Truffa aggravata ai danni dello Stato qualsiasi condotta del pubblico dipendente che violi l’obbligo di prestare servizio secondo l’orario di ufficio

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 9 aprile 2019, n. 15578.

La massima estrapolata:

Integra il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato qualsiasi condotta del pubblico dipendente che violi l’obbligo di prestare servizio secondo l’orario di ufficio prestabilito. Ai fini della configurabilità penale, infatti, non rileva il dato che si tratti di un semplice allontanamento intermedio del lavoratore, né tantomeno che il danno per l’amministrazione sia di lieve entità, in quanto la violazione dell’orario di lavoro lede il rapporto di fiducia con l’ente datore di lavoro e influisce sulla prestazione lavorativa. Se, però, la condotta contestata non è particolarmente grave, spazio alla sospensione condizionale della pena nel caso in cui il dipendente è ormai in età avanzata.

Sentenza 9 aprile 2019, n. 15578

Data udienza 5 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirel – Presidente

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandr – Consigliere

Dott. SARACO – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/01/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SARACO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MIGNOLO OLGA;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS), conclude per l’annullamento senza rinvio limitatamente alla sospensione della pena inammissibile nel resto per (OMISSIS);
il difensore presente si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 26/01/2015 oggi impugnata, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Arezzo che, previo riconoscimento di circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate e ritenuta la continuazione, condannava (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di Euro 5.240,00 di multa per ciascuna, di cui Euro 4.940,00 in sostituzione di mesi quattro, giorni dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all’articolo 81 c.p., articolo 640 c.p., comma 2, articolo 61 c.p., comma 1, n. 9.
2. Secondo la ricostruzione effettuata dai giudici di merito, le imputate, nella loro qualita’ di pubbliche impiegate incaricate di un pubblico servizio, inducevano in errore l’Ente Irriguo Umbro, allontanandosi dal lavoro in una pluralita’ di occasioni, senza giustificato motivo e facendosi apparire presenti in servizio, con l’artifizio di marcare fittiziamente le entrate e le uscite sull’apparecchiatura segnatempo, cosi’ procurandosi l’ingiusto profitto di una retribuzione non dovuta, con pari danno per l’Ente datore di lavoro.
3. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, con un unico motivo, deduce il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per contraddittorieta’ della sentenza impugnata.
La ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’impugnazione proposta non fosse una critica alle valutazioni della sentenza del Tribunale. Aggiungeva che la corte di appello non motivava sull’entita’ del danno.
4. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deduce i seguenti vizi:
4.1. Mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Il ricorrente sostiene che la sentenza della Corte di appello sarebbe priva del necessario percorso logico argomentativo idoneo ad assicurarsi che le assenze ingiustificate dell’imputata fossero economicamente apprezzabili, trascurando anche il contenuto delle testimonianze rese dal direttore e dalla centralinista dell’Ente;
4.2. Mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all’articolo 164 c.p., per la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il ricorrente sostiene che la motivazione adoperata per negare il beneficio della sospensione condizionale della pena sarebbe del tutto carente perche’ viziata da una tautologia che sfugge al confronto con il motivo di appello dispiegato sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e’ in parte inammissibile e in parte fondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ propone una questione nuova, esposta per la prima volta in sede di legittimita’.
Occorre osservare, infatti, che benche’ il motivo in esame, al pari del motivo esposto con l’atto di appello, si dolga dell’assenza dell’elemento del danno, purtuttavia la difesa modifica radicalmente la nozione di danno rispetto a quella esposta davanti ai giudici di merito.
