioni nell’esercizio del possesso. Su questa strada si è espressa anche la giurisprudenza di merito sostenendo che il requisito di continuità non viene meno per il fatto che il bene oggetto di usucapione sia stato concesso in godimento a terzi[221].

  • Possesso intermedio

La fattispecie, infine, deve essere considerata anche in relazione del principio della presunzione del possesso intermedio, cioè, ai sensi dell’art.1142 c.c., il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto, si presume che abbia posseduto anche in tempo intermedio.

Questa presunzione, nell’ipotesi di usucapione, comporta l’inversione dell’onere della prova, non essendo il possessore tenuto a dimostrare la continuità del possesso, ma è onere della controparte provare l’intervenuta interruzione[222].

  • Pacifico e palese

Per usucapire il bene il possesso deve essere pacifico e palese

art. 1163 c.c.   vizi del possesso: il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità e cessata.

La violenza, infatti, impedisce l’usucapione, poiché rende socialmente riprovevole il possesso – facendo, in tal modo, venire meno il motivo di preferenza del possessore rispetto al proprietario – e la clandestinità la preclude perché l’utilizzazione celata di un bene non è socialmente rilevante e, pertanto, non rende il possessore più meritevole di tutela rispetto al proprietario.

Il possesso deve altresì essere connotato, secondo l’espressa disposizione dell’art.1163 c.c., dal carattere della pacificità ed essere palese.

Risulta infatti inutile, ai fini del compimento dell’usucapione, quel possesso acquisito mediante violenza e clandestinamente, in tali casi i termini per usucapire decorrono dal momento in cui violenza e clandestinità sono cessate.

Sull’argomento la giurisprudenza[223] ha precisato che è irrilevante che la violenza, morale o fisica, sia stata esercitata in un momento successivo all’acquisto del possesso, e a sua volta la clandestinità va riferita non agli atti che il possessore può compiere per apparire proprietario, bensì al fatto che il possesso è stato acquistato in modo visibile e pubblicamente.

Si osserva che pacifico non significa incontroverso, e ciò permette che un possessore convenuto in azione di rivendica possa eccepire l’avvenuta usucapione, senza che eventuali diffide e messe in mora facciano venir meno la pacificità del possesso.

  • Non equivoco

Ulteriore requisito è la non equivocità, più precisamente il possesso deve consistere, in modo certo e indubbio, nell’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di un altro diritto reale.

Soddisfano il requisito dell’univocità, la pienezza e l’esclusività del potere di fatto su un bene, il giudice dovrà tuttavia valutarle non in astratto ma con riferimento alla specifica natura del bene, alla sua destinazione economica e produttiva.

2)   Interruzione del possesso

a)    naturale –

si verifica qualora il possessore venga messo nell’impossibilità di esercitare il possesso, a seguito di atto illecito oppure di spoglio; quest’ultimo non interrompe il possesso qualora il possessore provveda entro l’anno a proporre l’azione contro chi ha preso il bene e, conseguentemente, ne ottiene la restituzione.

b)   civile –

si realizza a seguito di un atto giuridico che interrompa il decorso dell’usucapione; vale, pertanto, ad interrompere il possesso, una domanda giudiziale (fondata), proposta contro il possessore, ma non gli atti stragiudiziali o la messa in mora del possessore, perché tali atti non fanno venir meno il potere di fatto del possessore, né il titolo in basa al quale possiede.

Sul punto è intervenuta ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 dicembre 2015, n. 25764

la quale, facendo propri i precedenti orientamenti, ha riaffermato che si possono distinguere due ipotesi di interruzione del possesso ad usucapionem: interruzione “naturale” e interruzione “civile”; ricorre la prima allorche’ il possessore e’ stato privato del possesso per oltre un anno per fatto di un terzo (ad es. in conseguenza di uno spoglio del bene). Si tratta, invece, di interruzione civile, ogni qual volta, contro il possessore e’ stata esercitata una domanda giudiziale tesa a contestare la legittimita’ del potere esercitato sulla cosa (siano esse azioni di rivendica e/o di restituzione).

A sua volta, è stato osservato – come ha gia’ detto dalla medesima Corte in altra occasione – che poiche’, con il rinvio fatto dall’articolo 1165 c.c., all’articolo 2943 c.c., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non e’ consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volonta’ di conservare il diritto, giacche’ la tipicita’ dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti (v. Cass. 12.9.2000 n. 12024; Cass. 21.5.2001 n. 6910; Cass. 1.4.2003 n. 4892; Cass. 11.6.2009 n. 13625), con la conseguenza che non puo’ riconoscersi efficacia interruttiva del possesso (oltre che ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa) se non ad atti giudiziali diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente.

D’altra parte, per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non e’ sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprieta’ del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza e’ rivelata o per i fatti in cui essa e’ implicita, esprima la volonta’ non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’”animus possidendi” non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensi’ nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facolta’.

Nuovamente anche nel 2016 la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 18 ottobre 2016, n. 21015

ha avuto modo di affermare che per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non e’ sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprieta’ del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza e’ rivelata o per i fatti in cui essa e’ implicita, esprima la volonta’ non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensi’ nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facolta’

Ancora, secondo la sentenza in commento, in tema di possesso ad usucapionem, che il codice vigente assoggetta alle stesse condizioni contemplate dal codice del 1865 (con la formula “possesso legittimo”), inclusa quella della pacificita’ del possesso medesimo, tale requisito non puo’ essere escluso per la sola circostanza che il preteso titolare del diritto manifesti una volonta’ contraria all’altrui possesso, trattandosi di elemento rilevante al diverso fine di evidenziare la mala fede del possessore (con la conseguente applicabilita’ del termine ventennale). Pertanto, anche ai fini della continuita’ del possesso, necessaria per l’acquisto a titolo di usucapione, quel che rileva e’ il comportamento del possessore, non gia’ la volonta’ contraria del proprietario.

Infine, conclude  la pronuncia richiamata del 2016, in tema di possesso ad usucapionem, con il rinvio fatto dall’articolo 1165, all’articolo 2943 c.c., la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, cosicche’ non e’ consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volonta’ di conservare il diritto, giacche’ la tipicita’ dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti.

  • Mancata interruzione

È altresì necessario, perché si compia l’usucapione, che il possesso sia ininterrotto, ossia che non vi sia stata una interruzione nell’esercizio del possesso per più di un anno, per effetto dell’intervento di un terzo o di un evento naturale.

Bisogna distinguere tra “discontinuità” e “interruzione”, la prima è una vicenda interna al rapporto possessorio, derivante dalla irregolare attività del possessore che non esercita puntualmente  gli atti del possesso; la seconda ipotesi è invece una vicenda estintiva, determinata da una causa esterna al possessore e indipendente dalla sua volontà.

Da questa distinzione ne derivano due trattamenti giuridici: la discontinuità fa perdere in modo definitivo efficacia al periodo di possesso precedente, l’interruzione invece permette di utilizzare il periodo anteriore se il possessore, entro un anno dalla perdita del possesso, promuove azione diretta al recupero dello stesso.

In termini generali, gli atti idonei ad interrompere il possesso devono comportare per il possessore, destinatario degli stessi, la perdita della res e del potere di fatto su di essa; inoltre molti di tali atti sono previsti dal legislatore mediante rinvio alle norme dettate in tema di prescrizione.

L’interruzione è decretata dalla proposizione di una domanda giudiziale contro il possessore attuale, nel caso di azione possessorie, di quelle cautelari, e l’azione petitoria. L’efficacia interruttiva è invece esclusa, secondo la dottrina, in caso di domanda giudiziale presentata da chi non è legittimato ad agire o non è proprietario del bene, secondo la giurisprudenza, in caso di messa in mora del possessore, oppure di riconoscimento da parte di quest’ultimo del diritto di proprietà. Sono altresì inidonei, quegli atti non diretti al possessore e da questi neppure conoscibili, quindi nel caso di processo di esecuzione promosso dai creditori del proprietario, o in caso di concessione di ipoteca[224] .

Per altra sentenza[225] più recente in tema di usucapione, poiché dal combinato disposto degli artt. 1165 e 2943 c.c. risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, e tale tipicità non ammette equipollenti, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, benché con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, a nulla rilevando che tali atti provengano dalla P.A. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto efficacia interruttiva del possesso, rilevante ai fini dell’usucapione, alle ordinanze di sgombero emesse dal sindaco quale ufficiale di governo e dall’intendenza di finanza, nonché alle difese al riguardo sviluppate dalla stessa P.A. nei relativi giudizi amministrativi).

Inoltre a mente dell’art. 2943, primo comma, c.c., richiamato dall’art. 1165 c.c. in tema di usucapione, la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva del decorso del termine utile per usucapire, qualora sia diretta a far valere una pretesa incompatibile con gli effetti derivanti dal trascorrere del termine; pertanto, tale effetto non è prodotto dalla domanda con cui il proprietario del suolo chieda, ai sensi dell’art. 938 c.c., il pagamento del doppio del valore del terreno occupato in buona fede dalla costruzione eretta sul fondo attiguo, in quanto è diretta a dismettere il bene, non già a recuperarne il possesso[226].

 

In tema di atti interruttivi del termine per usucapire occorre ricordare la consolidata giurisprudenza di legittimità, suffragata da ultima pronuncia,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 novembre 2013, n. 26641

che a tal fine non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare (Cass. 14564/2006; 18207/2004). D’altra parte, l’”animus possidendi” non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di un altro diritto sulla cosa), bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà.
Orbene, nel caso di specie affrontato nella sentenza richiamata, la richiesta da parte del possessore della cessione, anche gratuita, dell’immobile non era elemento di per sé sufficiente a escludere l’animus possidendi, ben potendo essere finalizzata – attraverso il trasferimento della proprietà del bene posseduto – a consacrare in un atto formale produttivi di effetti giuridici l’acquisto del bene (Cass. 10230/2002).

Tale principio è stato anche riproposto nel 2014

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 20 gennaio 2014, n. 1071.

ovvero: ai fini dell’interruzione e sospensione dell’usucapione vige il principio della tassatività degli atti interruttivi, costituiti dalla perdita materiale del potere di fatto sulla cosa o da specifici atti giudiziali, per cui la “mera diffida a riconsegnare la res da altri posseduta, non può ritenersi atto idoneo a sospendere o interrompere il possesso ai fini dell’usucapione ex artt. 2943 e 1165 c.c. cioè la perdita materiale del potere di fatto sul bene.
Secondo questa S.C. “in tema di usucapione, poiché, con il rinvio fatto dall’art. 1165 cod. civ. all’art 2943 cod. civ., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente

La costituzione in mora ha efficacia interruttiva limitatamente ai diritti di obbligazione[227].

Gli atti interruttivi dell’usucapione eseguiti nei confronti di un compossessore[228] non hanno effetto nei confronti degli altri compossessori, in quanto il principio di cui all’art. 1310 c.c. secondo cui gli atti interruttivi contro uno dei debitori in solido interrompe la prescrizione contro il comune creditore, con effetto verso gli altri debitori, trova applicazione in materia di diritti di obbligazione e non di diritti reali, per i quali non sussiste vincolo di solidarietà dovendosi, invece, fare riferimento ai singoli comportamenti dei compossessori, che giovano o pregiudicano solo coloro che li hanno posti in essere[229].

In un caso specifico, secondo la S.C.

Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza 28 agosto 2017, n. 20442

il decreto di espropriazione e’ idoneo a far acquisire la proprieta’ piena del bene, e ad escludere qualsiasi situazione, di diritto o di fatto con essa incompatibile, e qualora il precedente proprietario, o un soggetto diverso, continui ad esercitare sulla cosa attivita’ corrispondente all’esercizio del diritto di proprieta’, la notifica del decreto ne comportava la perdita dell'”animus possidendi”, conseguendone che ai fini della configurabilita’ di un nuovo possesso ad “usucapionem” sarebbe stato necessario un atto di “interversio possessionis”.

3)   Applicazione di norme sulla prescrizione

art. 1165 c.c.   applicazione di norme sulla prescrizione: le disposizioni generali sulla prescrizione (c.c.2934 e seguenti), quelle relative alle cause di sospensione e d’interruzione (2941 e seguenti) e al computo dei termini (c.c.2962 e seguenti) si osservano, in quanto applicabili, rispetto all’usucapione.

 

art. 1167 c.c.    interruzione dell’usucapione per perdita di possesso: l’usucapione è interrotta (c.c.2945) quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.

L’interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l’azione (c.c.2953) diretta a ricuperare il possesso e questo è stato ricuperato.

 

 

In tema di usucapione, il rinvio dell’art. 1165 c.c. alle norme sulla prescrizione in generale, ed, in particolare, a quelle relative alle cause di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell’usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali, siccome diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente.

Non sono, invece, idonei come atti interruttivi del termine utile per l’usucapione la diffida o la messa in mora in quanto può esercitarsi il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del diritto reale. (Nella specie[230], vertendosi in tema di usucapione ad opera della P.A., la Corte che escluso che potesse attribuirsi valore interruttivo ad un atto introducente un procedimento amministrativo inteso ad accertare l’intervenuto acquisto dell’area di sedime per accessione ai sensi dell’art. 946 c.c. previgente).

 

  • Norme sulla  prescrizione

art. 2934 c.c.    estinzione dei diritti: ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.

Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge (c.c.248 e seguente, 263, 272, 533, 715, 948,1422).

 

art. 2935 c.c.    decorrenza della prescrizionea prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

art. 2936 c.c.     inderogabilità delle norme sulla prescrizione: è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione (c.c.1418 e seguenti).

 

art. 2937 c.c.    rinunzia alla prescrizione: non può rinunziare alla prescrizione chi non può disporre validamente del diritto.

Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta.

La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione (c.c.1310).

 

art. 2938 c.c.    non rilevabilità d’ufficio: il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta.

 

art. 2939 c.c.   opponibilità della prescrizione da parte dei terzi: la prescrizione può essere opposta dai creditori e da chiunque vi ha interesse, qualora la parte non la faccia valere. Può essere opposta anche se la parte vi ha rinunziato (c.c.2900).

