Transazioni infragruppo interne

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 25 giugno 2019, n. 16948.

La massima estrapolata:

Le transazioni infragruppo interne (cosiddetto transfer-price interno) non sono soggette alla valutazione del valore normale né possono essere oggetto di un’eventuale alterazione rispetto al prezzo di mercato e in via residuale possono fondare una valutazione di elusività dell’operazione essendo l’eventuale scostamento unicamente rilevante come indizio di antieconomicità. Da una parte i costi eccessivi e sproporzionati sostenuti dall’impresa possono essere sintomatici di mancanza di inerenza, dall’altra i profitti eccessivamente bassi possono lasciare presagire l’occultamento dei prezzi di vendita.

Sentenza 25 giugno 2019, n. 16948

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6585/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso l’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8140/34/2014, depositata il 26 luglio 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 aprile 2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Paola Mastroberardino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. dello Stato (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. (OMISSIS) per la contribuente che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) Srl impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 1, lettera d, con cui era stato determinato il maggior reddito della societa’ atteso l’avvenuto acquisto di energia elettrica dalla societa’ svizzera (OMISSIS) e la successiva vendita della stessa energia alla societa’, appartenente al medesimo gruppo, (OMISSIS) Srl con un rincaro di Euro 0,10 per megawatt, trattandosi di operazione effettuata ad un prezzo al di sotto di quelli praticati a soggetti terzi ed evidentemente antieconomica poiche’ non aveva determinato alcun utile e, anzi, era stata produttiva di una perdita commerciale di Euro 3.727,00.
Con il medesimo avviso veniva anche contestata la mancata dichiarazione di proventi finanziari per oltre Euro 94.000,00.
La contribuente, con riguardo esclusivamente alla ripresa per la vendita di energia elettrica, deduceva l’inesistenza di vantaggi fiscali, trattandosi di societa’ che agivano nel medesimo contesto geografico e integrando l’operazione una intermediazione che rispondeva a logiche imprenditoriali proprie dell’intero gruppo societario.
L’impugnazione era accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta. La sentenza era confermata dal giudice d’appello ad eccezione della ripresa per la mancata dichiarazione di proventi finanziari, che non era stata contestata dalla contribuente.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con un motivo; resiste la contribuente con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Vanno disattese le eccezioni di inammissibilita’ in punto di autosufficienza del ricorso, che risulta adeguatamente illustrativo della questione controversa, delle opposte difese, dell’iter processuale, nonche’ corredato degli atti pertinenti, o, quantomeno, della parte rilevante di essi, riprodotti nel ricorso stesso ai fini del controllo di legittimita’.
2. L’unico motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d, dell’articolo 9 tuir, degli articoli 2727 e 2697 c.c..
Lamenta l’Agenzia che la sentenza avrebbe escluso, in base alla sola riconducibilita’ dell’operazione ad un gruppo societario, il carattere antieconomico della transazione, attuata per un valore distante da quello normale ex articolo 9 tuir e, dunque, in funzione solo di un mero risparmio fiscale, si’ da dover essere ricondotta al cd. transfer pricing domestico.
3. Il motivo non e’ fondato.
3.1. Le questioni centrali del giudizio sono la configurabilita’, nel nostro ordinamento, dell’istituto del transfer pricing domestico e in quale modo possa rilevare, nell’ambito delle transazioni infragruppo interne, la nozione di “valore normale”.
4. Quanto alla prima questione, la nozione di transfer pricing domestico e’ affermata in alcune decisioni (v. in particolare Cass. n. 17955 del 24/07/2013, seguita poi da Cass. n. 8449 del 16/04/2014, Cass. n. 13475 del 13/06/2014 e Cass. n. 12844 del 12/06/2015).
4.1. Secondo tali pronunce, nella valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, ossia tra societa’ appartenenti al medesimo gruppo operanti sul territorio nazionale, deve essere applicato il principio stabilito dall’articolo 9 tuir “che non ha soltanto valore contabile e impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal contribuente” e discende dal divieto di abuso del diritto, che trova fondamento nella disciplina UE e nei principi costituzionali di capacita’ contributiva e imposizione progressiva, precludendo “al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere agevolazioni o risparmi d’imposta, in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”.
4.2. Va sottolineato, peraltro, che, a fronte di tale affermazione di principio, nelle sentenze n. 17955 del 2013 e n. 8449 del 2014 la fattispecie concreta era, di per se’, riconducibile ad una condotta potenzialmente elusiva poiche’ la societa’ destinataria della cessione infragruppo godeva di una regolamentazione, territoriale nel primo caso e per regime giuridico nel secondo, di favore e agevolativa, sicche’ il trasferimento determinava una ingiustificata alterazione del regime impositivo.