Nell’atto di appello, infatti, si rappresentava come dalle dichiarazioni testimoniali del Direttore dell’Ente e della centralinista non emergesse nessuna disfunzione ossia nessun danno alla funzione dell’Ente, che si svolgeva regolarmente nonostante le assenze dell’imputata.
A questa doglianza la Corte di appello ha dato adeguata e corretta risposta, risaltando come nel reato di truffa il danno non dovesse individuarsi nel pregiudizio al servizio e al cittadino fruitore di quel servizio, bensi’ nell’esborso economico sostenuto dall’Ente per retribuire le ore di lavoro mai effettuate dall’imputata.
Con il motivo ora in esame, la ricorrente, alla luce della risposta data dalla Corte territoriale, modifica il motivo e sostiene l’insussistenza di un danno patrimoniale sotto il profilo dell’apprezzabilita’ economica e non piu’ di un danno funzionale.
Il quesito cosi’ posto davanti a questa Corte di legittimita’, dunque, e’ totalmente diverso rispetto a quello sottoposto all’attenzione della corte di merito, giacche’ l’identificazione del danno quale disfunzione provocata all’Ente o al cittadino ovvero quale danno patrimoniale, muta radicalmente i termini della questione, oltre che richiedere un approfondimento sul fatto preclusa alla Corte di legittimita’.
Tanto piu’ ove si consideri che il tema dell’apprezzabilita’ economica del danno era stato affrontato dal tribunale, che aveva escluso dal penalmente rilevante tutte le assenze di durata inferiore a venti minuti, proprio ritenendo che, in relazione a esse, il danno subito dall’Ente non fosse economicamente apprezzabile.
Questa argomentazione non e’ stata colpita da alcuna censura con l’impugnazione di merito e non puo’ essere esposta a censura per la prima volta in sede di legittimita’.
Peraltro e ancora, non si puo’ fare a meno di osservare come il motivo di ricorso si mostri essere l’esatta riproduzione del motivo di appello, facendosi ancora riferimento alle dichiarazioni del Direttore e della centralinista, senza alcuna specificazione circa l’eventuale valenza decisiva che quelle potrebbero avere rispetto al requisito del danno patrimoniale, cosi’ che viene a configurarsi anche un difetto di specificita’, in ragione della genericita’ dell’asserzione.
Da tutto quanto esposto deriva l’inammissibilita’ del motivo.
1.2. Il motivo di ricorso relativo alla sospensione condizionale della pena e’, invece, fondato.
Il tribunale non disponeva la sospensione condizionale della pena, ma non motivava sul punto.
Tale omissione motivazionale veniva fatta oggetto di specifica doglianza con l’appello.
Il motivo veniva rigettato dalla Corte di appello sul presupposto dell’assenza di interesse dell’imputata alla sospensione condizionale della pena, perche’ il primo giudice aveva convertito la pena detentiva in pena pecuniaria, e stante l’assenza di elementi dai quali poter evincere una prognosi favorevole di non recidivanza.
Il Collegio osserva che una motivazione siffatta si mostra in parte manifestamente illogica e in parte apparente.
E’ manifestamente illogica nella parte in cui esclude l’interesse dell’imputata alla concessione della sospensione della pena in virtu’ della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, la’ dove la proposizione del motivo di appello intesa a raggiungere proprio quell’obiettivo dimostra la persistenza di quell’interesse che, d’altro canto, prescinde dalla natura detentiva o pecuniaria della pena inflitta.
Sotto l’ulteriore profilo dell’apparenza della motivazione, la Corte distrettuale, al fine di integrare l’omissione motivazionale del tribunale, si limita a una generica affermazione di assenza di elementi valorizzabili ai fini di una prognosi favorevole di non recidivanza, senza tuttavia confrontarsi con gli elementi di favore segnalati dall’appellante, ossia la ridotta offensivita’ del fatto, le condizioni personali dell’imputata e la sua sostanziale incensuratezza.
