Un atto per avere efficacia interruttiva

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 5 marzo 2019, n. 6321.

La massima estrapolata:

Un atto per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, la esplicitazione di una pretesa che, sebbene non richieda l’uso di formule solenni, né la osservanza di particolari adempimenti, sia idonea a manifestare la inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere la propria pretesa nei confronti del soggetto obbligato il quale, ove non la contesti, pone in essere comportamenti concludenti traducendosi nel ricorso riconoscimento del diritto fatto valere contro di lui, concorrono, ex articolo 2944 del codice civile, a consolidare l’effetto interruttivo. La valutazione delle reciproche condotte è rimessa al giudice di merito che ha il compito di esaminare, fornendo adeguata motivazione, tutte le emergenze processuali dalle quali possano essere tratte conseguenze significative al fine di qualificare i comportamenti omissivi tenuti.

Sentenza 5 marzo 2019, n. 6321

Data udienza 19 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 12962-2017 proposto da:
(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore Ing. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 252137/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (OMISSIS) Spa ricorre, affidandosi a tre motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Piacenza di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione avanzata da (OMISSIS) contro il titolo esecutivo ed il precetto a lei notificati dalla societa’ in relazione all’importo oggetto di condanna, per fatti di rilevanza anche penale, in ordine ai quali era stata accertata la sua responsabilita’ contabile con la sentenza definitiva della Corte dei Conti n 101/1994, depositata il 25.3.1994. Per cio’ che interessa in questa sede, il credito residuo venne dichiarato prescritto ai sensi della L. n. 20 del 1994, articolo 1 comma 2.
2. L’intimata ha resistito con controricorso e memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la societa’ ricorrente deduce, ex articolo 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 20 del 1994, articolo 1, comma 2 e comma 2ter e dell’articolo 2953 c.c. e articolo 12 disp. gen..
Lamenta che la Corte d’Appello, nel confermare la pronuncia del Tribunale, aveva interpretato erroneamente la L. n. 20 del 1994, articolo 1, comma 2 che, nel limitare a cinque anni la prescrizione dell’azione di responsabilita’ contabile dei dipendenti pubblici, si riferiva all’azione di accertamento (con annessa eventuale condanna al risarcimento) ma non al recupero successivo derivante dall’esecuzione della sentenza gia’ emessa e divenuta definitiva, per la quale continuava a trovare applicazione l’articolo 2953 c.c., disciplinante il termine di prescrizione delle sentenze passate in giudicato.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza per omessa pronuncia o, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 112 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con violazione dell’articolo 111 Cost..
Assume che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi in ordine alla specifica censura relativa alla sussistenza di atti interruttivi (la cui esistenza era stata gia’ negata dal Tribunale che aveva affermato che il riconoscimento di debito doveva essere espresso con condotta volontaria), atti che, nel caso di specie, erano stati posti in essere attraverso le ritenute mensili sulla pensione, mai contestate dalla (OMISSIS) che aveva, anzi, aderito all’iniziale piano di rientro: la ricorrente deduce, al riguardo, che tale condotta doveva essere qualificata come un comportamento concludente talmente inequivoco da costituire il presupposto di cui all’articolo 2944 c.c. per ritenere che il suo diritto fosse stato dalla controparte riconosciuto.
3. Con il terzo motivo, infine, la societa’ deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti; ed, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 20 del 1994, articolo 1, comma 2, dell’articolo 2934 c.c. e dell’articolo 2944 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c..
Assume, al riguardo, che anche la condotta della (OMISSIS) (che non aveva mai contestato la pretesa di recupero del credito) doveva ritenersi un fatto storico che la Corte territoriale non aveva affatto esaminato, incorrendo altresi’ nell’errata interpretazione sia delle norme in materia di prescrizione sia della condotta della societa’ che aveva esercitato il proprio diritto attraverso le trattenute sul trattamento di quiescenza, risultanti dagli atti prodotti.
4. Il primo ed il terzo motivo devono essere congiuntamente esaminati per intrinseca connessione logica.
Essi sono entrambi fondati.
4.1. In ordine al primo, l’interpretazione dei giudici di merito e’ erronea in quanto la L. n. 20 del 1994, articolo 1, comma 2, nel sancire che il diritto al risarcimento del danno si prescrive “in ogni caso” in cinque anni dalla data del fatto o dalla scoperta (se venga occultato), si riferisce all’azione di accertamento del fatto costitutivo della pretesa e della condanna ad esso conseguente.