Nella sentenza n. 13475 del 2014, invece, la vicenda aveva ad oggetto una cessione dalla controllante alla controllata a costi eccessivi e, dunque, riguardava, in realta’, la congruita’ dei costi ai fini della loro deducibilita’.
Di minore rilievo, invece, e’ la decisione n. 12844 del 2015 che si limita ad ipotizzare, in astratto, l’applicazione del principio e dei criteri di cui all’articolo 9 tuir, atteso che, nella vicenda concreta, era dubbia “la prova dell’operazione economica”.
3.4. Per completezza, infine, va ricordata la sentenza Cass. n. 23551 del 20/12/2012, che, invece, ha escluso l’utilizzabilita’ del criterio del valore normale di cui all’articolo 9 tuir per determinare i ricavi derivanti da cessioni di beni avvenute tra societa’ del medesimo gruppo tutte aventi sede in Italia sul duplice assunto che detto criterio e’ dettato dalla legge “solo per le cessioni tra una societa’ nazionale ed una estera” e, facendo riferimento ai listini del cedente ed agli “sconti d’uso”, “presuppone che la cessione sia avvenuta in regime di libera concorrenza, verso soggetti estranei al gruppo di appartenenza del cedente”.
4.3. Dalle ipotesi sopra illustrate emergono, dunque, due diversi oggetti a fondamento del transfer pricing domestico: da un lato, esso connota la fattispecie quale condotta elusiva; dall’altro, interviene nella valutazione dell’operazione realizzata in termini di antieconomicita’.
Sussiste una evidente differenza tra le due situazioni poiche’ solo nel primo caso il valore normale e’ apprezzato quale parametro di valutazione delle transazioni in se’, mentre nel secondo opera sul diverso piano della congruita’ dei costi e/o dei profitti.
4.4. Con riguardo al primo profilo occorre rilevare, in primo luogo, che la Corte ha ormai da tempo escluso che la stessa disciplina del transfer pricing internazionale (articolo 110 tuir, comma 7, ratione temporis vigente) abbia natura antielusiva in senso proprio in quanto finalizzata, in realta’, alla repressione del fenomeno economico (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra societa’ appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in se’ considerato.
La ratio della normativa, infatti, va rinvenuta nel principio di libera concorrenza, sicche’ la valutazione in base al valore normale investe la sostanza economica dell’operazione, che va confrontata con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e prescinde dalla capacita’ originaria di produrre reddito e da qualsiasi obbligo negoziale (Cass. n. 7493 del 15/4/2016; Cass. n. 13387 del 30/6/2016; Cass. n. 27018 del 15/11/2017; da ultimo Cass. n. 898 del 16/01/2019).
4.5. La discrepanza rispetto al valore normale, dunque, non puo’ neppure fondare – e a maggior ragione – una valutazione di elusivita’ della transazione per le operazioni infragruppo tra societa’ residenti.
4.6. La divergenza rispetto al valore normale potrebbe, in ipotesi, legittimare una contestazione dell’operazione in se’, ossia in quanto lesiva del principio di libera concorrenza.
Manca, tuttavia, una norma che giustifichi un simile esito, neppure potendosi ritenere applicabile, in via analogica, l’articolo 110 tuir.
4.7. Sul punto, del resto, e’ conclusivo che il Decreto Legislativo n. 147 del 2015, articolo 5, comma 2, ha sancito che “la disposizione di cui al testo unico delle imposte sui redditi, articolo 110, comma 7, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che la disciplina ivi prevista non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato”.
La disposizione, di espressa interpretazione autentica, ribadisce che e’ preclusa la possibilita’ di estendere l’applicazione delle regole sul valore normale alle transazioni interne infragruppo e chiarisce, dunque, che il valore normale e’ una regola particolare che deroga a quella generale del corrispettivo pattuito solo ove espressamente richiamata.
4.8. Esclusa, pertanto, l’applicabilita’ del principio di cui all’articolo 9 tuir, si deve ritenere che la stessa nozione di transfer pricing domestico sia estranea al nostro ordinamento.
A ben considerare, del resto, nelle decisioni n. 17955/2013 e n. 8449/2014 le condotte contestate, come sopra rilevato, erano, di per se’, elusive, per cui la divergenza rispetto al valore normale finiva, in sostanza e al di la’ della formale enunciazione di principio generale, solo con il rappresentare un ulteriore elemento di riscontro.
L’adeguatezza del prezzo, in questa diversa prospettiva, e’ suscettibile, dunque, solo di integrare un elemento aggiuntivo, di eventuale conferma, della fattispecie di elusione, la quale, peraltro, deve essere gia’ esaustiva nella sua integrita’.
5. Con riguardo al secondo profilo, la questione investe, invece, l’incidenza del valore normale sulla valutazione di antieconomicita’ e si intreccia con le condizioni per l’accertamento da parte degli uffici finanziari.
5.1. Costituisce infatti principio consolidato che, a fronte di una valutazione di antieconomicita’ dell’operazione, l’Amministrazione finanziaria e’ legittimata a procedere ad accertamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 1, lettera d, (v. Cass. n. 9084 del 07/04/2017; Cass. n. 26036 del 30/12/2015), in base al principio secondo cui chiunque svolga un’attivita’ economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti.