 

 

  • Dell’interruzione della prescrizione

 

art. 2943 c.c.   interruzione da parte del titolare: la prescrizione è interrotta (c.c.1310) dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione (C.p.c. 163, 638) ovvero conservativo (C.p.c. 670 e seguente, 688, 700, 703) o esecutivo (C.p.c. 474 e seguenti).

E’ pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio.

L’interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente.

La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede per quanto le spetta alla nomina degli arbitri.

 

art. 2944 c.c.   interruzione per effetto di riconoscimento: la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.

 

art. 2945 c.c.   effetti e durata dell’interruzione: per effetto dell’interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione.

Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (C.p.c. 324).

Se il processo si estingue (C.p.c. 306), rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’atto interruttivo.

Nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell’atto contenente la domanda di arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile o passa in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione.

 

art. 1166 c.c.   inefficacia delle cause di impedimento e di sospensione rispetto al terzo possessore: nell’usucapione ventennale non hanno luogo, riguardo al terzo possessore di un immobile o di un diritto reale sopra un immobile, ne l’ impedimento derivante da condizione o da termine (c.c.2935), ne le cause di sospensione indicate dall’art. 2942.

L’impedimento derivante da condizione o da termine e le cause di sospensione menzionate nel detto articolo non sono nemmeno opponibili al terzo possessore nella prescrizione per non uso dei diritti reali sui beni da lui posseduti (c.c.954, 970, 1014).

 

 

  • Della sospensione della prescrizione applicabile all’usucapione ex art. 1165 c.c.

 

art. 2941 c.c.   sospensione per rapporti tra le parti: la prescrizione rimane sospesa (c.c.1310):

1)              tra i coniugi;

2)              tra chi esercita la potestà di cui all’art. 316 o i poteri a essa inerenti (c.c.260, 409) e le persone che vi sono sottoposte;

3)               tra il tutore e il minore (c.c.346 e seguenti) o l’interdetto (c.c.424) soggetti alla tutela, finché non sia stato reso e approvato il conto finale (c.c.386), salvo quanto e disposto dall’art. 387 per le azioni relative alla tutela;

4)               tra il curatore e il minore emancipato (c.c.390 e seguenti) o l’inabilitato (c.c.424);

5)              tra l’erede e l’eredità accettata con beneficio d’inventario (c.c.484 e seguenti);

6)               tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato definitivamente il conto;

7)              tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi (c.c.18, 2393, 2487);

8)              tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto (disp.di att. al c.c. 247 e seguente).

 

art. 2942 c.c.    sospensione per la condizione del titolare: la prescrizione rimane sospesa:

1)              contro i minori non emancipati (c.c.316) e gli interdetti per infermità di mente (c.c.414 e seguenti), per il tempo in cui non hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità;

2)              in tempo di guerra, contro i militari in servizio e gli appartenenti alle forze armate dello Stato e contro coloro che si trovano per ragioni di servizio al seguito delle forze stesse, per il tempo indicato dalle disposizioni delle leggi di guerra.

 

 

4)   Rinuncia

Più che rinuncia è una sorta di desistenza del soggetto interessato all’azione di accertamento.

Poiché la parte che rinunci a far valere l’acquisto per usucapione maturatosi per effetto del possesso ininterrotto del fondo protrattosi per un certo periodo di tempo non rinuncia ad un diritto di proprietà già acquisito, bensì solo ad avvalersi della tutela giuridica apprestata dall’ordinamento per garantire la stabilità dei rapporti giuridici, sicché a tale rinunzia — indipendentemente dalla forma, esplicita o tacita, di essa — è inapplicabile l’art. 1350 n. 5 c.c., che impone l’osservanza della forma scritta, a pena di nullità, per gli atti di rinuncia a diritti reali, assoluti o limitati, su beni immobili[231].

La rinuncia tacita a far valere l’acquisto per usucapione di un diritto reale su un bene immobile può risultare da un comportamento della parte contrario all’acquisto e non richiede la necessità della forma scritta ad substantiam[232].

Mentre, per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 30 maggio 2016, n. 11158

la rinuncia per iscritto all’usucapione della servitu’ di passaggio fatta dal proprietario del fondo dominante – che, dopo avere esercitato il possesso ultraventennale della servitu’, esprima al proprietario del fondo servente la volonta’ di non avvalersi della causa di acquisto del diritto reale minore a titolo originario maturata a favore del proprio fondo – rileva di per se’, non potendo la sua efficacia negoziale essere fatta dipendere ne’ dall’avvenuta comunicazione al successivo acquirente (che, nel caso di specie, ancora non c’era: la rinuncia al diritto di passaggio proveniva infatti dall’allora legittimo proprietario del fondo dominante a vantaggio del quale era maturata l’usucapione per effetto del possesso ultraventennale, prima che questi alienasse il terreno), ne’ dall’osservanza dell’onere della trascrizione (non potendo evidentemente esigersi una trascrizione della rinuncia quando mancava la trascrizione dello stesso atto di acquisto della servitu’, non essendo stata la relativa usucapione ancora giudizialmente accertata)

 

5)        Compossesso e comunione

[233]

Occorre un breve accenno alla precisa ipotesi in cui vi sia un compossesso di più soggetti sulla medesima res: in tale ipotesi un compossessore potrà variare il proprio titolo divenendo possessore esclusivo, e sarà a partire da quel momento che inizierà a decorrere il tempo utile per usucapire.

Ovviamente dovranno porsi in essere atti univoci diretti contro gli altri compossessori in modo da rendere loro palese l’intenzione di non possedere più come semplici possessori, bensì come possessori esclusivi. Questa trasformazione in possessore esclusivo sarà a ben vedere irrilevante nei confronti del proprietario e spiegherà i suoi effetti solo verso gli altri compossessori, ma potrà iniziare a decorrere il termine per usucapire la proprietà del bene in capo al possessore esclusivo.

Secondo ultima sentenza della S.C. [234], infatti, su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di compossesso pro indiviso tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest’ultimo, della comproprietà pro indiviso dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l’usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato

Né tale situazione di compossesso – prosegue la Corte – che consiste nel comune potere di fatto sulla cosa, in tota et in qualibet parte della stessa, da parte di due soggetti, esige la esclusione del possesso del proprietario (che in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo); né richiede che il compossessore esclusivo ignori l’esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l’animus possidendi  che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa uti con dominus[235]

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 dicembre 2013, n. 28346

nel caso di compossesso non è necessaria una formale interversione del possesso e che l’animus possidendi uti dominus può manifestarsi anche solo con comportamenti che lo rendono evidente.

In particolare, la Corte di merito, si legge in sentenza, ha affermato:

a) che il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l’altrui quota indivisa della cosa comune estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività dimostrando l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo per il tempo prescritto dalla legge senza la necessità di compiere atti di intervesio possessionis;

b) che il coerede che a seguito di messa a disposizione del compendio ereditario, sia stato immesso nel possesso di questo senza un mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, prende per tale via a possedere pubblicamente e a titolo esclusivo (dato che il rapporto materiale con il bene che si è venuto ad instaurare ha reso palese la manifestazione della volontà di non consentire agli altri coeredi di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario) e può, quindi, usucapire il cespite senza che sia necessaria una mutazione negli atti di estrinsecazione del possesso tale da escludere un pari godimento da parte degli altri coeredi. In particolare, l’art. 714 cc. per l’usucapione del coerede non richiede atti di interversione del possesso, ma solo l’esercizio del possesso esclusivo.

Sul punto, proprio con ultima pronuncia, le sezioni unite,

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 5 marzo 2014, n. 5087

hanno affermato che si esclude la necessità dell’interversione del titolo, ex art. 1164 c.c., nel caso di compossesso, essendo in tal caso sufficiente che la parte abbia posseduto per il tempo necessario a usucapire, animo domini, in modo esclusivo e incompatibile con la possibilità di fatto di un godimento comune (Cass. 28 settembre 1973 n. 2430 e succ. conf.; da ultimo 25 marzo 2009 n. 7221).

Ancora per recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13 novembre 2014, n. 24214

in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto cosi determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass., Sez. II, 20 settembre 2007, n. 19478). In particolare, il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune (Cass., Sez. II, 25 marzo 2009, n. 7221).

Nel caso di specie a tale principio si è attenuta la Corte d’appello.
Nel confermare il rigetto della domanda di usucapione avanzata dall’attore, i giudici del gravame hanno infatti rilevato, con congruo apprezzamento delle risultanze di causa, che costui non ha esercitato alcun potere di fatto inconciliabile con l’altrui compossesso, giacché, nel ventennio, anche gli altri possessori hanno, seppure saltuariamente ed episodicamente, utilizzato l’immobile liberamente e senza essere in alcun modo ostacolati.
In questo contesto, non ha valore decisivo la circostanza che l’attore si sia occupato della ristrutturazione dell’immobile in cui egli viveva, provvedendo al pagamento dei relativi lavori, giacché allorché un coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario provvedendo, tra l’altro, ad eseguirvi lavori od opere, sussiste la presunzione iuris tantum che egli agisca in tale qualità e che anticipi le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi: il coerede che invochi l’usucapione ha l’onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con il bene ereditario (Cass., Sez. II, 12 aprile 2002, n. 5226).

Mentre in tema di comunione (condominio), con ultimo intervento la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 giugno 2015, n.11903

ha affermato che, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari (invero, alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente tecnico, è posta una deroga dall’art. 1102 c.c. nell’ipotesi di compossesso, dato che il compossessore se intende estendere il suo possesso esclusivo sul bene comune, non ha alcuna necessità di fare opposizione al diritto dei condomini, cosi come invece previsto nel caso di vera e propria interversio possessionis, ma è sufficiente solo che compia atti idonei a mutare il titolo del suo possesso), ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva.

 

6)        Questioni processuali

  • Onere della prova

Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario deve provare sia il corpus possessionis sia l’animus possidenti

Tale situazione di possesso, come relazione di fatto con la cosa, deve essere dimostrata da chi la invochi a un qualunque effetto, ai sensi dell’art. 2697 c.c.[236]

Per la configurabilità del possesso ad usucapionem è necessaria la sussistenza di un comportamento pacifico e non interrotto, inteso inequivocabilmente a esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena, cioè un potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto.

A tale proposito occorre rilevare che chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus possessionis, ma anche dell’animus possidendi [237].

La prova può essere data da:

1)    Testimonianze; la prova degli estremi integratori di un possesso ad usucapionem, vertendo su una situazione di fatto, non incontra alcuna limitazione nelle norme concernenti gli atti soggetti a forma scritta, ad substantiam o ad probationem, e, pertanto, può essere fornita per testimoni[238]

2)    Presunzioni e fatti notori; la prova del possesso richiesto ai fini dell’usucapione può essere desunta anche in base a presunzioni ed a fatti notori, ancorché la notorietà sia limitata ad un ristretto ambito territoriale[239]. Inoltre, ai fini della prova dell’intervenuta usucapione, la coltivazione di un terreno, in modo pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto per i venti anni richiesti dall’art. 1158 c.c. ben può configurare lo jus possessionis mentre la sussistenza dell’animus possidendi è desumibile in via presuntiva ed implicita dall’esercizio dell’attività materiale corrispondente al diritto di proprietà[240].

La prova del possesso idoneo alla usucapione, per quanto concerne sia il corpus che l’elemento subiettivo dell’animus, deve essere fornita dalla parte che chiede il riconoscimento in suo favore della realizzazione della dedotta fattispecie acquisitiva[241].

In particolare, per quanto concerne il primo requisito, è necessaria la sussistenza di un comportamento possessorio pacifico (cioè acquisito senza violenza che, quale elemento escludente l’esistenza di un possesso utile ai fini dell’usucapione, deve verificarsi al momento dell’acquisto del possesso, per cui la sopravvenienza di tale elemento non incide sull’inizio del termine per usucapire[242] e continuo, inteso inequivocabilmente a esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto[243].

In ogni caso, il giudizio in ordine all’esistenza e al contenuto del potere di fatto ai fini dell’acquisto per usucapione del corrispondente diritto per essere adeguato, e come tale incensurabile in Cassazione, deve fondarsi sui reali rapporti con la cosa per la cui identificazione e definizione occorre necessariamente considerare anche il contrastante potere di fatto che altri deduca di aver esercitato e che può emergere anche dalla significativa presenza di idonei elementi oggettivi[244] .

Ad escludere l’esistenza dell’animus possidendi agli effetti dello acquisto per usucapione non è sufficiente la mera indicazione di una fonte documentale remota che consenta di dedurre una tolleranza iniziale del proprietario, ma occorre la prova di fatti e circostanze tali che dimostrino il persistere della situazione di dipendenza del possessore dal titolare di un diritto reale[245].

Ad esempio:

per una recente sentenza della Cassazione[246], la circostanza che la soffitta fosse chiusa e che solo la proprietari  ne detenesse le chiavi non vale a dimostrare che essa utilizzasse in via esclusiva anche il locale adiacente; evidenziando che nessuna prova è stata fornita dall’attrice circa l’uso esclusivo, pacifico, pubblico ed incontrastato, da parte sua, del locale de quo, né, tanto meno, della durata ultraventennale del preteso possesso.

La coltivazione in via esclusiva di un fondo con la messa a dimora di piante configura una attività che non è di per sé sufficiente all’accoglimento della domanda di accertamento dell’avvenuta usucapione dello stesso, allorché non sia accompagnata da comportamenti apertamente e oggettivamente contrastanti e incompatibili con il possesso altrui, tali da rivelare in modo certo e inequivocabile l’intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo[247].

La concessione edilizia consente di esercitare il diritto di costruire nei confronti della P.A., ma nei rapporti tra privati non è idonea a far presumere la proprietà del suolo su cui costruire a favore di colui al quale è rilasciata, né può comprimere i diritti dei terzi; né d’altro canto, ai fini dell’invocata usucapione, la data di rilascio di detta concessione è idonea prova dell’inizio dei lavori e della loro ultimazione prima del termine di decadenza di essa, potendo dipendere da un omesso accertamento della P. A. sull’attività materiale autorizzata[248].

Come anche la certificazione catastale rilasciata dall’autorità amministrativa non è idoenea a far presumere il potere di fatto ai fini dell’usucapione.

