Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 20 aprile 2016, n. 16366

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 13 gennaio 2015, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato M.S. pronunciata dal GIP presso il Tribunale di Napoli Nord in data 12/3/2014 rideterminando la pena previa concessione delle circostanze attenuanti generiche. L’imputazione riguardava una rapina a mano armata e in concorso con altre
persone ai danni di una coppietta appartatasi di notte in automobile.
2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione l’imputato lamentando:
1. Violazione di legge e illogica motivazione nella parte in cui la Corte ha ribadito la sussistenza dell’aggravante dell’uso dell’arma quando risulta essere stata usata solo un’arma giocattolo.
2. Violazione di legge e illogicità della motivazione nella parte in cui si afferma la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa. Afferma il ricorrente che la considerazione del fatto che il delitto sia stato commesso di notte non implica automaticamente la sussistenza di detta aggravante e che – per li resto la strada era illuminata e pubblica e che le circostanze utilizzate dalla Corte territoriale erano frutto di travisamento della prova; che – comunque – non vi era stata risposta alle specifiche deduzioni difensive.
3. Contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla mancata applicazione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen. rispetto alle aggravanti e alla recidiva. Afferma il ricorrente che mancherebbe qualsivoglia motivazione sul punto
Considerato in diritto
3. II primo motivo è manifestamente infondato in quanto contrastante con principio affermato costantemente da oltre venti anni dalla giurisprudenza di legittimità, anche in composizione allargata . Le sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che l’uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l’uso o porto di un’arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un’arma, sprovvisto di tappo rosso, sia usato nei delitti di rapina aggravata (art.628, comma 3 n. 1, prima ipotesi, Cod. pen.). Si tratta di un orientamento convalidato da più recenti pronunce (Sez. 2 , n. 18382 del 27/03/2014 Rv. 260048 Imp. Venanzi e altro; Sez. 2^, n. 44037 del 01/12/2010 Rv. 249042), che il Collegio ritiene di condividere. Si deve ritenere, infatti, che, ai fini della configurabilità dell’aggravante della minaccia commessa con armi nella commissione della rapina (art. 628 c.p., comma 3, n. 1) o della estorsione (art. 629 c.p., comma 2), ciò che conta è l’effetto intimidatorio che deriva sulla persona offesa dall’uso di un oggetto che abbia l’apparenza esteriore dell’arma, in quanto tale effetto intimidatorio è dipendente non dalla effettiva potenzialità offensiva dell’oggetto adoperato, ma dal fatto che esso abbia una fattezza del tutto corrispondente a quella dell’arma vera e propria (come avviene quando l’arma­giocattolo sia sprovvista di tappo rosso o quando questo sia reso non visibile), cosicché possa incutere il medesimo timore sulla persona offesa. Deve escludersi, pertanto, che l’uso di un’arma giocattolo sia incompatibile con l’aggravante prevista per la rapina dall’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, prima ipotesi, dovendo invece ritenersi sussistente la circostanza aggravante dell’uso delle armi quando la minaccia sia realizzata utilizzando un’arma giocattolo non riconoscibile come tale.
4. II secondo motivo di ricorso è inammissibile e comunque manifestamente infondato. Va premesso che Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di “travisamento della prova” (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di inammissibilità (Cass. pen., sez. 1^, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj, rv. 234115; sez. 6^, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo dei dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo dei provvedimento impugnato.
Nulla di tutto questo è presente nel provvedimento de quo che si limita a evocare un fraintendimento di certo non identificabile alla stregua della lettura del provvedimento impugnato e della sentenza di primo grado.
Per altro verso, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni dei convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n. 24 dei 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di “un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi” (Cass. pen., sez. 6^, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. 2^, n. 18163 dei 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. 6^, n. 27429 dei 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. 6^, n. 25255 dei 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253099). Neanche sotto tale ulteriore aspetto il ricorso de quo appare indicare elementi specifici presenti in atti e contrastanti con la motivazione dei provvedimento impugnato.
6. Inoltre, deve ribadirsi che, ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5 se il tempo di notte, di per se solo, non realizza automaticamente tale aggravante, con esso possono concorrere altre condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo necessario che tale difesa si presenti impossibile ed essendo sufficiente che essa sia stata soltanto ostacolata. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 346 del 20.5.1987 dep. 13.1.1988 rv 177396). Tale valutazione è stata compiuta dalla Corte territoriale in modo non manifestamente illogico nel momento in cui ha evidenziato che il fatto non solo si è svolto in orario notturno, ma in luogo isolato ove le pp oo si erano appartate per un momento di intimità e sono state sorprese in condizioni di inferiorità numerica, con la conseguenza che la possibilità di difendersi o essere difesi era chiaramente ostacolata, proponendosi così un iter logico lineare e privo di contraddizioni.
7. II terzo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. Deve rilevarsi che, oltre alle aggravanti del numero delle persone, dell’uso dell’arma e delle minorata all’imputato era contestata la recidiva infraquinquennale . A fronte di una tale situazione, la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto di concedere le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e alla recidiva “alla luce della modalità dei fatti” e per ottenere una pena “più adeguata alla reale consistenza dell’imputazione e più congrua rispetto alla personalità dell’imputati”. Tal garantista prospettiva – seppure nel contesto di motivazione sintetica – indica in maniera univoca i parametri di giudizio utilizzati. Rispetto a tale indicazione, il ricorrente non è stato in grado di opporre alcun elemento idoneo a contrastare tale valutazione.
8. Ne consegue l’inammissibilità dei ricorso .
9. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché ai versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla cassa delle ammende.

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