Reato di omesso versamento dell’Iva

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 25 marzo 2019, n. 12906.

La massima estrapolata:

Il reato di omesso versamento dell’Iva è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell’ordinario rischio d’impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione contratta con l’erario.

Sentenza 25 marzo 2019, n. 12906

Data udienza 13 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. ANDRONIO A. M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste del 20 febbraio 2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. PICARDI Antonietta, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 20 febbraio 2018 la Corte d’appello di Trieste ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 9 dicembre 2015 dal Tribunale di Udine, che aveva condannato l’imputato, per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, perche’, quale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., non aveva versato, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione relativa all’anno 2009, per un importo complessivo di Euro 259.657. La Corte d’appello ha concesso all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
– Con un primo motivo di doglianza, si censurano il vizio di motivazione e la violazione di legge, con riferimento alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato disposta in luogo della confisca diretta dei beni della societa’.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere la possibilita’ di confiscare i beni della societa’ sulla base del fatto che la (OMISSIS) s.r.l. si era estinta per incorporazione nella societa’ (OMISSIS) s.r.l., dal momento che la giurisprudenza di legittimita’, valorizzando il disposto di cui all’articolo 2054 c.c., avrebbe riconosciuto la prevalenza della confisca diretta sulla confisca per equivalente anche nell’ipotesi di incorporazione. Pertanto, a parere della difesa, i giudici del merito avrebbero dovuto eseguire la confisca diretta del profitto del reato nei confronti della incorporante (OMISSIS) s.r.l., anziche’ procedere alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato.
2.2. – Con un secondo motivo di ricorso, si censura la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo del reato e al mancato riconoscimento dell’inesigibilita’ soggettiva della condotta richiesta dalla norma. In particolare, i giudici del merito avrebbero dovuto considerare che la (OMISSIS) s.r.l. non aveva potuto adempiere alle obbligazioni tributarie per una seria crisi di liquidita’ dovuta alla difficile congiuntura economica e ad una annosa crisi di mercato che aveva spinto la societa’ a fondersi con la (OMISSIS) s.r.l. la quale, a sua volta, a causa dell’aggravamento debitorio e della procedura di concordato preventivo, non era stata in grado di adempiere. Inoltre, i giudici del gravame non avrebbero motivato con riferimento alla sussistenza del dolo generico di evadere le imposte in misura superiore alla soglia di punibilita’ prevista dalla norma incriminatrice.
2.3. – Con un ultimo motivo di ricorso, si lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p.. In particolare, la difesa censura la contraddittorieta’ della motivazione resa dalla Corte d’appello, che avrebbe prima escluso
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la particolare tenuita’ del fatto sulla base della cospicua divergenza tra la soglia di punibilita’ prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter e le somme evase dell’imputato e, nel passaggio immediatamente successivo, avrebbe riconosciuto che soglia “non era stata superata di moltissimo”. Parimenti, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere irrilevante il fatto che il mancato versamento aveva riguardato una sola annualita’, circostanza che, secondo la difesa, avrebbe dimostrato la “non abitualita’” della condotta contestata all’imputato.

COSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso e’ parzialmente fondato.
3.1. – Il primo motivo – con cui si censura la mancata disposizione della confisca diretta sui beni sociali in luogo della confisca per equivalente sui beni dell’imputato – e’ formulato in modo non specifico.
Infatti, fermo restando il principio secondo cui la confisca per equivalente sui beni personali dell’imputato risulta sussidiaria rispetto alla confisca diretta del profitto del reato (ex plurimis, Sez. 2, n. 30484 del 28/05/2015; Sez. IV, n. 15736 del 16/01/2015), si rileva che il ricorrente si e’ limitato a segnalare un preteso errore interpretativo commesso dalla Corte d’appello di Trieste senza indicare, ne’ in sede d’appello, ne’ nel presente ricorso, alcun elemento idoneo a provare che la societa’ (OMISSIS) s.r.l. disponeva di un patrimonio sociale passibile di confisca diretta. Al contrario, la stessa difesa, nel motivo di ricorso sub 2.3., afferma che la (OMISSIS) s.r.l. aveva a sua volta sofferto una seria crisi di liquidita’ che l’aveva costretta a ricorrere al concordato preventivo, di cui non si specificarlo i termini e la data, cosi’ evidenziando che neppure tale societa’ possedeva un patrimonio su cui fosse possibile operare prima il sequestro e poi la confisca diretta del profitto del reato.
3.2. – Manifestamente infondato e’ anche il motivo di ricorso sub 2.3. con cui l’imputato censura la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, con riferimento alla mancata sussistenza del dolo di reato conseguente all’inesigibilita’ della condotta imposta al ricorrente.
Del tutto correttamente la Corte d’appello, richiamando i consolidati principi espressi da questa Corte, ha escluso la rilevanza scusabile della crisi societaria meramente prospettata dall’imputato. Infatti, il reato di omesso versamento IVA e’ integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la societa’ attraversi una fase di criticita’ e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti piu’ urgenti (ex plurimis Sez. 3, n. 10813 del 6/2/2014; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013), elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non puo’ certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario. Tale elemento puo’ rilevare come causa di forza maggiore di cui all’articolo 45 c.p., solo se siano assolti gli oneri di allegazione idonei a dimostrare non solo l’asserita crisi d liquidita’, ma anche che detta crisi non sarebbe stata fronteggiabile tramite il ricorso ad apposite procedure da valutarsi in concreto, non ultimo il ricorso al credito bancario. L’imprenditore deve quindi prova aver posto in essere, senza successo per causa a cui non imputabile, tutte le misure (anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale) idonee a reperire la liquidita’ necessari per adempiere il proprio debito fiscale (ex plurimis, Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013).
Nel caso di specie – come ben evidenziato dai giudici del gravame – la difesa si e’ limitata ad asserire l’esistenza di una pregressa crisi di impresa senza allegare elementi idonei a dimostrare l’entita’ della crisi, le incolpevoli cause della stessa, e l’impossibilita’ di superarla tramite il corso ad idonei strumenti da valutarsi in concreto. Analoghe considerazioni valgono per la censura relativa all’omessa motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del dolo generico in ordine al superamento della soglia di punibilita’ prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter. La difesa, infatti, non ha fornito elementi specifici a sostegno della sua prospettazione, mentre la Corte territoriale ha correttamente valorizzato la presentazione della dichiarazione IVA effettuata dall’imputato, evidenziando che, per la commissione del reato, e’ sufficiente la coscienza e volonta’ di non versare all’Erario l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale (ex plurimis, Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013).
3.3. – L’ultimo motivo di ricorso – con cui si censura il diniego di riconoscimento della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p. – e’ invece fondato.
3.3.1. – Deve, innanzitutto, essere ricordato il principio espresso da Sez. U, Senterza n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266594; secondo l’indicata pronuncia “in tema di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131 bis c.p., quando la sentenza impugnata e’ anteriore alla entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 16 marzo 2015, n. 28, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimita’ va ritenuta o esclusa senza rinvio del processo nella sede di merito e se la Corte di cassazione, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, riconosce la sussistenza della causa di non punibilita’, la dichiara d’ufficio, ex articolo 129 c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l)”. In forza di tale principio, e’ stata riconosciuta la possibilita’ per la Corte di cassazione di accertare d’ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, la sussistenza della indicata causa di non punibilita’ nel giudizio di legittimita’, con l’adozione dei provvedimenti conseguenti. E La valenza dell’indicato principio non puo’ essere limitata al caso in cui la sentenza impugnata sia stata pronunciata in data anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 16 marzo 2015, n. 28. Infatti, la causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto prevista dall’articolo 131 bis c.p., nel giudizio di legittimita’, puo’ essere rilevata d’ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se non dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore della norma, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine (ex multis, Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271 01; Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016 dep. 2017, Rv. 269164). Si deve poi ricordare che, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema omesso versamento di IVA, la causa di non punibilita’ della “particolare tenuita’ del fatto”, prevista dall’articolo 131 bis c.p., e’ applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilita’, fissata a Euro 250.000,00 dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, in considerazione del fatto che il grado di offensivita’ che da’ luogo a reato e’ gia’ stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (ex plurimis Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015; Sez. 3, n. 40774 del 05/05/2015).
3.3.2. – Orbene, nel caso di specie, la divergenza tra gli importi non versati dall’imputato e la soglia di non punibilita’ ammonta a meno di Euro 10.000,00, importo che puo’ ritenersi prossimo alla soglia predeterminata dal legislatore, discostandosi dalla stessa di meno del 4%, e che non preclude, conseguentemente, una valutazione positiva in termina di tenuita’ del fatto considerato. Ne’ sussistono, per quanto affermato dai giudici di merito ulteriori elementi ostativi ai fini del riconoscimento della causa di non punibilita’.
4. – In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perche’ il fatto non e’ punibile per particolare tenuita’. Il ricorso deve essere nel resto rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il fatto non punibile per particolare tenuita’. Rigetta nel resto il ricorso.

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