Difatti per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5 dicembre 2013, n. 27296

l’intestazione catastale di un immobile, compiuta dall’autorità amministrativa nell’ambito di accertamenti di carattere fiscale per individuare il titolare della proprietà, non comporta la dimostrazione che l’intestatario, o gli intestatari, abbiano effettivamente esercitato su di esso quel potere di fatto che, unitamente all’indispensabile elemento intenzionale, è idoneo a produrre l’acquisto della proprietà per il decorso del tempo ed il concorso di tutte le altre condizioni a tal fine richieste dalla legge.

  • Legittimati attivi

La Pubblica Amministrazione può usucapire il bene privato del quale per oltre un ventennio, nella erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in uso a terzi, atteso che, mentre l’errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà di gestirlo uti domina, risolvendosi in un errore sul regime giuridico del bene irrilevante ai fini dell’usucapione, la concessione in uso a terzi e l’esazione del relativo canone, costituisce uno dei modi di disposizione del bene e quindi di possesso dello stesso da parte dalla P.A.[249].

La limitata capacità delle associazioni non riconosciute di essere titolari di un patrimonio, entro l’ambito in cui è positivamente prevista dalla legge e, quindi, in base all’art. 37 c.c., con esclusivo riferimento ai contributi degli associati ed ai beni acquistati con tali contributi (ma senza l’obbligo dell’autorizzazione governativa), riguarda solo gli acquisti a titolo derivativo, e non esclude la possibilità di acquisti a titolo originario, come l’usucapione, in relazione alla quale, in particolare, non può essere disconosciuta l’efficacia, propria del possesso, ove questo con le modalità previste dall’art. 1158 c.c., venga esercitato su di un bene dagli associati non uti singuli bensì come appartenenti all’associazione e con la volontà di riferire a questa gli atti di possesso compiuti[250].

Il partecipante alla comunione[251] può usucapire l’altrui quota indivisa del bene comune senza necessità di interversio possessionis, ma attraverso l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusività. A tal fine si richiede, tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si concreti in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa incompatibili con il permanere del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della cosa comune consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dar luogo a una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore[252].

Gli acquisti di beni immobili per usucapione effettuati da uno solo dei coniugi, durante il matrimonio, in vigenza del regime patrimoniale della comunione legale, entrano a far parte della comunione stessa, non distinguendo l’art. 177, primo comma, lettera a) del c.c. tra gli acquisti a titolo originario e quelli a titolo derivativo[253].

Ne consegue che il momento determinate l’acquisto del diritto ad usucapionem da parte dell’altro coniuge, attesa la natura meramente dichiarativa della domanda giudiziale, s’identifica con la maturazione del termine legale d’ininterrotto possesso richiesto dalla legge.

Mentre, come da ultima pronuncia di merito, una volta cessato il rapporto di convivenza more uxorio, il convivente che abita nella casa che costituisce residenza familiare, della quale non sia proprietario, deve essere considerato come un detentore qualificato del bene. Questa posizione gli consente di rimanere all’interno dell’abitazione per un certo periodo di tempo, necessario per trovare un’altra sistemazione e, dunque, di non essere estromesso repentinamente, ma non è sufficiente per l’usucapione del diritto di abitazione nella casa. Lo ha ribadito il Tribunale di Roma con la sentenza 8911/2016.

Infine, il proprietario del fondo ceduto in locazione ad un terzo estende il suo possesso anche alla superficie che via via si aggiunge al (suo) fondo per effetto di alluvione, con la conseguenza che il conduttore, il quale estende alla superficie che progressivamente si aggiunge per effetto dell’alluvione solo il possesso materiale di cui gode per effetto del rapporto di locazione, non può iniziare a possedere, animo domini, tale superficie senza un atto che manifesti inequivocamente al possessore il mutamento dell’animus (interversione del possesso) neppure se, nonostante l’incremento, sia rimasto invariato il canone locativo, dato che tale situazione di fatto non può in alcun modo tradursi in un atto di opposizione del detentore contro il possessore — Cass. del 4-3-96, n. 1658

  • Legittimati passivi

La legittimazione passiva ad causam, rispetto alla domanda diretta all’accertamento dell’acquisto per usucapione della proprietà di un bene, va riconosciuta a chi contesti detta proprietà, vantando un diritto proprio, mentre ogni questione sul fondamento della relativa pretesa attiene al merito, non a quella legittimazione[254].

La domanda diretta a far accertare l’avvenuta usucapione di un bene richiede la presenza in causa di tutti i comproprietari in danno dei quali l’usucapione si sarebbe verificata, poichè, in tale ipotesi, risulta dedotta una situazione giuridica (usucapione e proprietà esclusiva) confliggente con quella preesistente (comproprietà), della quale il giudice non può conoscere se non in contraddittorio di tutti gli interessati[255].

Principio ripreso da ultima pronunica della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 aprile 2013 n. 8497

secondo la quale la domanda diretta all’accertamento dell’usucapione di un bene richiede la presenza in causa di tutti i comproprietari in danno dei quali l’usucapione si sarebbe verificata, perché comporta l’accertamento di una situazione giuridica (usucapione e proprietà esclusiva) confliggente con quella preesistente (comproprietà degli altri) della quale il giudice può solo conoscere in contradditorio di tutti gli interessati (Cass. nn. 5559/94 e 1085/76). Diversamente, la pronuncia resa a contraddittorio non integro nell’ambito di una controversia che importi l’accertamento di una situazione giuridica unica, è da ritenersi inutiliter data, non potendo spiegare effetti nei confronti delle sole parti presenti (Cass. S.U. n. 443/70)

Sempre, in tema di comunione, anche in mancanza di un atto formale di interversione del possesso, può essere usucapita la quota di un comproprietario da parte degli altri, sempre che l’esercizio della signoria di fatto sull’intera proprietà comune non sia dovuto alla mera astensione del titolare della quota ma risulti inconciliabile con la possibilità di godimento di quest’ultimo ed evidenzi, al contrario, in modo del tutto univoco, la volontà di possedere uti dominus e non uti con dominus [256]. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto acquistata per usucapione la proprietà di una quota di un edificio in comunione, ricostruito a seguito di perimento totale, da parte dei soli comproprietari che, fin dalla edificazione della nuova costruzione, avevano occupato interamente i tre piani del palazzo, nel totale disinteresse dell’altro comunista).

È proponibile la domanda di acquisto della proprietà immobiliare per usucapione nei confronti della curatela fallimentare[257], atteso il carattere di acquisto a titolo originario che, con essa, si intende far verificare, ed a ciò non risultando di ostacolo gli artt. 42 e 45 della legge fallimentare. La prima delle due disposizioni, infatti, limitandosi a porre il vincolo di indisponibilità sui beni del fallito — con equiparazione del fallimento al pignoramento — non può essere riferita a «fatti» acquisitivi di diritti reali tipici (che si assumono) già compiuti e produttivi di effetti in capo al fallito. La seconda, a sua volta, avendo riguardo espressamente in applicazione della stessa regola posta, per l’esecuzione individuale, dall’art. 2914 c.c. — alle condizioni di opponibilità, al fallimento, di «atti», si rivela del tutto estranea all’ipotesi in esame, non essendo configurabile, a carico di chi agisca per conseguire l’accertamento dell’usucapione, alcun onere di pubblicità, posto che l’art. 2651 c.c. si limita a disporre al riguardo una forma di «trascrizione» (della sentenza e non anche della domanda) la quale è priva di effetti sostanziali e limitata a rendere più efficiente il sistema pubblicitario.

Nel caso di beni vacanti o di eredità giacenti è possibile l’usucapione in danno dello Stato.

Per quanto riguarda i beni vacanti l’art. 827 c.c. stabilisce che i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.

Lo Stato acquista la proprietà degli immobili vacanti per il fatto che siano tali e non tramite occupazione.

Inoltre, lo Stato, ai sensi dell’art. 586 c.c., in mancanza di successibili, acquisisce di diritto, e senza bisogno di accettazione, a titolo di eredità i beni oggetto di successione.

Lo Stato, dunque, assume la veste di vero e proprio successore legittimo.

Le eredità sono devolute da ultimo allo Stato, perché questi adempia ad un dovere di interesse generale, impedendo che i beni restino in stato di abbandono o che siano oggetto di occupazione da parte di chi non vanti su di esso alcun diritto.

Il bene entra a far parte del patrimonio disponibile dello Stato e, in quanto tale, assoggettati alle comuni regole di diritto privato.

Essi, pertanto, potranno essere oggetto di usucapione da parte dei privati.

In tema, al comma 260 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2007 (legge finanziaria) è stato previsto che: allo scopo di devolvere allo Stato i beni vacanti o derivanti da eredità giacenti, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno ed il Ministro dell’economia e delle finanze, determina, con decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per l’acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato.

Al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applica la disposizione dell’articolo 1163 del codice civile sino a quando il terzo esercente attivita’ corrispondente al diritto di proprieta’ o ad altro diritto reale non notifichi all’Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredita’ giacenti. Nella comunicazione inoltrata all’Agenzia del demanio gli immobili sui quali e’ esercitato il possesso corrispondente al diritto di proprieta’ o ad altro diritto reale devono essere identificati descrivendone la consistenza mediante la indicazione dei dati catastali.

Tale “novita”, ovvero di ritenere tale possesso in assenza di comunicazione come violento o clandestino, è stata superata, per i possessi anteriori all’entrata in vigore della legge, da una pronucnia della S.C. (Cassazione, Sez. II, 26 gennaio 2010, n. 1549) secondo la quale: in tema di usucapione di beni immobili, nel caso di acquisto di beni pervenuti, allo Stato, ex art. 586 cod. civ., a titolo di eredità, ai sensi dell’art. 1163 cod. civ., nel testo anteriore alla modifica di cui al comma 260 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2007, la mancata conoscenza da parte dell’Amministrazione dell’intervenuto acquisto non impedisce il decorso del termine utile per l’usucapione del diritto da parte del terzo, dovendo escludersi in tal caso la natura clandestina del possesso continuato per venti anni esercitato pubblicamente e pacificamente.

Si legge nella sentenza citata che il Giudice di prime cure, nel ritenere maturato l’acquisto per usucapione del bene oggetto di eredità pervenuta allo Stato ai sensi dell’art. 586 cod. civ., ha correttamente escluso che il possesso esercitato dall’attore in modo pubblico e visibile fosse da considerarsi clandestino, non assumendo al riguardo rilievo le ragioni dell’inerzia del proprietario. Ed invero, i ricorrenti non potevano sostenere l’inidoneità del possesso ad usucapionem, allegando l’impossibilità oggettiva per lo Stato di venire a conoscenza dell’intervenuto acquisto della proprietà del bene oggetto del possesso esercitato da terzi.In primo luogo, deve escludersi che il possessore avesse alcun onere di comunicazione del suo possesso, non trovando applicazione alla specie ratione temporis la disposizione di cui al comma 260 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2007.Innanzitutto la norma non ha carattere retroattivo, non potendo ritenersi meramente interpretativa delle disposizioni di cui all’art. 1163 cod. civ., in quanto ha introdotto nell’ordinamento una nuova disciplina del possesso utile ad usucapionem relativamente ai beni vacanti e alle eredità giacenti di cui lo Stato sia divenuto titolare ex art. 586 cod. civ. allo scopo di consentirgli l’effettivo esercizio dei diritti successori ed impedirne l’estinzione a favore di terzi possessori.

Infatti, la norma non solo ha imposto a carico di colui che esercita il possesso su beni vacanti o derivanti da eredità giacenti l’onere (prima non sussistente) di darne comunicazione all’Agenzia ma, nel subordinare all’effettuazione di tale adempimento il decorso del termine necessario per l’usucapione, ha previsto una nuova ipotesi di vizio del possesso acquistato sui beni in questione, estendendo la previsione di cui all’art. 1163 cod. civ. – secondo cui il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui sono cessati la violenza o la clandestinità – quando non sia stato effettuato il suddetto adempimento.

Pertanto, la stessa ratio ispiratrice dell’intervento del legislatore, volto ad evitare la perdita di diritti acquistati ai sensi dell’art. 586 citato su beni di cui l’Amministrazione neppure sia a conoscenza di avere acquistato, non fa altro che confermare che, in coerenza con i principi che regolano l’istituto dell’usucapione, ai sensi dell’art. 1163 cod. civ. nel testo anteriore alla citata modifica legislativa, le ragioni dell’inerzia dello Stato o la mancata comunicazione dell’altrui possesso ovvero la mancata conoscenza dell’intervenuto acquisto del bene erano circostanze che non potevano assumere alcun rilievo ai fini di impedire il decorso dell’usucapione e tanto meno potevano configurare una situazione di possesso clandestino, atteso che l’acquisto ex art. 1158 cod. civ. postula, da un lato, l’obiettiva inerzia da parte del proprietario o del titolare di un diritto reale e, dall’altro, l’acquisto e l’esercizio del possesso da parte del terzo in modo pubblico e pacifico.

Ed invero, l’inerzia dell’Amministrazione non può ritenersi conseguenza di una situazione di oggettiva impossibilità per lo Stato di conoscere l’intervenuto acquisto della proprietà del bene oggetto del possesso esercitato da terzi posto che – indipendentemente da quanto è stato poi pure previsto con la citata legge del 2007 proprio per sopperire a disfunzioni legate alla mancata adozione di idonee misure – lo Stato avrebbe potuto compiere quelle attività, di carattere amministrativo ed organizzativo, dirette all’acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato.

In particolare, va considerato che proprio il mancato versamento delle imposte relative all’immobile de quo, protrattosi per un periodo evidentemente considerevole, al quale ha fatto cenno il ricorrente, avrebbe dovuto comportare le necessarie verifiche in ordine all’omesso pagamento da parte del soggetto che risultava l’intestatario catastale dell’immobile: il che avrebbe consentito quindi di appurare la situazione di diritto e di fatto del bene medesimo.