Elementi del tutto coerenti con la richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, dato che la valutazione prognostica richiesta dall’articolo 164 c.p.richiama la necessaria considerazione complessiva delle circostanze indicate nell’articolo 133 c.p., sia in relazione alla gravita’ del reato (modalita’ dell’azione, gravita’ del danno o del pericolo cagionato, intensita’ del dolo), sia con riguardo alla capacita’ a delinquere (motivi a delinquere e carattere del reo, precedenti penali, condotta del reo antecedente, contemporanea o susseguente al reato, condizioni di vita) (Sez. 4, Sentenza n. 33746 del 26/04/2017, Morrone).
Tanto piu’ che lo stesso Tribunale aveva posto l’accento sulla ridottissima gravita’ dei fatti, tanto da affermare che quelli assumevano piu’ i connotati di illeciti disciplinari “che non a fenomeni di reale oggettiva rilevanza sul piano dei valori tutelati dal diritto penale”, di “semplici leggerezze””, al punto da informare il trattamento sanzionatorio a principi di “massima mitezza”.
Sotto l’ulteriore profilo delle condizioni personali, emerge che l’imputata e’ nata nel 1943 e all’epoca dei fatti aveva 65 anni, mentre al momento della pronuncia della sentenza di primo grado aveva 71 anni, cosi’ che il dato anagrafico, in assenza di elementi di proclivita’ a delinquere della donna, costituisce un ulteriore elemento positivamente conducente verso una prognosi favorevole di non recidivanza.
Tali elementi di favore, richiedevano una motivazione approfondita e connotata da stringente logicita’, trattandosi di dati positivi di significativa valenza, rispetto ai quali il giudice deve, per correttamente pervenire al diniego del beneficio, individuare nella fattispecie sottoposta al suo esame (riguardata nei profili oggettivi e soggettivi) significativi elementi di segno contrario, idonei a neutralizzarlo (Sez. 4, n. 2773 del 27/11/2012, Colo’; Sez. 5, n. 10494 del 22/10/1997, Suncini).
Ne discende che la corte territoriale, non indicando elementi concreti e oggettivamente certi, utili a neutralizzare gli elementi positivi ora indicati, e’ incorsa nel vizio di omessa motivazione, con conseguente fondatezza del motivo di appello e annullamento della sentenza con riguardo alla sospensione condizionale della pena.
1.3. Cio’ premesso, il Collegio ritiene che l’annullamento debba essere disposto senza rinvio attesane la superfluita’ e alla luce del principio di diritto in forza del quale “la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazioni discrezionali, puo’ decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto gia’ accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti” (Sez. U, Sentenza n. 3464 del 30/11/2017, Matrone Rv. 271831 – 01).
Invero, la gia’ evidenziata ridotta gravita’ del fatto coniugata all’eta’ dell’imputata e alla totale assenza di elementi di segno contrario, consentono di accordare il beneficio della sospensione condizionale della pena, non essendo a tal fine necessari ulteriori accertamenti.
2. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e’ inammissibile per difetto di specificita’ e perche’ propone motivi non consentiti in sede di legittimita’.
La Corte territoriale, nell’esaminare l’atto di appello di (OMISSIS) osservava come quello non contenesse censure alla sentenza impugnata, consistendo nell’affermazione di un principio ritenuto operante nell’Ente in cui si svolgevano i fatti, secondo il quale ciascuno si assentava a suo piacimento.
L’odierno ricorso per cassazione, a sua volta, non contiene nessuna censura alla sentenza del giudice dell’appello, limitandosi a offrire una sorta di interpretazione autentica dei motivi che dovevano intendersi contenuti nell’atto di appello.
Peraltro il ricorrente, nel dolersi della mancata considerazione da parte del giudice dell’appello delle modalita’ operative dell’Ente, non spiega la decisivita’ di evenienza sulla sussistenza del fatto e sulla responsabilita’ di (OMISSIS).
Il tema della mancata motivazione in relazione alla quantificazione del danno, poi, e’ stata proposta per la prima volta nella sede di legittimita’, non essendovene traccia nell’atto di appello, con la conseguenza che esso e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3.
2.1. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla omessa concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena a (OMISSIS), sospensione che concede. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di (OMISSIS).
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.
Riferi

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