Questa Corte ha avuto modo di affermare, in fattispecie assimilabile al caso in esame che “l’azione di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo e’ assoggettata non gia’ al termine quinquennale di prescrizione di cui all’articolo 2947 c.c., ma al termine decennale della “actio iudicati” ex articolo 2953 c.c., decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza amministrativa che abbia riconosciuto l’illegittimita’ dell’atto, a condizione pero’ che il danno sia direttamente riferibile a tale illegittimita’, il che si verifica quando la lesione della posizione giuridica accertata dal giudice amministrativo costituisce l’oggetto della domanda risarcitoria ” (cfr. Cass. 430/2019).
A tale principio questo collegio intende dare seguito in quanto la “specialita’” del regime prescrizionale va interpretata con riferimento all’inizio del giudizio di accertamento del diritto e declinata in relazione alla qualificazione della domanda proposta, ma non puo’ valere a superare la disciplina ordinaria relativa agli effetti della sentenza di condanna passata in giudicato che ha definito “quel” giudizio, per la quale si applica l’articolo 2953 c.c. e, dunque, il termine di prescrizione decennale (cfr. Cass. 6901/2015; Cass. SU 23397/2016; Cass. 2003/2017).
4.2. E, tanto premesso, anche la terza censura risulta fondata sotto entrambi i profili prospettati.
La Corte territoriale, infatti, negando del tutto che “fra la notifica della sentenza avvenuta in data 30.8.1994 ed anteriormente alla notifica del precetto avvenuta in data 3.4.2004 (cfr pag. 3, secondo cpv della sentenza impugnata)”, fossero intervenuti atti interruttivi della prescrizione, non ha affatto esaminato le trattenute sulla pensione mensilmente effettuate dalla societa’, documentate nel giudizio di primo grado (cfr. pag. 19 del ricorso primo cpv) ed oggetto di specifica censura nel giudizio d’appello (cfr. il richiamo a pagg. 15,16 e 17 del ricorso).
4.3. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che – sebbene non richieda l’uso di formule solenni, ne’ l’osservanza di particolari adempimenti – sia idonea a manifestare l’inequivocabile volonta’ del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato” (cfr. Cass. 16465/2017; Cass. 7820/2017; Cass. 15714/2018).
Ricorre pertanto il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis al caso in esame anche in presenza di c.d. “doppia conforme”), in quanto la Corte, effettivamente, ha omesso di valutare sia la documentazione prodotta che la condotta e l’intenzione della debitrice, tenuto conto che dalle emergenze processuali risultava che, per numerosi anni, la (OMISSIS) aveva ricevuto gli emolumenti pensionistici gravati da trattenute mensili che non erano mai state da lei contestate.
4.4. E, in relazione a cio’, deve ritenersi fondata anche la seconda censura del terzo motivo: infatti, tenendo conto che la sentenza della Corte dei Conti risale al 25.3.1994 e risulta notificata il 30.8.1994; che la prima richiesta di pagamento e’ del 22.1.2004; e che con successiva intimazione del 27.8.1994 e’ stata richiesta l’intera somma, deve concludersi che i giudici d’appello abbiano errato nel ritenere che non fossero stati posti in essere validi atti interruttivi anteriormente alla notifica dell’atto di precetto.
5. Il secondo motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento degli altri due.
6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione che provvedera’ al riesame della controversia sulla base dei seguenti principi di diritto:
“la “specialita’” del regime prescrizionale va interpretata con riferimento all’inizio del giudizio di cognizione e va declinata in relazione alla qualificazione della domanda proposta, ma non puo’ valere a superare la disciplina ordinaria relativa agli effetti della sentenza di condanna passata in giudicato che ha definito “quel” giudizio, per la quale si applica l’articolo 2953 c.c. e, dunque, il termine di prescrizione decennale”;
“un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa che – sebbene non richieda l’uso di formule solenni, ne’ l’osservanza di particolari adempimenti – sia idonea a manifestare l’inequivocabile volonta’ del titolare del credito di far valere la propria pretesa nei confronti del soggetto obbligato il quale, ove non la contesti, pone in essere comportamenti concludenti che traducendosi nel riconoscimento del diritto fatto valere contro di lui, concorrono, ex articolo 2944 c.c., a consolidare l’effetto interruttivo: la valutazione delle reciproche condotte e’ rimessa al giudice di merito che ha il compito di esaminare, fornendo adeguata motivazione, tutte le emergenze processuali dalle quali possano essere tratte conseguenze significative al fine di qualificare i comportamenti omissivi o commissivi tenuti”.
La Corte di rinvio dovra’ provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione per un nuovo esame della controversia e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimita’.

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