  • Litisconsorzio

 

In tema di giudizio diretto all’accertamento dell’usucapione, la fattispecie del litisconsorzio necessario ricorre esclusivamente nel caso in cui la pluralità soggettiva sia rinvenibile dal lato passivo del rapporto, cioè tra coloro in danno dei quali la domanda è diretta, non anche nell’ipotesi in cui essa si riscontri dal lato attivo, atteso che, in tale evenienza, l’azione proposta è diretta a costituire una situazione compatibile con la pretesa che i soggetti non citati in giudizio potranno eventualmente vantare in futuro[258].

Poiché la domanda diretta ad accertare l’avvenuta usucapione di un bene comune richiede la presenza in causa di tutti i comproprietari in danno dei quali l’usucapione si sarebbe verificata, nel caso di tempestiva impugnazione della relativa sentenza di accoglimento proposta da uno solo di essi il giudice di appello deve disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c. nei confronti degli altri comproprietari non appellanti che citati in integrazione sono abilitati anche a proporre impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell’art. 334 c.p.c., restando, anche in caso di contumacia, parti nel giudizio di appello ritualmente instaurato dal loro litisconsorte, senza che possa ritenersi passata in giudicato nei loro confronti la sentenza di primo grado[259].

Da ultimo, per la S.C.[260] non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario, il caso in cui il giudice d’appello, nel respingere la domanda di usucapione avanzata dall’attore, riconosca che la titolarità del bene (nella specie, un locale posto in un edificio condominiale), in ordine al cui acquisto a titolo di usucapione appunto si controverta, appartenga ad un soggetto (il condominio) diverso da quello (il costruttore dell’intero edificio) evocato in giudizio dall’attore.

Sussiste il litisconsorzio necessario del coniuge in regime di comunione legale dei beni nel caso in cui venga contestato da un terzo l’acquisto per usucapione di una porzione immobiliare da parte dell’altro coniuge, perfezionatasi dopo l’entrata in vigore del nuovo regime giuridico del diritto di famiglia, rilevando ai fini dell’applicabilità del regime della comunione legale soltanto la data di acquisto della proprietà per usucapione e non la precedente perdita del possesso da parte del precedente proprietario[261].

 

  • Eccezioni

Quando il convenuto opponga alla domanda diretta a far valere il diritto di proprietà su un bene determinato l’usucapione del bene stesso possono configurarsi una domanda riconvenzionale o un’eccezione. Ricorre la prima ipotesi quando il convenuto chieda l’accertamento del suo diritto di proprietà, al momento della decisione, sul bene in controversia; si è, invece, in presenza di un’eccezione se il convenuto si limiti ad opporre che, per effetto dell’usucapione, l’attore ha cessato di essere e quindi non è più attualmente titolare del diritto di proprietà di cui si discute[262].

L’eccezione di usucapione, in quanto tenda non alla costituzione del diritto, ma al mero accertamento dello stesso come strumento per paralizzare l’avversa pretesa, è validamente proponibile in grado di appello[263].

Le eccezioni nuove, seppure ammissibili in appello, concretando motivi d’impugnazione, possono essere specificamente formulate dall’appellante soltanto nell’atto di appello, il quale delimita l’ampiezza del dibattito nel giudizio di secondo grado[264].

La proposizione da parte dell’appellante di nuove eccezioni in senso proprio nel giudizio di secondo grado (nella specie, eccezione di usucapione) costituisce esercizio del diritto di impugnazione e si deve attuare attraverso la formulazione dei motivi di gravame. Essa, pertanto, incontra un limite invalicabile nella norma dell’art. 342 c.p.c., nel senso che, diversamente dall’appellato, l’appellante può dedurre le nuove eccezioni soltanto nell’atto di appello e non anche nell’ulteriore corso del giudizio di gravame[265].

Per concludere questo esame sugli elementi necessari ad usucapire, precisiamo che il possesso, così caratterizzato, deve protrarsi per un certo periodo, stabilito per legge. Il legislatore ha previsto una durata minima ventennale per l’usucapione immobiliare ordinaria ex art.1158 c.c., che può ridursi in dieci anni nell’usucapione abbreviata, ex art.1159 c.c., e una durata di quindici anni (o cinque se c’è la buona fede) nell’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale ex art. 1159 bis c.c..

 

 

 

B)  Oggetto dell’usucapione

 

Sono suscettibili di usucapione soltanto i diritti reali e non anche quelli personali[266].

art. 1159-bis c.c.   usucapione speciale per la piccola proprietà rurale: la proprietà dei fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani dalla legge si acquista in virtù del possesso continuato per quindici anni.

Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia debitamente trascritto, un fondo rustico con annessi fabbricati, situati in comuni classificati montani dalla legge, ne compie l’usucapione in suo favore col decorso di cinque anni dalla data di trascrizione.

La legge speciale stabilisce la procedura, le modalità e le agevolazioni per la regolarizzazione del titolo di proprietà.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche ai fondi rustici con annessi fabbricati, situati in comuni non classificati montani dalla legge, aventi un reddito non superiore ai limiti fissati dalla legge speciale.

 

 

art. 1160 c.c.   usucapione delle universalità di mobili: l’usucapione di un’universalità di mobili (c.c.816) o di diritti reali di godimento sopra la medesima si compie in virtù del possesso continuato per venti anni.

Nel caso di acquisto in buona fede (c.c.1147) da chi non e proprietario, in forza di titolo idoneo, l’usucapione si compie con il decorso di dieci anni.

 

 

art. 1161 c.c.   usucapione dei beni mobili: in mancanza di titolo idoneo (c.c.922), la proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede.

Se il possessore è di mala fede, l’usucapione si compie con il decorso di venti anni.

 

 

art. 1162 c.c.   usucapione di beni mobili iscritti in pubblici registri: colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un bene mobile iscritto in pubblici registri (c.c.815, 2683; Cod. Nav. 146 e seguenti, 753 e seguenti), in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà (c.c.1321) e che sia stato debitamente trascritto, ne compie in suo favore l’usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione.

Se non concorrono le condizioni previste dal comma precedente, l’usucapione si compie col decorso di dieci anni.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento (c.c.981, 1021).

In merito ai beni demaniali, vedi par.fo 5, lettera B  – cose di cui non si può acquistare la proprietà – pag. 32 ed ai beni immateriali Vedi par.fo 5, lettera F – beni immateriali – pag. 36

 

  • Diritto di proprietà

 

Il possesso utile per l’usucapione ordinaria della proprietà, consta di un elemento materiale, costituito dall’esercizio, riguardo al bene, dei poteri attribuiti da tale diritto, e di un elemento psicologico, costituito dalla volontà del possessore di comportarsi come proprietario del bene medesimo, la cui sussistenza non è esclusa dalla consapevolezza che egli sappia di non essere proprietario del bene, giacché l’ignoranza di ledere l’altrui diritto è richiesta solo per la configurabilità del possesso di buona fede (art. 1147 c.c.), che, in sede di restituzione, attribuisce particolari benefici rispetto al comune possesso, ma non è richiesto dall’art. 1158 c.c. ai fini dell’usucapione[267].

 In tema di beni immobili, la realizzazione, da parte del possessore di un fondo, di una stabile costruzione sullo stesso, è indicativa dell’animus rem sibi habendi, incompatibile con l’intenzione di esercitare un potere di fatto sul bene corrispondente al contenuto di un diritto diverso da quello di proprietà, quale l’usufrutto, limitato allo ius utendi fruendi, salva rerum substantia[268].

Quota pro indivisa

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13 novembre 2014, n. 24214

è ammissibile l’usucapione della proprietà soltanto di una quota di un bene indiviso, lasciando impregiudicata la quota di altro comproprietario, non elimina infatti la necessità che una tale pretesa venga esplicitata mediante la formulazione di un’apposita e specifica domanda in giudizio.

Né in contrario, si legge in sentenza in commento, può argomentarsi che tale richiesta sia compresa nella domanda di usucapione di tutte le altre quote, comportando una mera riduzione del petitum originario, una volta considerato che essa comporta anche una modifica del fatto costitutivo, che da una situazione di possesso esclusivo viene trasformato in quella di compossesso. A ciò si aggiunga che il ricorso nemmeno precisa quale sarebbe la quota o le quote degli altri comproprietari nei cui confronti dovrebbe essere dichiarata l’usucapione, sicché la domanda appare indeterminata anche con riguardo al petitum immediato (Cass., Sez. II, 6 dicembre 2011, n. 26241).

 

  • Diritto di servitù

[269]

 

Ad integrare il possesso ad usucapionem di una servitù prediale è necessario che, con l’esercizio continuo ed ininterrotto di una attività a vantaggio di un fondo e a carico di un altro, si accompagni anche l’intento di comportarsi e farsi considerare come titolare di quel diritto reale a cui corrisponde la concreta attuazione del potere di fatto[270].

Il requisito dell’apparenza

Per usucapire una servitù apparente discontinua[271] non basta la sola opera visibile e permanente, se non v’è il concreto svolgimento di un’attività corrispondente al contenuto del diritto reale per tutto il periodo idoneo alla usucapione. Pur non occorrendo a tal fine la continuità materiale dell’uso, poiché il possesso può essere mantenuto anche «solo animo», tuttavia tal modo di conservazione del possesso è condizionato alla reale possibilità del soggetto di ripristinare ad libitum il corpus, mentre se viene meno la possibilità di disporre materialmente della cosa escludendo gli altri tutte le volte che si voglia, il solo elemento soggettivo (animus possidendi) non è più sufficiente alla conservazione del possesso, che si perde nello stesso momento in cui cessa tale possibilità.

Il requisito dell’apparenza della servitù richiesto ai fini dell’acquisto di essa per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.) si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l’animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù. Ne consegue che, ove si tratti di un andito o di un portone siti nel fabbricato del vicino, per definire apparente la servitù di passaggio non basta l’esistenza dell’opera, che può essere anche utilizzata per il passaggio soltanto dal proprietario, ma è necessario che tali opere risultino specificamente destinate all’esercizio della servitù[272].

Il requisito dell’apparenza necessario ai sensi dell’art. 1061 c.c. per l’acquisto della servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia non può consistere nell’esercizio visibile dello ius in re aliena senza contestazioni da parte altrui, ma richiede l’esistenza di opere visibili e permanenti tali da rivelare ex se l’esistenza del peso gravante sul fondo servente a favore di quello dominante[273].

La servitù di passaggio

Ai fini dell’usucapione di una servitù di passaggio[274], il possesso da considerare è esclusivamente quello che sia stato posto a base dell’usucapione, non potendo essersi usucapito qualcosa di più o di diverso di ciò che si è posseduto (tantum praescriptum quantum possessum).

L’elemento psicologico del possesso ad usucapionem della servitù di passaggio, consistente nella volontà del possessore di comportarsi come titolare del relativo diritto reale[275], va desunto dalle concrete circostanze nelle quali il possesso si è estrinsecato, quali la abitualità del transito, con inizio nel preteso fondo dominante ed esercizio attraverso il preteso fondo servente, nonché il conseguimento di una obiettiva utilità per il primo a danno del secondo, cioè da una serie di elementi, caratterizzati da precise esplicazioni materiali e così suscettibili di controllo.

Con riferimento ad una servitù di passaggio per la sussistenza del requisito dell’apparenza[276], è necessario non solo che esistano in loco segni visibili concretantisi in opere permanenti, ma anche che tali opere costituiscano il mezzo necessario per l’esercizio della servitù e rivelino, in maniera non equivoca, per la loro struttura e consistenza, l’esistenza dell’onere. Allo stesso fine l’elemento psicologico del possesso consistente nella volontà del possessore di comportarsi come titolare del relativo diritto reale, va desunto, oltre che dalla qualità dei soggetti, dalle concrete circostanze nelle quali il possesso medesimo si sia estrinsecato, quali l’abitualità del transito con inizio dal preteso fondo dominante ed esercizio attraverso il preteso fondo servente nonché il conseguimento di una obbiettiva utilità per il primo a danno del secondo senza che possano giovare atti o comportamenti tollerati o permessi per condiscendenza o per mera cortesia.

Ad esempio, la messa a disposizione da parte del vicino — per un breve periodo e a titolo di cortesia — della chiave di un portone apposto nell’androne del fabbricato di sua proprietà, (anche) dal medesimo utilizzato per il passaggio, non assume valore di non ambiguo opus manu factum con efficacia ricognitiva della sussistenza di una servitù di passaggio (nel caso, pedonale e carraio) e del requisito dell’apparenza del relativo possesso ad usucapionem vantati dal proprietario confinante[277].

La sporadicità del relativo esercizio non denota che questo si verifichi per mera tolleranza, allorquando sia accertato che il passaggio corrisponda ad un interesse che non richiede una frequente utilizzazione del transito[278].

 

Servitù di uso pubblico

 

Perché un’area privata possa ritenersi assoggettata per usucapione alla servitù d’uso pubblico, occorre che l’uso risponda alla necessità o utilità di un insieme di persone agenti come esponenti della collettività e che sia esercitato continuativamente per venti anni con l’intenzione di agire non solo uti cives, ma misconoscendo il diritto del proprietario, tal che l’uso non possa essere attribuito a mera tolleranza di quest’ultimo[279].

L’avvenuto acquisto di una servitù di uso pubblico di passaggio su una parte determinata del fondo non ne comporta l’estensione all’intero fondo, ancorché esso costituisca un corpo unico senza soluzione di continuità, ove non trovi giustificazione nel titolo che, come stato di fatto, si identifica nel possesso (perdurato per il periodo necessario all’acquisto) secondo le modalità ed i limiti dell’oggetto su cui sia stato esercitato.

A tal fine non rileva la funzione di predialità attiva connessa all’utilità di un fondo dominante, in rapporto alla quale possa venire spostato il locus servitutis, atteso che la stessa non sussiste ove il diritto spetti ad una collettività di persone in quanto tale[280].

 

 

Servitù di prospetto

 

Per l’usucapione di una servitù di prospetto è necessario il solo requisito dell’apparenza il quale va riferito alle opere (art. 1061 c.c.) destinate all’esercizio della servitù (nella specie una finestra) mentre non è necessaria la continuità degli atti di utilizzazione delle opere, con la conseguenza che l’eventuale intermittenza di tali atti di godimento non scalfisce la continuità del possesso, la quale persiste fin tanto che permane la possibilità concreta di effettuare l’inspectio e la prospectio[281].

