Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 11 novembre 2016, n. 47905

Quando viene sottratta una cosa mobile alla presenza del possessore dopo che questi abbia subito un tentativo di estorsione e percosse, l’estremo della minaccia come modalità dell’azione della sottrazione ed elemento costitutivo della rapina è “in re ipsa”, senza che vi sia bisogno di un’ulteriore attività minacciosa da parte dell’agente direttamente collegata all’azione di apprensione del bene; in tal caso, infatti, si deve avere riguardo alla complessiva attività del colpevole, globalmente volta alla sopraffazione del soggetto passivo, il quale non può non risentire della precedente costrizione nell’assistere impotente all’apprensione della cosa di sua proprietà da parte dell’agente

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 11 novembre 2016, n. 47905

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 29 giugno 2016, il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’appello cautelare, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, ha riformato l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Palermo in data 24 maggio 2016 e. ha applicato a C.E. la misura della custodia cautelare in carcere. L’oggetto della contestazione riguardava due rapine effettuate con metodo mafioso ai danni di altrettanti cittadini extracomunitari rispettivamente di alcuni articoli di bigiotteria e di generi alimentari e bevande.

Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’indagato a mezzo di difensore munito di procura speciale lamentando:

2.1 violazione di legge e motivazione insufficiente, illogica contraddittoria.

Afferma il ricorrente che illegittimamente il Tribunale dell’appello cautelare non ha tenuto conto del fatto che – nella originaria richiesta non vi era alcuna specificazione e articolazione di indizi a carico della C. . Di conseguenza, il provvedimento impugnato risulterebbe illegittimo in quanto in sede di gravame sono stati portati motivi completamente nuovo rispetto a quelli proposti nell’istanza rigettata dal giudice di primo grado. Per altro verso; rileva il ricorrente come – nell’appello articolato dal PM – mancasse ogni riferimento alla sussistenza di esigenze cautelari, con la conseguenza che tale punto non poteva ritenersi devoluto alla cognizione del giudice d’appello.

2.2 violazione di legge con riferimento all’articolo 273 cod. proc. pen. e all’articolo 628 cod. pen. nonché illogica, insufficiente, contraddittoria motivazione.

Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato risulterebbe illegittimo in relazione al fatto che, con riferimento all’imputazione di cui al capo A1), il requisito della violenza stato indicato nella partecipazione ad un’associazione a delinquere che non costituirebbe oggetto dell’impugnazione, di cui nemmeno si capisce perché l’imputato farebbe parte; per altro verso, non si comprenderebbe se vi sia stata un’offerta di pagamento meno da parte dell’agente. Con riferimento all’imputazione di cui al capo A2), il ricorrente contesta che la parte offesa non avrebbe specificato l’effettiva condotta tenuta dall’indagato né se effettivamente l’indagato fosse una delle persone che aveva aggredito senza motivo i suoi clienti, aveva consumato senza pagare e lo aveva minacciato di lesioni e percosse. Il ricorrente evidenzia inoltre che la parte offesa avrebbe indicato lo stesso indagato come soggetto che talvolta pagava le proprie consumazioni, il che introdurrebbe un elemento di contraddizione assoluta.

2.3 violazione di legge con riferimento agli articoli 274 lettera c) e 275 comma 3 e 3 bis cod. proc. pen. e insufficiente o mancante motivazione in punto esigenze cautelari.

In particolare, il ricorrente ritiene che il Tribunale abbia dedotto con motivazione insufficiente la concretezza e attualità del pericolo di reiterazione, abbia formulato un giudizio prognostico assolutamente ipotetico ed astratto ed abbia finanche violato le disposizioni di legge che hanno introdotto uno specifico onere motivazionale in ordine alle ragioni in base alle quali nel caso specifico le misure coercitive diverse dalla custodia in carcere, anche applicate cumulativamente risultano adeguate ed in special modo perché risulti inidonea la misura degli arresti domiciliari con le procedure elettroniche di controllo.

Considerato in diritto

3.1 Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che erroneamente il Tribunale, in sede di appello cautelare, aveva preso in considerazione profili nuovi e aveva ingiustificatamente esteso il proprio thema decidendum ai profili afferenti alle esigenze cautelari.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale territoriale ha correttamente operato prendendo in considerazione l’integrale contenuto dei fascicolo. Infatti, anche a seguire l’impostazione del ricorrente, deve ricordarsi come la domanda cautelare sia qualificata dall’allegazione degli atti su cui si fonda potendo anche non essere connotata da una specifica e puntuale motivazione, che invece è oggetto di obbligo per il giudice chiamato a provvedere sulla domanda stessa (cfr. Sez. F, Sentenza n. 34201 del 25/08/2009 Rv. 244905). Non sussiste alcun tipo di nullità derivata in conseguenza del prospettato difetto di motivazione della richiesta del P.M. poiché tale tipo di irregolarità sono testualmente previste dall’art. 125, comma terzo, cod. proc. pen., come causa di nullità esclusivamente in riferimento a provvedimenti del giudice, rimanendo al giudice della cautela la possibilità di valutare l’effettivo contenuto degli atti di PG richiamati (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 36422 del 30/04/2014 Rv. 259937).

