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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 20 novembre 2014, n. 48264. Ciò che caratterizza l'attività di vigilanza o custodia (di proprietà mobiliari od immobiliari) e di investigazioni, ricerche o raccolta di informazioni per conto di privati, di cui tratta l'art. 134 r.d. n. 733 del 1931 (T.U.LP.S.), è che detta attività sia svolta, per conto terzi, in forma professionale. La sottoposizione a controllo amministrativo dell'attività di vigilanza e custodia, svolta in forma imprenditoriale, è qualificata dal fatto che essa è suscettibile di interferire con la funzione di polizia, in quanto costituente attività integrativa di essa. La subordinazione dell'attività di vigilanza al rilascio dell'autorizzazione prefettizia dipende, quindi, dal pericolo di compromissione della sicurezza pubblica e della libertà dei cittadini, pericolo che può derivare anche dall'attività – integrativa – diretta alla segnalazione dei reati contro il patrimonio mobiliare o immobiliare e non solo dall'esercizio di attività professionali svolte con l'impiego di armi. Tanto ineludibilmente postula, perciò, da un lato che essa sia svolta in forma professionale, o imprenditoriale che dir si voglia (e non sembra doversi qui ricordare che l'impresa può essere anche individuale); dall'altro che sia rivolta alla protezione o al soddisfacimento di interessi di un numero indeterminabile a priori di "terzi", giacché solo la potenziale diffusione della attività e il generico coinvolgimento di qualsivoglia terzo consente di ritenere configurabile quell'astratto pericolo per la "pubblica sicurezza" che integra l'oggettività giuridica della violazione sanzionata ai sensi, appunto, del "Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza".

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 20 novembre 2014, n. 48264 Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza in data 17 novembre 2008 del Tribunale di Monza, sezione di Desio, appellata dalla parte civile C.M.T. , che aveva assolto con la formula...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 ottobre 2014, n. 45001. Per la configurabilita' del reato di avvelenamento (sia esso ipotizzato, come nella specie, quale delitto doloso, o quale fatto colposo) di acque o sostanze destinate all'alimentazione, pur potendosi ritenere giustificato l'orientamento secondo cui che il reato e' di pericolo presunto, e' tuttavia necessario che un "avvelenamento", vi sia comunque stato. E il termine "avvelenamento", "che ha pregnanza semantica tale da renderne deducibile in via normale il pericolo per la salute pubblica", non puo' riferirsi che "a condotte che, per la qualita' e la quantita' dell'inquinante, siano pericolose per la salute pubblica (vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute)". Detta pericolosita' deve dunque potersi ritenere scientificamente accertata, nel senso che deve essere riferita a "dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute". Ne discende che non puo' ritenersi corretto, neppure ai limitati fini dell'apprezzamento del fumus del reato contestato, allorche' si ipotizza che questo consisterebbe nell'avvelenamento di acque o di sostanze alimentari ai sensi dell'articolo 439 c.p., il riferimento a schemi presuntivi che s'attestano su indicazioni di carattere meramente precauzionale, ovvero, in particolare, ai cosiddetti CSC, limiti di concentratone della contaminazione che costituiscono ai sensi del citato decreto legislativo sull'inquinamento la prudenziale indicazione di una soglia di valori al di sotto della quale non si richiede, neppure in presenza di assunzione quotidiana e sul lungo periodo, alcun accertamento ulteriore di rischio e il cui superamento neppure basta ad integrare la fattispecie specifica di cui al Decreto Legislativo n. 156 del 2006, articolo 257, posto che per la punibilita' delle condotte ivi previste – che pure implicano un "inquinamento" che costituisce evidentemente un minus rispetto all'ipotesi di "avvelenamento" – si richiede il superamento delle "concentrazioni soglie di rischio" (CSR), ovverosia di valori ben superiori ai parametri di CSC

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 29 ottobre 2014, n. 45001 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CORTESE Arturo – Presidente Dott. NOVIK Toni Adet – Consigliere Dott. DI TOMASSI M. Stefan – rel. Consigliere Dott. BONITO Francesco M....

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 ottobre 2014, n. 44978. Erroneamente il Tribunale ha impedito all'imputato di esercitare il suo diritto alla prova dichiarando inammissibile la richiesta di sentire i testi indicati nella lista tempestivamente inoltrata, solo perché la stessa era pervenuta all'ufficio tramite fax

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 29 ottobre 2014, n. 44978 Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Pesaro, sezione di Fano, ha dichiarato G.V. responsabile del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso dal 1.1.2007 al 22.10.2009 ai danni di C.A. , condannandolo alla pena di 200,00...