 

Servitù di veduta[282]

 

Al fine di stabilire se l’esercizio di attività corrispondenti a servitù poste in essere dall’usufruttuario possa condurre all’usucapione del relativo diritto a favore del nudo proprietario occorre avere riguardo all’animus dell’usufruttuario e alla sua esteriorizzazione. (Nella specie, due fondi confinanti appartenenti a due distinti nudi proprietari erano goduti in usufrutto da una stessa persona. Cessato l’usufrutto, il proprietario di uno dei due fondi assumeva di avere acquistato per usucapione una servitù di presa d’acqua a carico dell’altro fondo di più ampio contenuto di quella preesistente alla costituzione dell’usufrutto, in virtù dell’esercizio della corrispondente attività esercitata dall’usufruttuario. I giudici del merito, dopo aver ritenuto che l’animus dell’usufruttuario era ambiguo data la promiscuità della sua posizione, avevano ritenuto che per la valutazione dell’animus possidendi dovesse aversi riguardo allo stato soggettivo del nudo proprietario, che non poteva dirsi equivoco. La S.C. accogliendo il ricorso ha enunciato il principio sopra riportato)[283].

 

 

Distanze[284]

 

La deroga alla disciplina delle distanze fra le costruzioni, risolvendosi in una menomazione per l’immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, integra una servitù che può costituirsi mediante il possesso ad usucapionem per la durata prevista dalla legge[285].

 

Diritto di enfiteusi

 

La proprietà, naturalmente, può essere acquistata da chiunque con il possesso ad usucapionem protratto per il termine di legge, ma l’enfiteuta, proprio perché il suo possesso corrisponde all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui, non può — per il preciso disposto dell’art. 1164 c.c.[286] vigente e dell’art. 2116 del c.c. abrogato — usucapire la proprietà[287] se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario: l’omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutare il titolo del possesso, neppure nel singolare caso che al pagamento sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva.

Il possesso di un fondo a titolo enfiteutico è caratterizzato, da un lato, dall’esercizio con l’animo del titolare, dei diritti spettanti sullo stesso fondo all’enfiteuta e, dall’altro, dal riconoscimento del diritto del concedente, attraverso il pagamento a nome proprio del canone.

Pertanto, l’usucapione dell’enfiteusi richiede un possesso di tale diritto riconoscibile sia da parte dell’utilista spossessato, sia da parte del proprietario e non può verificarsi senza che l’usucapiente assuma, in pari tempo, la posizione di obbligato al pagamento del canone, corrispondendolo apertamente in nome proprio[288].

 

Preliminare

 

Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori; pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di una intervenuta interversio possesionis nei modi previsti dall’art. 1141 c.c.[289]

 

Azienda

Sul punto, proprio con ultima pronuncia, le sezioni unite,

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 5 marzo 2014, n. 5087

hanno così stabilito: ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione, l’azienda, quale complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito.

Orbene, si legge nella sentenza in commento che il possesso è dunque configurabile sempre che, rispetto allo stesso bene, sia ipotizzabile la proprietà o un altro diritto reale, al cui esercizio corrisponda l’attività del possessore.

Che l’azienda possa essere oggetto di proprietà o di usufrutto è peraltro espressamente sancito dagli artt. 2556, comma primo e 2561 c.c.. È dunque pienamente giustificata l’affermazione che colui il quale esercita sull’azienda un’attività corrispondente a quella di un proprietario o di un usufruttuario la possiede, e, nel concorso degli altri requisiti di legge, la usucapisce.

Il possesso è qui riferibile esclusivamente al “complesso dei beni” unitariamente considerato, e non già ai singoli beni, che come è noto non appartengono necessariamente al titolare dell’azienda, e seguono le regole di circolazione loro proprie.

Il possesso dell’azienda, inoltre, è specificamente ed espressamente considerato nell’art. 670 c.p.c., che ammette il sequestro delle aziende – o di “altre universalità di beni” – quando ne sia controversa (la proprietà o) il possesso.

In definitiva il complesso di questi disposizioni non consente di dubitare – secondo il sommo collegio –  che, nell’intento del legislatore, l’azienda debba essere considerata unitariamente sia sotto il profilo della proprietà (o dell’usufrutto; e con l’ovvia precisazione, anche in questo caso, che la proprietà del “complesso organizzato” non è proprietà dei singoli beni), e sia sotto quello del possesso.

 

Ditta individuale

Il diritto dell’imprenditore sulla ditta può formare oggetto di acquisto per usucapione nel concorso della duplice condizione che si sia verificata la cessazione del suo uso da parte del titolare originario e che si sia instaurato un uso a titolo di possesso ad usucapionem da parte di altro esercente la ditta, e non anche quando il titolare originario si sia limitato a tollerare l’usurpazione altrui pur continuando nel proprio uso legittimo[290].

I beni del patrimonio indisponibile

In ordine a tali beni è opportuno riportare recente sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 2 ottobre 2020, n. 21137.

che ha fatto chiarezza (si spera) sul punto, ebbene si legge in sentenza quanto segue:

In argomento, occorre prendere le mosse dal principio per cui “In materia di beni immobili, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 830 c.c. e articolo 828 c.c., comma 2, i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12608 del 28/08/2002, Rv. 557167).
Detto principio generale e’ stato ribadito da questa Corte in relazione alle ricostruzioni post-terremoto. Sul punto, si e’ infatti affermato che “Con riguardo agli alloggi costruiti con il contributo dello Stato in conseguenza di terremoti per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, la L. 30 marzo 1965, n. 225, articolo 1, che ne prevede la cessione in proprieta’, non declassifica in maniera automatica, ne’ espressamente, ne’ implicitamente, tali beni, ma si limita a disciplinarne l’assegnazione ai privati, la quale soltanto determina, in una con l’effetto traslativo, la perdita della qualita’ pubblica degli alloggi stessi. Ne consegue che questi ultimi, restando soggetti al regime del patrimonio indisponile fino alla conclusione del procedimento di assegnazione, non sono suscettibili di formare oggetto di usucapione della proprieta’ da parte dei soggetti occupanti”. Pertanto “La declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all’uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtu’ di atto di pari rango, e non puo’, dunque, trarsi da una condotta concludente dell’ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialita’ indisponibile, cosi’ come della demanialita’, che il bene abbia subito un’immutazione irreversibile, tale da non essere piu’ idoneo all’uso della collettivita’, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo. Ne consegue che, con riguardo agli alloggi costruiti a carico dello Stato per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite da eventi sismici, la cui inclusione nell’ambito del patrimonio indisponibile si ricava dagli articoli da 252 a 255 del Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica, deve escludersi la stessa ipotetica configurabilita’ di una declassificazione tacita per effetto dell’attivita’ concludente posta in essere dall’ente proprietario, nonche’ la possibilita’ che questa abbia anche soltanto innescato la sospensione dell’uso pubblico” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2962 del 27/02/2012, Rv. 621582-01 e Rv. 621582-02).
Identico principio e’ stato applicato anche in materia di riforma fondiaria. In proposito “I terreni acquistati dagli enti di riforma fondiaria, essendo destinati all’attuazione della funzione istituzionale dei medesimi, ossia quella della redistribuzione della proprieta’ terriera ai contadini, come stabilito dalla L. n. 230 del 1950, articolo 1, non possono, in quanto destinati a un pubblico servizio, essere sottratti a tale finalita’ se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi degli articoli 830 c.c., comma 2 e articolo 828 c.c., comma 2; ne consegue l’impossibilita’ giuridica di una loro acquisizione da parte di terzi per usucapione, ancorche’ sia venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto della medesima L. n. 230 del 1950, articolo 20, per l’assegnazione delle terre acquisite” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4430 del 24/02/2009 Rv. 607041).
Anche in materia di alloggi ex INA-casa, si e’ ritenuto che “Gli assegnatari di alloggi INA-casa fino alla stipulazione del contratto di compravendita sono titolari di un rapporto di locazione, e, come tali, sono dei detentori e non dei possessori dell’immobile. Pertanto, se intendano trasformare la detenzione in possesso, devono necessariamente compiere dei validi Atti di interversione nei confronti dell’INA-casa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4079 del 18/06/1986, Rv. 446886).
Dai precedenti appena richiamati consegue l’affermazione del principio per cui allorquando lo Stato, o altro ente pubblico, intervenga nel settore della proprieta’, fondiaria o urbana, per assicurare il soddisfacimento di un interesse pubblico primario, quali l’esigenza di ridistribuzione della proprieta’ agraria (nel caso della L. n. 230 del 1950) ovvero l’assicurazione di una casa di abitazione per i cittadini non abbienti (nel caso dell’assegnazione degli alloggi di edilizia economica e popolare, nelle sue varie forme ed articolazioni) o ancora la ricostruzione post-terremoto (nel caso di cui alla L. n. 225 del 1968) la finalita’ perseguita assume una valenza primaria e prevalente rispetto alla posizione individuale di eventuali soggetti che si pongano in una mera relazione di fatto con la cosa. Pertanto il bene immobile interessato dall’intervento pubblico permane nel patrimonio indisponibile dell’ente, e non e’ quindi usucapibile a vantaggio del privato, sino all’intervenuto completamento dei diversi procedimenti amministrativi finalizzati alla realizzazione dell’interesse pubblico in concreto perseguito. Del resto, ove si accogliesse la soluzione inversa la stessa finalita’ pubblica dell’intervento rischierebbe di essere frustrata, in concreto, da eventuali ritardi nei procedimenti predetti.
Soltanto nei casi in cui l’intervento progettato non abbia avuto seguito, e non si sia quindi realizzato in concreto l’asservimento del bene alla finalita’ pubblica perseguita, puo’ configurarsi una reviviscenza dell’interesse individuale rispetto a quello generale. In tal senso, in una fattispecie in cui un soggetto aveva agito per l’accertamento dell’intervenuta usucapione di un terreno destinato dal piano regolatore generale ad uso pubblico, sul presupposto che al momento dell’inizio del possesso utile all’usucapione fossero trascorsi piu’ di dieci anni senza che del fondo vi fosse stata alcuna concreta utilizzazione, si e’ affermato che “L’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine, la cui mancanza deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilita’” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26402 del 16/12/2009, Rv. 610544).
Allo stesso modo, quando il bene sia ab origine compreso nel patrimonio disponibile dello Stato e sia stato fatto oggetto di utilizzazione uti domini da parte di un privato, che se ne sia impossessato occupandolo per sopperire ad esigenze abitative primarie conseguenti ad eventi bellici (nella fattispecie, si trattava di una occupazione risalente al 1946) ed abbia provveduto alla realizzazione degli impianti di cui il bene era inizialmente privo, rendendolo abitabile, senza alcuna opposizione da parte della P.A. per oltre cinquant’anni, “… il potere di fatto dagli stessi esercitato corrispondente all’esercizio del diritto di proprieta’ (presumendosi l’animus possidendi, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o dalla conoscenza del diritto altrui) non puo’ considerarsi viziato per contrasto con la volonta’ della P.A., dal momento che il comportamento accondiscendente della stessa Amministrazione, tenuto durante tutto il lungo periodo trascorso del possesso esercitato, in relazione ad un bene del suo patrimonio disponibile, e’ idoneo a dimostrare, per facta concludentia, la volonta’ di non opporsi all’altrui possesso” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5158 del 10/03/2006, Rv. 587175).
Il punto di equilibrio del sistema e’ quindi rappresentato da un lato dall’individuabilita’ di un interesse pubblico di portata generale, alla cui realizzazione sia finalizzato l’intervento dello Stato o altro ente pubblico nel settore della proprieta’, urbana o fondiaria. Laddove tale interesse sia configurabile, esso tendenzialmente prevale sulla posizione del privato, titolare di un rapporto di fatto con la res compresa nell’intervento stesso. Dall’altro lato, tuttavia, l’interesse della P.A. al bene immobile deve manifestarsi in un tempo congruo, e quindi laddove il progettato intervento non abbia mai avuto inizio, ovvero il bene sia stato de facto abbandonato da tempo immemore dall’ente pubblico, non ha piu’ ragion d’essere la soggezione della posizione individuale rispetto ad un interesse pubblico che, in concreto, non si e’ mai realizzato.

[…]

A quanto precede va aggiunta la doverosa considerazione che, anche nei rapporti tra privati, e’ ormai pacifico il principio per cui “Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilita’ conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, e’ qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’articolo 1141 c.c.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008, Rv. 602815; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1296 del 25/01/2010, Rv. 611222; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9896 del 26/04/2010, Rv. 612577; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016, Rv. 639209).

Quindi in ogni ipotesi in cui si configuri un titolo di legittimazione del rapporto di fatto costituito tra un soggetto ed un bene, anche in relazione ad un progettato trasferimento della proprieta’ di un immobile che poi non venga, per qualsiasi ragione, portato a termine, non v’e’ spazio per ipotizzare una situazione di possesso, e quindi non si realizza una fattispecie astrattamente idonea ad usucapionem, a meno che il detentore non compia, alla stregua di quanto previsto dall’articolo 1141 c.c., un atto di interversione idoneo, appunto, a trasformare la sua condizione di mera detenzione in possesso.

 

C)  Natura e contenuto dell’acquisto

 

C)  Natura e contenuto dell’acquisto

L’acquisto per usucapione si ha titolo originario  considerato che non è subordinato alla posizione del titolare precedente, ma all’esistenza dei requisiti previsti dalla legge, cioè del possesso e del tempo.

Il contenuto dell’acquisto per usucapione si determina con riguardo al contenuto del possesso; pertanto il possesso pieno porta all’acquisto della proprietà, mentre il possesso minore risulta utile per l’acquisto degli altri diritti reali di godimento.

È necessario fare riferimento al contenuto del possesso al fine di risolvere il problema della c.d. usucapio libertatis, cioè il problema se l’acquisto per usucapione liberi il bene dai diritti sulla res.

