Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 11 novembre 2016, n. 47905
Articolo

Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 11 novembre 2016, n. 47905

Quando viene sottratta una cosa mobile alla presenza del possessore dopo che questi abbia subito un tentativo di estorsione e percosse, l’estremo della minaccia come modalità dell’azione della sottrazione ed elemento costitutivo della rapina è “in re ipsa”, senza che vi sia bisogno di un’ulteriore attività minacciosa da parte dell’agente direttamente collegata all’azione di apprensione...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione feriale, sentenza 23 settembre 2016, n. 39541

A parte il reato di lesioni personali in caso di accertata malattia sul corpo, non si configura il delitto di rapina, ma quello diverso di violenza privata di cui all’art. 610 c.p. qualora vengano prelevati ovociti dall’utero della donna senza il consenso di quest’ultima, al fine di procedere all’impianto di embrioni in altre pazienti. Gli...

Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 20 luglio 2016, n. 30959
Articolo

Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 20 luglio 2016, n. 30959

Ai fini della circostanza aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3 bis cod. pen. è sufficiente che la rapina sia commessa in uno dei luoghi previsti dall’art. 624 bis cod. pen., non essendo rilevante che la vittima abbia o meno prestato il consenso all’ingresso in essi Suprema Corte di Cassazione sezione II penale...

Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 28 giugno 2016, n. 26779
Articolo

Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 28 giugno 2016, n. 26779

Ai fine dell’esclusione dell’imputabilità, i disturbi della personalità possono indurre infermità di mente, pur quando non siano inquadrabili nelle categorie delle malattie mentali in senso stretto, purché si tratti di disturbi di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere e sempre che ricorra un legame eziologico tra...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 10 giugno 2016, n. 24297

Integra il reato di rapina, e non quello di tentata rapina, la condotta di chi si impossessa della refurtiva, acquisendone l’autonoma disponibilità, pur se l’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo, anche costante, delle Forze dell’Ordine, laddove queste siano intervenute solo dopo la sottrazione, in quanto il delitto previsto dall’art. 628 cod. pen. si consuma nel...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 marzo 2016, n. 11595. L’art. 116 cod. pen. – che non contempla un’ipotesi di pura responsabilità oggettiva-postula che l’evento più grave debba essere voluto da almeno uno dei concorrenti. La norma incentra la costruzione strutturale del paradigma sulla realizzazione di un “reato diverso”. È un sintagma “aperto” che risulta idoneo ad includere i fatti legati da una relazione specifica tra il delitto eseguito e quello, di converso ed effettivamente, voluto da uno dei partecipi. Deve, innanzitutto, osservarsi che, allorquando il reato “diverso” rappresenti il mezzo o la modalità di esecuzione necessaria, per il conseguimento del risultato collettivamente voluto, esso finisce per rientrare ex se nel programma obiettivo comune. In questi casi non sembra che residui spazio concreto per pensare all’applicazione dell’ad 116 cod. pen.. Ciò accade in tutte le ipotesi in cui il reato “diverso” si pone in un nesso “relazionale” specifico rispetto al piano comune, con crismi di tale connessione strumentale o teleologica, che lo fanno assurgere a “mezzo commissivo esclusivo” dell’ulteriore delitto programmato. In questi casi il concorso si qualifica attraverso la fattispecie di cui all’ad 110 cod. pen., poiché l’adesione all’azione collettiva porta con sé necessariamente la previsione e l’accettazione della modalità d’attuazione dell’iter criminis comune e, dunque, del delitto accessorio ed ulteriore attraverso cui la condotta collettiva deve necessariamente passare per conseguire l’obiettivo finale dell’azione concordata. In questi casi il dolo della partecipazione attrae il dinamismo obiettivo dell’azione, che concretizza l’esecuzione del programma comune e si estende alla necessaria pluralità di fattispecie. Si è, piuttosto, al cospetto di un “reato diverso” allorquando rilevino fattispecie collegate da un nesso di pura eventualità a quella da realizzare o che siano in possibile e consequenziale sviluppo di essa, anche avuto riguardo alla natura dei beni giuridici messi in pericolo o lesi. In questi casi il vincolo relazionale tra fattispecie non è retto da nessi di collegamento necessari ed il reato ulteriore e diverso accede al programma comune, si è detto, con carattere di pura eventualità. In questo ambito va enucleata l’ipotesi in cui il reato diverso sia frutto di eventi o fattori del tutto eccezionali ed atipici.

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza  18 marzo 2016, n. 11595 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 maggio 2014 la Corte d’assise d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Trieste in data 4 novembre 2013, concessa a C.V. l’attenuante di cui all’art....

Articolo

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 novembre 2015, n. 44498. Lo stato c.d. di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purchè non vi sia stata soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato. Tale interpretazione, peraltro, non contravviene al tenore testuale della norma, in quanto l’art.382 c.p. nel definire lo stato di flagranza afferma che “è in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”, e il termine “inseguire”, secondo la stessa definizione del Devoto-Oli, significa “tendere con tenacia al raggiungimento di qualcuno o di qualcosa nell’ambito di un’azione ostile o di una competizione” e, pertanto, già nella sua accezione semantico letterale non indica necessariamente e unicamente l’azione di chi “corre dietro a chi fugge”, bensì anche quella di chi “procede in una determinata direzione, secondo uno o più punti di riferimento al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa”. Né in alcun modo la norma prevede che l’autore del reato debba essere stato visto dalla polizia giudiziaria, né che il reato sia avvenuto sotto la diretta percezione della polizia giudiziaria, limitandosi invece a stabilire che l’inseguimento deve avvenire “subito dopo il reato”, la qualcosa sarebbe stata del tutto superflua, ove il legislatore avesse limitato l’azione al mero “correre dietro a chi fugge”, azione che inevitabilmente è immediata rispetto alla commissione del reato

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 4 novembre 2015, n. 44498 Osserva In data 21.1.2015, il difensore di I.M. ricorre per Cassazione avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Catania, de 18.12.2014, con il quale è stato convalidato l’arresto del predetto per il reato di rapina in danno dell’ufficio postale privato “City Poste”...