Quanto alla portata dell’effetto devolutivo, va rilevato che l’appello concernente misure cautelari personali, implicando una valutazione globale della prognosi cautelare, attribuisce al giudice ‘ad quem’ tutti i poteri ‘ab origine’ rientranti nella competenza funzionale del primo giudice, ivi compresi quello di decidere in ordine ai gravi indizi (Sez. 5, Sentenza n. 3089 del 24/06/1999 Rv. 214476), pur nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, del principio devolutivo, e anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall’ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento l’art. 603, secondo e terzo comma, cod. proc. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 23729 del 23/04/2015 Rv. 263936) nonché quello di pronunziarsi anche in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari non considerate dal primo giudice (Sez. 6, Sentenza n. 10032 del 03/02/2010 Rv. 246283 e Sez. 5 n. 3089/99 cit.).

Quanto infine alle residue doglianze avanzate nel contesto del primo motivo di ricorso, occorre infine ricordare che difetta del tutto l’interesse da parte dell’imputato a dolersi del provvedimento del giudice di prima istanza che abbia rigettato l’istanza di applicazione di misura cautelare così decidendo in senso favorevole all’indagato medesimo.

3.2 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato in punto gravi indizi.

In particolare, oggetto della contestazione è innanzitutto la mancanza di minacce o violenza contestuali all’impossessamento.

Deve al proposito rilevarsi che il Tribunale della libertà ha correttamente ritenuto che, quando venga sottratta una cosa mobile alla presenza del possessore dopo che questi abbia subito un tentativo di estorsione e percosse, l’estremo della minaccia come modalità dell’azione della sottrazione ed elemento costitutivo della rapina è ‘in re ipsa’, senza che vi sia bisogno di un’ulteriore attività minacciosa da parte dell’agente direttamente collegata all’azione di apprensione del bene; in tal caso, infatti, si deve avere riguardo alla complessiva attività del colpevole, globalmente volta alla sopraffazione del soggetto passivo, il quale non può non risentire della precedente costrizione nell’assistere impotente all’apprensione della cosa di sua proprietà da parte dell’agente (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 4057 del 24/02/2000 Rv. 215703). Logicamente – peraltro il medesimo Tribunale ricollega le violenze e le minacce precedenti (che con altrettanto logico procedimento si afferma avere ingenerato un clima di terrore e soggezione) agli impossessamenti successivi.

Si tratta di apparato motivatorio effettivo, lineare, congruo e coerente con il contenuto del fascicolo processuale e esente da vizi sindacabili in sede di legittimità. A fronte di ciò, il ricorrente oppone profili fattuali inammissibili in questa sede che non appaiono idonei a inficiare la validità dell’iter logico seguito né a rilevare alcuna effettiva violazione di legge.

3.3 Con il terzo motivo di ricorso l’indagato afferma la insussistenza di esigenze cautelari concrete e attuali, la mancanza di qualsivoglia valutazione sul punto, la mancanza di un giudizio di inidoneità di misure meno afflittive e in particolare degli arresti domiciliari con eventuali dispositivi elettronici di controllo.

Quanto ai profili di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, deve rilevarsi che, ai fini della valutazione del pericolo che l’imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della ‘concretezza’, cui si richiama l’art. 274, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., riguarda l’indicazione di elementi non meramente congetturali sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede (Sez. 3, Sentenza n. 49318 del 27/10/2015 Rv. 265623; Sez. 5, n. 24051 del 15/5/2014, Rv. 260143; Sez. 1, n. 10347 del 20/1/2004, Rv. 22722); il requisito della ‘attualità’ sussiste in relazione alla riconosciuta esistenza di potenziali occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati (Sez. 5, Sentenza n. 24051 del 15/05/2014 Rv. 260143) in ordine alla ricorrenza della quali è onere dei giudice motivare (Sez. 2, Sentenza n. 50343 del 03/12/2015 Rv. 265395) in particolare sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 2, Sentenza n. 25130 del 14/04/2016 Rv. 267232).

Nel caso di specie, il giudice territoriale appare avere fatto buon governo di tali principi di diritto indicando elementi assolutamente concreti e relativi alla specifica personalità dell’imputato, in particolare costituiti dalla reiterazione delle condotte, dalla gravità e le modalità concorsuali delle stesse, dalle modalità mafiose, dalla desumibile mancanza di freni inibitori, dalla presenza di recidiva specifica; si tratta di indici idonei a rendere palese sia possibilità di commissione di reati ulteriori, sia la verosimile prossimità di nuove occasioni per la commissione di reati della medesima indole.

Specifica è inoltre la motivazione in ordine alla inidoneità di misura meno afflittiva e specificamente di quella degli AADD, in conseguenza della proclività a delinquere, del carattere concorsuale dell’attività e della negativa prognosi in ordine al rispetto delle misure riguardanti gli AADD medesimi. Si tratta di motivazione che soddisfa i requisiti di legge in relazione al fatto che la prescrizione del cosiddetto ‘braccialetto elettronico’ non configura un nuovo tipo di misura coercitiva, ma un modo di esecuzione ordinaria della cautela domiciliare, con la conseguenza che il giudice, ove, per la pericolosità dell’indagato e le peculiarità del fatto contestato, abbia ritenuto adeguata unicamente la custodia inframuraria, non deve altresì motivare sull’inidoneità degli arresti pur connotati dall’adozione di tale braccialetto (Sez. 6, Sentenza n. 1084 del 12/11/2015 – dep. 13/01/2016 – Rv. 265891).

Le considerazioni sopra esposte portano al rigetto del ricorso e alla condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen

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