In giurisprudenza prevale la soluzione negativa, fondata sul rilievo che il codice espressamente prevede l’effetto liberatorio all’art. 1153 secondo comma, c.c. in tema di acquisto di cosa mobile dal non proprietario pertanto, la mancata menzione dell’effetto liberatorio in tema di usucapione starebbe a significare l’esclusione di tale effetto.

art. 1153  2 co  c.c.    effetti dell’acquisto del possesso: ……………………………..

La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente.

Nello stesso modo si acquistano diritti di usufrutto, di uso e di pegno (c.c.981, 1021, 2784).

Non sembra essere convincente per un autore[291] l’ipotesi dell’applicazione analogica di questa norma – ossia l’art. 1153 c.c. – agli acquisti per usucapione.

In mancanza di un preciso dato normativo è necessario fare riferimento al principio generale della estinzione dei diritti per incompatibilità; questo principio non legittima, però, l’usucapio liberatis.

In realtà, chi esercita un possesso pieno del bene potrà usucapire la proprietà libera da vincoli – che comporterebbero limitazioni del possesso – mentre se l’usucapione ha subito una limitazione del possesso, a causa della presenza dei diritti reali altrui, tali diritti rimarranno.

  • Effetti retroattivi

Il principio della cosiddetta retroattività reale dell’usucapione — secondo cui si ritiene che l’usucapiente sia stato titolare del diritto di proprietà — sin dal primo momento in cui ha cominciato a possedere la cosa si giustifica con contingenti ragioni di necessità e di opportunità pratica, sicché trova applicazione puntuale nei casi in cui, senza pregiudizio dei terzi (che nell’intervallo abbiano ad esempio acquistato dal proprietario) occorra sanare o rendere certe e definitive, situazioni alle quali abbiano dato luogo gli atti intermedi dell’usucapiente[292].

L’usucapione compiutasi all’esito di possesso ventennale esercitato da un soggetto privo di titolo trascritto estingue le iscrizioni e trascrizioni risultanti a nome del precedente proprietario (tale effetto estintivo riconducendosi non già ad una presunta usucapio libertatis, bensì all’efficacia retroattiva dell’usucapione stessa), con la conseguenza che il notaio rogante nella successiva vendita del bene compiuta dall’usucapiente non è tenuto a verificare l’esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli di data anteriore a quella della trascrizione della sentenza di accertamento dell’intervenuta usucapione[293].

 

Infine, ad esempio, presupposto logico-giuridico dell’attuazione della disciplina della distanza delle costruzioni dalle vedute di cui all’art. 907 c.c. e l’anteriorità dell’acquisto del diritto alla veduta sul fondo vicino rispetto all’esercizio, da parte del proprietario di quest’ultimo, della facoltà di costruire. Pertanto, nel caso in cui l’usucapione del diritto di esercitare la servitù di veduta si sia maturata, per compimento del termine utile, dopo l’ultimazione dell’edificio costruito sul fondo vicino, il titolare della servitù non può richiedere l’arretramento di tale edificio alla distanza prevista dalla citata norma. Né vale invocare in contrario il principio della retroattività degli effetti dell’usucapione, in quanto, se è vero che l’usucapiente diventa titolare del diritto usucapito sin dalla data d’inizio del suo possesso, tuttavia i suddetti effetti sono commisurati alla situazione di fatto e diritto esistente al compimento del termine richiesto: ne consegue che se, durante il maturarsi del termine, il soggetto, che avrebbe potuto contestare l’esercizio della veduta, ha modificato tale situazione, avvalendosi della facoltà di costruire sul proprio fondo, e a tale situazione che occorre far riferimento per stabilire il contenuto ed i limiti del diritto di veduta usucapito[294].

D)  Usucapione abbreviata

[295]

 

art. 1159 c.c.   usucapione decennale: colui che acquista in buona fede da chi non e proprietario un immobile, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto (c.c.2643 e seguenti  affinché avverta i terzi dell’esistenza dell’atto, assolvendo così la funzione di pubblicità propria dei registri immobiliari), ne compie l’usucapione in suo favore col decorso di dieci anni (3 anni per  i beni mobili registrati) dalla data della trascrizione.

La stessa disposizione si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile.

 

Il fattore temporale, requisito indispensabile per il perfezionamento dell’usucapione, è determinante, ai fini dell’usucapione abbreviata [296] di cui agli artt. 1159 c.c. e ss., oltre alla buona fede del possessore, il titolo astrattamente idoneo al trasferimento e la trascrizione dello stesso.

Per la S.C.[297] l’usucapione decennale presuppone l’acquisto in buona fede di un immobile a non domino e postula la identità tra la zona alienata e quella posseduta nonché la trascrizione del titolo, il quale deve specificamente riguardare l’immobile che si è inteso con esso trasferire e del quale si sostiene l’acquisto per decorso del decennio, in modo che, attraverso la trascrizione e la perfetta corrispondenza tra l’oggetto del titolo e quello del possesso, i terzi interessati siano posti in grado di conoscere in maniera sicura ed autentica l’acquisto per usucapione che dell’immobile venga facendo il possessore.

1)   La buona fede

La buona fede, come già analizzata in precedenza[298], che la legge esige debba accompagnarsi al possesso, è quella di tipo soggettivo prevista dall’art. 1147 c.c., ossia l’ignoranza incolpevole di ledere un diritto altrui.

Essa, ai sensi della norma da ultimo citata, si presume, ed è sufficiente, che sussista al momento della presa di possesso del bene, se successiva alla stipulazione del negozio traslativo[299].

Per ultima Cassazione[300] in tema di usucapione decennale di beni immobili, la buona fede di chi ne acquista la proprietà in forza di titolo astrattamente idoneo è esclusa soltanto quando sia in concreto accertato che l’ignoranza di ledere l’altrui diritto dipenda da colpa grave, ai sensi dell’art. 1147, secondo comma, c.c.

Non può, allora, affermarsi che versi in colpa grave colui il quale, rivoltosi a un notaio per la redazione di un atto traslativo, senza averlo esonerato dal compiere le visure catastali ed ipotecarie, addivenga all’acquisto in considerazione delle garanzie di titolarità del bene e di libertà dello stesso fornite dall’alienante, o apparente tale, e nella ragionevole presunzione che l’ufficiale rogante abbia compiuto le opportune verifiche. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, per aver del tutto omesso di prendere in esame la tesi dell’attore, il quale aveva sostenuto che la propria buona fede al momento dell’acquisto dovesse essere desunta dalla circostanza che egli aveva incaricato del rogito un notaio “tra i più autorevoli della zona”, sicché non avrebbe avuto ragione di dubitare circa il diligente compimento delle visure, dalle quali sarebbe risultata l’esistenza della trascrizione di una domanda giudiziale di trasferimento in proprietà del bene in questione, ai sensi dell’art. c.c., proposta da un terzo nei confronti del dante causa).

Principio già statuito dalla medesima Corte[301] secondo la quale in tema di usucapione decennale di beni immobili, la buona fede di chi ne acquista la proprietà in forza di titolo astrattamente idoneo è esclusa soltanto quando sia in concreto accertato che l’ignoranza di ledere l’altrui diritto dipenda da colpa grave (art. 1147 c.c.); in linea generale, non può affermarsi che versi in colpa grave colui il quale, rivoltosi a un notaio per la redazione di un atto traslativo e non avendolo esonerato dal compiere le cosiddette visure catastali ed ipotecarie, addivenga all’acquisto in considerazione delle garanzie di titolarità del bene e di libertà dello stesso fornite dall’alienante, o apparente tale, e nella ragionevole presunzione che l’ufficiale rogante abbia compiuto le opportune verifiche, atteso che il notaio, pur fornendo una prestazione di mezzi e non di risultato, è tenuto a consentire la realizzazione dello scopo voluto dalle parti con la diligenza media, riferibile alla categoria professionale di appartenenza, curando le adeguate operazioni preparatorie all’atto da compiere, senza ridurre la sua opera alla passiva registrazione delle altrui dichiarazioni. (Nella specie, è stata cassata la sentenza impugnata che, senza compiere alcuna specifica indagine in ordine alla colpa in concreto ascrivibile, aveva escluso la buona fede di coloro i quali avevano posseduto per oltre dieci anni l’immobile acquistato con atto regolarmente trascritto, sulla astratta considerazione che i predetti avrebbero potuto verificare attraverso le visure dei registri immobiliari l’esistenza — al momento del loro acquisto — della trascrizione della domanda giudiziale di accertamento del trasferimento della proprietà del medesimo bene a favore di terzi, che l’avevano in precedenza comprato dallo stesso dante causa in forza di atto non trascritto).

2)   Titolo astrattamente idoneo

E’ pure necessario, per il compimento dell’usucapione abbreviata, l’esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento del bene oggetto del possesso.

Tale deve reputarsi un atto di natura traslativo-derivativa o traslativo-costitutiva proveniente a non domino.

In tema la S.C.[302] ha deciso che l’usucapione decennale postula l’esistenza del titolo, e cioè di un negozio giuridico che sarebbe idoneo in astratto a produrre l’acquisto della proprietà o di un diritto reale minore, se una circostanza particolare non impedisse in concreto il verificarsi di tale effetto. L’art. 1159 c.c., parlando di acquisto di un immobile o di un diritto reale sopra l’immobile, esprime questo concetto. In mancanza dell’effettivo trasferimento del diritto di proprietà o dell’effettiva costituzione di un diritto reale di godimento da parte di chi non è titolare, l’usucapione abbreviata non può quindi essere invocata.

Oltretutto, il titolo può essere considerato idoneo solo quando l’oggetto in esso descritto coincide con quello sul quale è concretamente esercitato il possesso.

Difatti per la S.C.[303], l’usucapione decennale presuppone l’acquisto in buona fede di un immobile a non domino e l’identità tra zona alienata e zona posseduta, nonché la trascrizione del titolo il quale deve specificamente riguardare l’immobile che si è inteso con esso trasferire e del quale si sostiene l’acquisto per decorso del decennio. Il titolo stesso è elemento autonomo ed essenziale, nel senso che deve indicare esattamente l’immobile ed il diritto immobiliare trasmesso, poiché la perfetta ed assoluta identità fra l’immobile posseduto e quello acquistato in buona fede a non domino va accertata in base ad una distinta valutazione del titolo d’acquisto e del possesso, rimanendo preclusa la possibilità di integrare le risultanze dell’uno con quelle dell’altro.

Ad esempio se, in un atto di compravendita viene individuato un immobile con i confini ed i dati catastali difformi da quelli caratterizzanti il bene oggetto del possesso, il titolo di trasferimento è inidoneo a fondare l’usucapione abbreviata.

Inoltre, in forza di una massima della S.C.[304], il titolo idoneo a trasferire la proprietà di beni immobili, richiesto per l’usucapione decennale, deve consistere in un negozio traslativo a titolo particolare e non può essere, quindi, ravvisato in atti diretti ad attuare un acquisto mortis causa.

Ancora, sempre per la medesima Corte[305], non costituisce titolo astrattamente idoneo al trasferimento la donazione di un bene altrui, attesa l’invalidità a norma dell’art. 771 c.c. di tale negozio.

Infine, la vendita conclusa da un falsus procurator è del tutto inidonea a produrre l’effetto traslativo, non stipulando egli in nome proprio e non avendo i poteri per impegnare altri, onde la vendita stessa risulta inefficace e priva di rilevanza giuridica nei confronti del titolare del diritto apparentemente trasmesso[306].

Mentre[307] costituisce titolo idoneo a trasferire la proprietà a norma dell’art. 1159 c.c. l’atto annullabile, il quale è perfettamente operante se e finché non venga annullato, ma non l’atto affetto da nullità giacché questo vizio è sempre rilevabile da chiunque vi abbia interesse e investe il titolo nella sua antigiuridica esistenza.

3)   La trascrizione

E’ richiesta la trascrizione del titolo poiché, da quel preciso momento, decorre il tempo occorrente per l’usucapione del bene.

L’art. 2652, n. 6, c.c., nel disciplinare (tra l’altro) gli effetti della trascrizione della domanda di accertamento della nullità degli atti soggetti a trascrizione, fa salvi i diritti che i terzi hanno acquistato dal titolare apparente con atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda suddetta, purché questa non sia stata trascritta nel quinquennio successivo alla data di trascrizione dell’atto impugnato.

La dichiarazione della nullità del primo atto di trasferimento in quanto opponibile ai terzi rende il subacquirente (avente causa nel secondo atto di trasferimento) acquirente a non domino privo della tutela prevista dall’art. 2652 n. 6 c.c., ma non incide sulle situazioni giuridiche che trovano tutela indipendentemente dall’efficacia del titolo dichiarato nullo[308].

Da sottolineare che l’usucapione, maturata in conseguenza del soddisfacimento dei requisiti prescritti ex lege, non può essere contrastata da eventuali titoli d’acquisto dello stesso bene trascritti anteriormente a quello, (astrattamente idoneo), sul quale si fonda l’usucapione. Ciò si verifica, semplicemente, perchè il diritto sorto per effetto dell’usucapione estingue tutti i diritti preesistenti ed incompatibili con esso. Tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che l’esistenza di trascrizioni nei pubblici registri a carico del bene, antecedenti a quella (di trascrizione sulla medesima res) funzionale al compimento dell’usucapione abbreviata, a motivo dell’effetto pubblicitario che ad esse si accompagna e, pertanto, per la loro conoscibilità da parte di un qualunque soggetto munito di ordinaria diligenza, esclude la buona fede, presunta ex. art. 147 c.c., in capo all’usucapiente.

4)   Oggetto

L’usucapione abbreviata, al pari di quella ordinaria, può avere ad oggetto non solo il diritto di proprietà bensì, anche, un diritto reale di godimento parziario come, ad es.: l’usufrutto, l’uso, l’enfiteusi, la superficie e la servitù apparente (in forza di un diritto idoneo a costituire la medesima e debitamente trascritto).