5.2. La valutazione di antieconomicita’ ha due versanti.
Se i costi sostenuti dall’impresa siano eccessivi e sproporzionati l’Amministrazione finanziaria puo’ contestare – in materia di imposte dirette (e, in termini piu’ limitati e rigorosi, di Iva) – l’antieconomicita’ della spesa, che assume rilievo, sul piano probatorio, come indice sintomatico della carenza di inerenza, con la conseguenza che, in tal caso, spetta al contribuente dimostrare la regolarita’ delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attivita’ d’impresa e alle scelte imprenditoriali (v. Cass. n. 18904 del 17/07/2018).
Ove, invece, i profitti siano eccessivamente bassi, l’incongruita’ costituisce indice di un possibile occultamento (parziale) del prezzo, che legittima, anche qui, la ricostruzione induttiva.
5.3. Orbene, a questi limitati fini lo scostamento dal cd. valore normale appare suscettibile di assumere rilievo quale parametro meramente indiziario: l’operazione che si pone fuori dai prezzi di mercato costituisce una possibile anomalia, si’ da poter giustificare in assenza di elementi contrari l’accertamento, con conseguente onere in capo al contribuente di dimostrare che essa non sussiste.
Parallelamente al giudizio di inerenza, va tuttavia ricordato che, in ispecie per le operazioni imprenditoriali di maggiore complessita’ od inserite in una piu’ lata strategia aziendale (in tal senso, non e’ del tutto privo di rilievo il contesto di gruppo in cui l’operazione si inserisce, e cio’ anche al di la’ della possibilita’ di fruire del consolidato fiscale), il cui articolarsi in concreto puo’ comportare, anche per scelta, il compimento di atti non onerosi, la contestazione dell’Ufficio non puo’ tradursi in una mera “non condivisibilita’ della scelta” perche’ apparentemente lontana dai canoni di normalita’ del mercato, che equivarrebbe ad un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma deve consistere nella positiva affermazione che l’operazione, sulla base di elementi oggettivi, era inattendibile.
5.4. Ed e’ in questa specifica prospettiva, del resto, che appare apprezzabile il precedente di cui alla sentenza n. 13475/2014, sopra citata, che riguardava una fattispecie dove l’elevato prezzo della transazione, fuori dal valore normale, era funzionale “alla finalita’ di pareggiare i risultati di bilancio della partecipata, cosi’ evitando l’emersione di un risultato negativo, spostandosi il carico fiscale sui costi patiti dalla controllante, disponibile ad acquisirne le prestazioni ad un valore alterato”.
6. In conclusione vanno pertanto affermati i seguenti principi:
“le transazioni infragruppo interne non sono soggette alla valutazione del valore normale ex articolo 9 tuir, ne’ una eventuale alterazione rispetto al prezzo di mercato puo’, di per se’, fondare una valutazione di elusivita’ dell’operazione”
“lo scostamento dal valore normale del prezzo di transazione puo’ assumere rilievo, anche per operazioni infragruppo interne, quale elemento indiziario ai fini della valutazione di antieconomicita’ delle operazioni”
7. Alla luce dei principi sopra esposti, va innanzitutto rilevato che, nella vicenda in esame, non sussiste alcun elemento che porti a ritenere configurabile una condotta elusiva, neppure oggetto di considerazione da parte della CTR (che parla di evasione e non di elusione).
Ne deriva che la doglianza, nella parte in cui ripropone la tematica del transfer pricing domestico e dell’abuso del diritto, e’ inammissibile, trattandosi di questione estranea al decisum.
7.1. Quanto alla contestata antieconomicita’ per aver la contribuente venduto alla consociata operando in perdita, va evidenziato che dallo stesso avviso di accertamento, riprodotto in ricorso, emerge che la perdita deriva “da un errato ribaltamento di una nota di credito”, sicche’ l’incongruita’ va, in realta’, apprezzata in quanto operazione non produttiva di profitto.
7.2. La CTR, peraltro, con apprezzamento in fatto, ha escluso che la cessione avesse, in concreto, carattere antieconomico, poiche’ nella specie sussisteva “un rapporto di intermediazione… in forza del quale la contribuente ha acquistato e poi rivenduto ad altra societa’ del medesimo gruppo l’energia elettrica, applicando un margine pressappoco simbolico”, ma che, tuttavia, “non era da quella transazione infragruppo che la societa’ doveva trarre reddito” collocandosi l’operazione “all’interno di una strategia economica diretta a raggiungere un risultato nell’interesse di tutte le societa’ del gruppo”.
7.3. Tale conclusione non e’ scalfita dalla censura che ancora la diseconomia della condotta alla sola divergenza dal valore normale della transazione, rilievo che, in linea con i principi sopra esposti, se puo’ anche far ritenere, alla stregua di un giudizio ex ante e in astratto, giustificata la contestazione, non supera la valutazione operata dal giudice d’appello.
8. Il ricorso va pertanto rigettato. L’esistenza di diversi orientamenti giustifica la compensazione delle spese.
Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1 quater, nei confronti dell’Agenzia delle dogane in quanto Amministrazione dello Stato che opera con il meccanismo della prenotazione a debito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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