In tema di servitù è opportuno riportare alcune pronunce della Corte di legittimità secondo le quali:

  • quando l’alienante dichiari nell’atto di trasferimento di un immobile che a favore del bene ceduto esiste una servitù attiva (nella specie, una servitù di passaggio) a carico del fondo di un terzo, la quale non risulti effettivamente costituita, non sussiste un titolo idoneo per l’usucapione decennale prevista dall’art. 1159 c.c., poiché tale titolo richiede, riguardo ad una servitù (che in occasione del trasferimento del fondo dominante si trasferisce all’acquirente non perché il venditore lo abbia voluto e dichiarato, ma per l’inerenza della servitù al fondo), la partecipazione, oltre che del proprietario del fondo a cui vantaggio opererebbe la servitù, anche dell’apparente proprietario del fondo servente, nei cui confronti deve operare la trascrizione prevista dallo stesso art. 1159[309].
  • L’acquisto della servitù apparente per usucapione decennale presuppone la sussistenza di un atto a titolo particolare astrattamente idoneo ad attuare il «trasferimento» del diritto che si assume usucapito, e tale atto deve consistere in un titolo col quale il soggetto, il quale si qualifichi senza esserlo — proprietario del «fondo servente», abbia costituito una servitù in favore del «fondo dominante» il cui titolare ne vanti, poi, l’acquisto per usucapione[310]. —
  • Beni Immobili

L’usucapione abbreviata può riguardare sia beni immobili, sia beni mobili soggetti o meno a registrazione e sia, infine, universalità di mobili. A seconda della natura del bene oggetto di usucapione la legge prescrive, oltre alla sussistenza dei succitati requisiti, una durata del possesso più o meno lunga.

In particolare, l’usucapione abbreviata di immobili richiede che il possesso si sia protratto ininterrottamente per dieci anni, a far data dalla trascrizione del titolo.

Per la Corte di Cassazione[311], inoltre, l regime della usucapione abbreviata previsto dall’art. 1159 c.c. per l’acquirente di buona fede di un immobile in forza di titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà, si applica anche alle cose le quali, ancorché non esplicitamente o chiaramente indicate nell’atto di acquisto del bene alienato, siano a questo legate da un rapporto pertinenziale.

  • Piccola proprietà rurale

 

Un’ipotesi particolare di usucapione abbreviata di immobili è quella regolata dall’art.1159 bis c.c. la quale ha ad oggetto la piccola proprietà rurale.

art. 1159 bis c.c.    usucapione speciale per la piccola proprietà rurale

La proprietà dei fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani dalla legge si acquista in virtù del possesso continuato per quindici anni.

Colui che acquista in buona fede (1147 c.c.) da chi non è proprietario, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia debitamente trascritto, un fondo rustico con annessi fabbricati, situati in comuni classificati montani dalla legge, ne compie l’usucapione in suo favore col decorso di cinque anni dalla data di trascrizione (art. 2643 c.c.).

La legge speciale stabilisce la procedura, le modalità e le agevolazioni per la regolarizzazione del titolo di proprietà.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche ai fondi rustici con annessi fabbricati, situati in comuni non classificati montani dalla legge, aventi un reddito non superiore ai limiti fissati dalla legge speciale.

La norma, introdotta con legge n.346 del 10-5-1976, contempla, sia i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani (per tali intendendosi quelli situati per almeno l’80% della propria estensione al di sopra dei seicento metri di altitudine sul livello del mare) sia i fondi rustici con annessi fabbricati non classificati in comuni montani ed aventi un reddito dominicale non eccedente gli €.180,76, così come fissato dall’art. 6 della Legge n.97 del 31-1-1994 recante nuove disposizioni per le zone montane.

Ai sensi dell’art. 3 della predetta Legge il riconoscimento della proprietà acquistata per usucapione può essere ottenuto in forza di ricorso al tribunale del luogo in cui è situato il fondo.

Il provvedimento di accertamento della proprietà, emesso dall’autorità giudiziaria in caso di accoglimento dell’istanza, non acquista efficacia di cosa giudicata  ma costituisce un mero titolo per ottenere la trascrizione del diritto.

Pertanto, coloro che ritengono di essere titolari di diritti contrastanti con quello accertato con il decreto, e che non abbiano partecipato al procedimento di riconoscimento, possono agire in sede contenziosa per l’accertamento del proprio diritto.

A mente di una sentenza della S.C.[312] difatti, il decreto emesso dal pretore ai sensi della legge 14 novembre 1962 n. 1610 in tema di cosiddetto usucapione abbreviata, pur non costituendo una sentenza neanche in senso sostanziale, e non essendo, quindi suscettibile di passare in cosa giudicata, contiene, però, il riconoscimento giudiziale del diritto di proprietà, il quale si deve presumere iuris tantum a favore del soggetto che abbia ottenuto tale decreto (fino a quando non venga pronunciata una decisione di accertamento della proprietà del terzo che abbia contestato il diritto del beneficiario del provvedimento in questione), e, pertanto, ove il soggetto medesimo agisca in rivendicazione, può concorrere, insieme agli altri elementi del caso concreto (compreso l’atteggiamento difensivo del convenuto), a fornire la prova incombente sul rivendicante.

Ancora, per altra sentenza più recente[313], in tema di usucapione speciale previsto dall’art. 1159 bis c.c. il decreto di riconoscimento della proprietà rurale di cui alla legge 346/1976 — non avendo valore di sentenza — non è idoneo a passare in cosa giudicata ma conferisce solo una presunzione di appartenenza del bene a favore del beneficiario del provvedimento fino a quando, a seguito dell’opposizione di cui all’art. 3 della citata legge o di un autonomo giudizio non sia emessa pronuncia di accertamento della proprietà; Ad un tal riguardo, l’eventuale estinzione del giudizio di opposizione determina la caducazione e non la consolidazione del decreto, come invece previsto per l’estinzione dell’opposizione a decreto ingiuntivo — suscettibile di acquisire il valore formale e sostanziale di cosa giudicata — o, in generale, nei giudizi di opposizione a provvedimenti dotati di una propria sfera di effetti.

Principio ripreso anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 30 ottobre 2018, n. 27648

secondo la quale, appunto, il decreto emesso dal pretore, ai sensi della l. n. 1610 del 1962 in tema di cosiddetta usucapione abbreviata, pur costituendo titolo per la trascrizione e per usufruire delle agevolazioni creditizie e fiscali previste dalla legge, non ha natura di sentenza e non acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata. Pertanto, da un lato, coloro che da esso ricevono pregiudizio possono proporre opposizione, su cui il pretore decide con sentenza e, qualora siano rimasti estranei al procedimento, possono agire autonomamente per l’accertamento dei loro diritti reali; dall’altro lato, il decreto, ove il soggetto che lo ha ottenuto agisca in rivendicazione, può concorrere, insieme ad altri elementi, a fornire la prova incombente sul rivendicante

Inoltre è bene anche sottolineare che nello speciale procedimento disciplinato dai commi quarto e quinto dell’art. 3 della legge 10 maggio 1976 n. 346 (usucapione speciale per la piccola proprietà rurale), avverso il decreto pretorile di accoglimento della richiesta di riconoscimento, che non costituisce sentenza, neppure in senso sostanziale, va proposta opposizione dinnanzi allo stesso pretore (oggi Tribunale) e non appello al tribunale, che se proposto va dichiarato inammissibile[314].

Il provvedimento di riconoscimento de quo non è opponibile all’intestatario dei beni, usucapiti dal terzo, il quale non sia stato, preventivamente, sentito in contraddittorio con l’usucapiente in occasione del procedimento di accertamento.

La giurisprudenza, operando un’evidente interpretazione estensiva della norma, ritiene che l’art. 1159 bis c.c. debba trovare applicazione anche quando il fondo rustico sia privo di fabbricati e, nonostante, vi sia stato mutamento della destinazione da agricola ad urbana successivamente alla maturazione dell’usucapione.

In base alle modifiche apportate alla legge n. 346 del 1976 dalla legge n. 97 del 1994 la disposizione di cui all’art. 1159 bis c.c. si applica anche ai fondi rustici con annessi fabbricati situati in territori non classificati montani, quando il loro reddito dominicale iscritto in catasto non supera complessivamente le lire trecentocinquantamila[315].

Peraltro, quasi a voler controbilanciare il predetto allargamento della portata del dispositivo della norma citata, la stessa giurisprudenza ha sancito che l’usucapione potrà essere invocata, soltanto, se il fondo, iscritto al catasto terreni, sia concretamente destinato ad attività agricola.

Infatti per l’applicazione della usucapione speciale, di cui all’art. 1159 bis, c.c. — introdotta dalla legge 10 maggio 1976 n. 346 — non è sufficiente che il fondo sia iscritto nel catasto rustico, ma è necessario che esso sia destinato in concreto all’attività agraria, atteso che la suddetta usucapione può avere per oggetto soltanto un fondo rustico, inteso come entità agricola ben individuata, che sia destinata ed ordinata a una propria vicenda produttiva[316].

Nella fattispecie in oggetto l’usucapione abbreviata del fondo matura con il possesso protratto per 5 anni dalla data della trascrizione del titolo.

La legge introduttiva dell’articolo 1159 bis, in esame, è irretroattiva, per cui, il possesso che sia maturato in epoca anteriore all’introduzione della novella, in termini sufficienti per il perfezionamento dell’usucapione abbreviata (ai sensi della nuova disciplina ma insufficienti per quella precedente), se interrotto prima dell’entrata in vigore della nuova legge, non potrà essere utilmente invocato per affermare l’avvenuta usucapione del bene.

Per la S.C.[317] la legge 10 maggio 1976 n. 346, nella parte in cui, introducendo l’art. 1159 bis c.c., prevede una usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, con riduzione, rispettivamente, a quindici ed a cinque anni del possesso ventennale e decennale contemplato dai precedenti artt. 1158 e 1159 c.c., non ha efficacia retroattiva.

Pertanto, con riguardo ad un possesso ad usucapionem, in relazione al quale si sia verificata una causa interruttiva, prima della maturazione del periodo di tempo necessario al compimento dell’usucapione stessa secondo le norme all’epoca vigenti, resta preclusa la possibilità di invocare la sopravvenienza della citata legge, ancorché detto possesso abbia avuto una durata sufficiente all’usucapione speciale.

L’efficacia immediata della legge di conversione di un decreto — legge può essere desunta dal contenuto delle sue disposizioni, anche in mancanza di un’espressa previsione in proposito.

Si deve, pertanto, ritenere che la legge 22 dicembre 1980 n. 874 — la quale nel convertire il D.L. 26 novembre 1980 n. 776 ha prorogato la sospensione dei termini sostanziali e processuali, relativi ad atti da compiersi nelle zone della Campania e della Basilicata interessate dal terremoto del 23 novembre 1980 dalla scadenza inizialmente fissata al 31 dicembre 1980 al 31 gennaio 1981 — è efficace dal giorno dopo la sua pubblicazione nella g.u. (avvenuta il 24 dicembre 1980), anche in mancanza di una espressa enunciazione circa l’inapplicabilità della vacatio legis, in quanto lo scopo della modifica era quello di prorogare la scadenza degli anzidetti termini, per la perdurante situazione di disorganizzazione conseguente al sisma, senza alcun intervallo o soluzione di continuità ed in considerazione del fatto che si trattava di semplice proroga dei termini e non della loro riapertura.

  • Beni mobili

Diversamente, per i beni mobili non registrabili (art.1161 c.c.), quando manca il titolo idoneo, indispensabile per l’acquisto immediato del bene ex art. 1153 c.c., ma sussistono gli altri requisiti, l’usucapione si compie per effetto del possesso protratto per dieci anni.

art. 1161 c.c.    usucapione dei beni mobili: in mancanza di titolo idoneo, la proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede.

Se il possessore è di mala fede, l’usucapione si compie con il decorso di venti anni.

La buona fede possessoria, che legittima ai sensi dello art. 1161 c.c. l’usucapione mobiliare abbreviata, è costituita non dall’ignoranza dell’altrui diritto, ma dall’ignoranza di arrecare danno all’altrui diritto, senza che al riguardo possa rilevare la conoscenza della validità (o invalidità) formale dell’atto dispositivo[318].

L’usucapione decennale di cose mobili da parte del possessore di buona fede, disciplinata dall’art. 1161, primo comma, c.c., è istituto che non esisteva sotto il precedente codice e, poiché secondo la norma citata, è rilevante la buona fede al momento dell’acquisto del possesso, occorre, in ipotesi di possesso iniziato sotto il vigore del codice abrogato, rifarsi, ai fini dell’accertamento del verificarsi dell’usucapione, alla nozione che del possesso da il codice vigente. Al riguardo va rilevato che il codice civile vigente (art. 1147 c.c.) non richiede a differenza dell’abrogato codice del 1865 art. 701, ai fini della configurazione del possesso di buona fede, l’esistenza di un titolo idoneo (sebbene viziato) a trasferire al possessore la proprietà della cosa posseduta, onde qualifica la buona fede come puro e semplice stato soggettivo d’ignoranza della lesione, che, mediante il possesso, si arreca all’altrui sfera giuridica. Il riferimento alla nozione di buona fede data dal codice vigente, importa non già l’attribuzione di efficacia retroattiva alla norma dell’art. 1147 c.c.[319]

  • Beni mobili registrati

I beni mobili iscritti in pubblico registro sono usucapibili in via abbreviata, ed in sussistenza degli altri elementi, in virtù del possesso continuato per tre anni (art. 1162 comma 1 c.c.).

Tuttavia, si osserva, il comma 2 del predetto articolo, prevedendo che in mancanza delle condizioni per l’usucapione abbreviata triennale l’usucapione matura comunque in dieci anni, si pone in aperto contrasto con quanto disposto dall’art. 1161 comma 2, c.c., il quale, stabilisce che per i beni mobili non soggetti a registrazione, se il possesso è in mala fede, l’usucapione si compie decorsi venti anni.

art. 1162 c.c.   usucapione di beni mobili iscritti in pubblici registri: colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un bene mobile iscritto in pubblici registri, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie in suo favore l’usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione.

Se non concorrono le condizioni previste dal comma precedente, l’usucapione si compie col decorso di dieci anni.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento

  • Universalità di mobili

Da ultimo, per l’usucapione breve delle universalità di mobili è richiesto, ex art.1160 c.c.,unitamente agli altri requisiti, il possesso ininterrotto per 10 anni.

art. 1160 c.c.    usucapione delle universalità di mobili: l’usucapione di un’universalità di mobili [816] o di diritti reali di godimento sopra la medesima si compie in virtù del possesso continuato per venti anni.

Nel caso di acquisto in buona fede da chi non è proprietario, in forza di titolo idoneo, l’usucapione si compie con il decorso di dieci anni.

NOTE

[204] Vedi par.fo 9, lettera A  – Le azioni in generale, pag. 117

[205] Corte di Cassazione, sentenza 26-3-73, n. 837

[206] Corte di Cassazione, sentenza 22-4-92, n. 4807,conf. Corte di Cassazione, sentenza 23-6-67, n. 1538

[207] Corte di Cassazione, sentenza Civ., sez. II, n. 1176, del 18.2.1980

[208] Corte di Cassazione, sentenza n. 15446/2007; Corte di Cassazione, sentenza n. 11419/2003; Corte di Cassazione, sentenza n. 5293/2000; Corte di Cassazione, sentenza n. 5964/1996; Corte di Cassazione, sentenza n. 4436/1996; Corte di Cassazione, sentenza n. 4092/1992

[209] Corte di Cassazione, sentenza n. 11626/2008; Corte di Cassazione, sentenza n. 6079/2002; Corte di Cassazione, sentenza n. 4701/1999

[210] Per la lettura della sentenza integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza del 20 dicembre 2011, n. 27847

[211] ex plurimis Corte di Cassazione, sentenza n. 25250/2006; Corte di Cassazione, sentenza n. 18207/2004, Corte di Cassazione, sentenza n. 2590/1997; Corte di Cassazione, sentenza n. 5264/1989

[212] Corte di Cassazione, sentenza n. 4444/2007

[213] Vedi par.fo 6, lettera D  –  Gli atti di tolleranza – Definizione,  pag. 46

[214] Corte di Cassazione, sentenza n. 16841/2005; Corte di Cassazione, sentenza n. 5127/1999

[215] Corte di Cassazione, sentenza 21-12-88, n. 6989

[216] Vedi par.fo 6, lettera A  –  acquisto ipso jure – Accessione,  pag. 41

[217] Corte di Cassazione, sentenza 5 giugno 2012, n. 9062, tra le tante Corte di Cassazione, sentenza 12-4-2010 n. 8662; Corte di Cassazione, sentenza 24-8-2006 n. 18392; Corte di Cassazione, sentenza 9-8-2001 n. 11000; Corte di Cassazione, sentenza 13-12-1994 n. 10652

[218] Corte di Cassazione, sentenza 9-8-2001 n. 11000

[219] Corte di Cassazione, sentenza 12762 del 28.11.1991

[220] così Corte di Cassazione, sentenza 18.7.1989, n.3344

[221] Trib. Milano, 30.11.1998, n. 13028

[222] vedi Corte di Cassazione, sentenza 25.9.2002, n. 13921

[223] Corte di Cassazione, sentenza Civ., 17.7.98, n. 6997

[224] Corte di Cassazione, sentenza Civ. 14.11.2000, n.14733

[225] Corte di Cassazione, sentenza 13625 del 11-6-2009

[226] Corte di Cassazione, sentenza 7509 del 30-3-2006

[227] Corte di Cassazione, sentenza 11-10-73, n. 2559

[228] Vedi par.fo 4 – Soggetti – compossesso, pag. 29

[229] Corte di Cassazione, sentenza 7-12-82, n. 6668

[230] Corte di Cassazione, sentenza 14917 del 23-11-2001

[231] Corte di Cassazione, sentenza 28-5-96, n. 4945

[232] Corte di Cassazione, sentenza 1-4-99, n. 3122

[233] Vedi par.fo 4 – Soggetti  – compossesso, pag. 29

[234]Per la lettura della sentenza integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 16914 del 2 agosto 2011

[235] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 09 settembre 2002, n. 13082. Su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di con possesso “pro indiviso” tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest’ultimo, della comproprietà “pro indiviso” dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l’usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato. Nè tale situazione di compossesso, che consiste nell’esercizio del comune potere di fatto sulla cosa, “in tota et in qualibet parte” della stessa, da parte di due soggetti, esige la esclusione del possesso del proprietario (chè in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo); nè richiede che il compossessore effettivo ignori l’esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l’”animus possidendi” che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa “uti condominus

[236] cfr. fra le altre Corte di Cassazione, sentenza n. 10191/2010; Corte di Cassazione, sentenza n. 17339/2009; Corte di Cassazione, sentenza n. 12984/2002

[237]Corte di Cassazione, sentenza 23 maggio 2012, n. 8164 La Corte, infatti, ha più volte avuto modo di affermare che chi agisce in giudizio per ottenere di essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e quindi, tra l’altro, non solo del corpus, ma anche dell’animus; il secondo, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se lo svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto dominicale è già di per sè indicativo dell’intento, in colui che le compie, di avere la cosa come propria, sicchè allora e’ il convenuto che deve dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene e’ stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale (tra le tante v. Corte di Cassazione, sentenza 11/6/2010 n. 14092; Corte di Cassazione, sentenza 6-8-2004 n. 15145; Corte di Cassazione, sentenza 13-12-2001 n. 15755; Corte di Cassazione, sentenza 5-7-1999 n. 6944).

[238] Corte di Cassazione, sentenza 17-4-81, n. 2326

[239] Corte di Cassazione, sentenza 10-12-75, n. 4068

[240] Corte di Cassazione, sentenza 15446 del 10-7-2007

[241] Corte di Cassazione, sentenza 8-5-67, n. 909

[242] Corte di Cassazione, sentenza n. 6030/1988

[243] Corte di Cassazione, sentenza n. 11410/2010; Corte di Cassazione, sentenza n. 8662/2010; Corte di Cassazione, sentenza n. 12863/2008; ex plurimis Corte di Cassazione, sentenza n. 11000/2001; Corte di Cassazione, sentenza n. 4436/1996; Corte di Cassazione, sentenza n. 10652/1994

[244] Corte di Cassazione, sentenza n. 4809/1992; Corte di Cassazione, sentenza n. 3046/1973

[245] Corte di Cassazione, sentenza 12-1-80, n. 282

[246] Per una la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 14 gennaio 2013, n. 709

[247] Corte di Cassazione, sent. 26 aprile 2011, n. 9325, Sez. II

[248] Corte di Cassazione, sentenza 3-4-98, n. 3428

[249] Corte di Cassazione, sentenza 14917 del 23-11-2001

[250] Corte di Cassazione, sentenza 10-6-81, n. 3773

[251] Per una maggiore disamina dell’istituto della comunione aprire il seguente collegamento La comunione

[252] Corte di Cassazione, sentenza 23-10-90, n. 10294

[253] Corte di Cassazione, sentenza 20296 del 23-7-2008

[254] Corte di Cassazione, sentenza 26-5-90, n. 4907

[255] Corte di Cassazione, sentenza 20-10-81, n. 5478

[256] Corte di Cassazione, sentenza 12775 del 20-5-2008

[257] Corte di Cassazione, sentenza 26-11-99, n. 13184

[258] Corte di Cassazione, sentenza 6163 del 20-3-2006

[259] Corte di Cassazione, sentenza 14-3-88, n. 2438

[260] Per una la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 14 gennaio 2013, n. 709 cfr. Corte di Cassazione, sentenza, Sez. II, 26 maggio 1990, n. 4907; Corte di Cassazione, sentenza, Sez. I, 8 aprile 2003, n. 5456; Corte di Cassazione, sentenza, Sez. Ili, 29 settembre 2005, n. 19170; Corte di Cassazione, sentenza, Sez. I, 9 giugno 2006, n. 13477; Corte di Cassazione, sentenza, Sez. II, 23 maggio 2012, n. 8175

[261] Corte di Cassazione, sentenza 19984 del 18-7-2008

[262] Corte di Cassazione, sentenza 1-6-74, n. 1566

[263] Corte di Cassazione, sentenza 5-5-81, n. 2805

[264] Corte di Cassazione, sentenza 27-3-90, n. 2459

[265] Corte di Cassazione, sentenza 25-9-90, n. 9705

[266] Corte di Cassazione, sentenza 27-10-65, n. 2277

[267] Corte di Cassazione, sentenza 18-2-80, n. 1172

[268] Corte di Cassazione, sentenza 11-2-2000, n. 1530

[269] Per una maggiore disamina del diritto di servitù aprire il seguente collegamento Le servitù prediali

[270] Corte di Cassazione, sentenza 25-5-87, n. 4698

[271] Corte di Cassazione, sentenza 23-11-87, n. 8640

[272] Corte di Cassazione, sentenza 18-10-91, n. 11020

[273] Corte di Cassazione, sentenza 4-3-93, n. 2650

[274] Corte di Cassazione, sentenza 28-4-92, n. 5060

[275] Corte di Cassazione, sentenza 11-6-86, n. 3864

[276] Corte di Cassazione, sentenza 30-7-90, n. 7640

[277] Corte di Cassazione, sentenza 10696 del 20-5-2005

[278] Corte di Cassazione, sentenza 25-3-97, n. 2598

[279] Corte di Cassazione, sentenza 8-9-86, n. 5468

[280] Corte di Cassazione, sentenza 26-8-86, n. 5201

[281] Corte di Cassazione, sentenza 28-11-91, n. 12762

[282] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento   Le luci e vedute – par.fo F usucapione

[283] Corte di Cassazione, sentenza 10-5-72, n. 1419

[284] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento  Le distanze tra le costruzioni ex artt. 873 e ss c.c.

[285]Corte di Cassazione, sentenza 14-2-97, n. 1372

[286] Vedi par.fo 1, lettera B) Interversione, pag. 14, 2 A ipotesi

[287] Corte di Cassazione, sentenza 15-11-76, n. 4231

[288] Corte di Cassazione, sentenza 28-11-74, n. 3896

[289] Per la lettura della sentenza integrale aprire il seguente collegamento  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15 novembre 2012, n. 2011

[290] Corte di Cassazione, sentenza 22-12-78, n. 6150

[291] Capozzi

[292] Corte di Cassazione, sentenza 17-11-73, n. 3082

[293] Corte di Cassazione, sentenza 28-6-2000, n. 8792

[294] Corte di Cassazione, sentenza del 9 aprile 1976, n. 1239

[295] Vedi par.fo 5, lettera A  –  acquisto ipso jure – Accessione,  pag. 41

[296] La diversità sostanziale tra usucapione ordinaria ed abbreviata sembrerebbe confermata dalla circostanza che costituisce domanda nuova, e quindi inammissibile, quella introdotta in corso di causa dalla parte, la quale chiede l’accertamento dell’usucapione breve in luogo di quella ordinaria originariamente dedotta (così Corte di Cassazione, sentenzan. 3815/1991, e Corte di Cassazione, sentenzan.10962/1994). Tuttavia questa affermazione è stata, in parte, sconfessata dalla stessa Suprema Corte (Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n.1459 del 1995) che ha statuito che non incorre in vizio di ultrapetizione il giudice che, richiesto di accertare la ricorrenza dell’usucapione abbreviata del diritto, invece, giunge ad appurare, con il conforto delle prove acquisite al processo, l’esistenza del preteso diritto sulla base di un diverso titolo: ossia l’usucapione ordinaria. Peraltro, a ben vedere, la soluzione preferibile appare, forse, quella di consentire, nel corso del procedimento, la deduzione del nuovo titolo giuridico di acquisto, (in luogo di quello originario), del diritto reale di godimento. Difatti, i diritti reali, (passibili di usucapione), permangono sempre gli stessi a prescindere dalla fonte (usucapione ordinaria piuttosto che compravendita ecc.) che li abbia generati.

[297] Corte di Cassazione, sentenza 16-7-66, n. 1923

[298] Vedi par.fo 7 – Effetti del possesso –  lettera A) – La buona fede, pag. 50

[299] Si veda al riguardo Corte di Cassazione, sentenzan.3703 del 08-11-1968. In dottrina, sul punto, si veda Bianca, in La proprietà, trattato Diritto Civile, Tomo VI°,1999, p. 822. Secondo una tesi minoritaria la buona fede deve sussistere al momento della trascrizione: essendo quest’ultima un elemento ulteriore che concorre al perfezionamento della fattispecie. Si veda al riguardo Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, in Comm. al C.c. diretto da Schlesinger, 1998, p.52

[300] Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 14 marzo 2012, n. 4063

[301] Corte di Cassazione, sentenza 15252 del 20-7-2005

[302] Corte di Cassazione, sentenza 12-2-68, n. 464. L’usucapione abbreviata postula l’esistenza di un titolo, cioè di un negozio giuridico che sarebbe idoneo a produrre l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale minore in mancanza dell’effettivo trasferimento del diritto di proprietà o dell’effettiva costituzione di un diritto reale di godimento l’usucapione abbreviata non può, quindi, essere invocata. Corte di Cassazione, sentenza 23-4-71, n. 1186

[303] Corte di Cassazione, sentenza 26-1-2000, n. 866

[304] Corte di Cassazione, sentenza 26-7-77, n. 3342

[305] Corte di Cassazione, sentenza 20-12-85, n. 6544

[306] Corte di Cassazione, sentenza 26-3-68, n. 947

[307] Corte di Cassazione, sentenza 15-11-71, n. 3255

[308] Corte di Cassazione, sentenza 7-5-74, n. 1292

[309] Corte di Cassazione, sentenza 14-2-97, n. 1374

[310] Corte di Cassazione, sentenza 12898 del 4-9-2003

[311] Corte di Cassazione, sentenza 21-7-65, n. 1672

[312] Corte di Cassazione, sentenza 11-8-90, n. 8207

[313] Corte di Cassazione, sentenza 14373 del 29-7-2004

[314] Corte di Cassazione, sentenza 15-3-93, n. 3047

[315] Corte di Cassazione, sentenza 14414 del 22-6-2006

[316] Corte di Cassazione, sentenza 28-1-95, n. 1045

[317] Corte di Cassazione, sentenza 7-1-84, n. 101

[318] Corte di Cassazione, sentenza 24-2-82, n. 1134

[319] Corte di Cassazione, sentenza 28-10-70, n. 2190

Avv. Renato D’Isa

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