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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 luglio 2015, n. 28088. Il delitto di violenza privata ha carattere generico e sussidiario e resta escluso, in base al principio di specialità, qualora sussista il fine di procurarsi un ingiusto profitto (dolo specifico) che rende configurabile una ipotesi delittuosa più grave, quale quella di rapina. Nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. Nel caso di specie, nel momento in cui la sottrazione delle chiavi era chiaramente e logicamente finalizzata a consentire agli autori dell’azione di trarre l’ulteriore utilità di evadere dal carcere è di tutta evidenza che il reato configurabile – e correttamente ritenuto configurato dalla Corte di Appello – è quello di cui all’art. 628 cod. pen. e non certo quello di cui all’art. 610 cod. pen. Ai fini penalistici nella nozione di patrimonio sono comprese anche quelle cose che, pur prive di reale valore di scambio, abbiano comunque un’importanza per il soggetto che le possiede, nel senso che tale soggetto abbia un interesse a possederle. Onde risponde della figura delittuosa di cui all’art. 628 cod. pen. il detenuto che, per procurare a se o ad altri un ingiusto profitto, sottragga ad un agente di custodia con violenza o minaccia le chiavi delle celle

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 2 luglio 2015, n. 28088 Ritenuto in fatto Con sentenza in data 6/3/2014 la Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Gorizia in data 15/1/2013 con la quale C.M. è stato dichiarato...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 maggio 2015, n. 21372. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma che viene equitativamente determinata

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 21 maggio 2015, n. 21372 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILE Mario – Presidente Dott. GALLO Domenico – rel. Consigliere Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere Dott. DI...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 aprile 2015, n. 15778. L’assistenza del difensore è necessaria anzitutto per costituire la parte nel processo, prima che per ragioni di conoscenza dei diritto ed esperienza del rito, e che perciò l’art. 96/1° co. riconosce all’imputato la facoltà di nominare sino a due difensori di fiducia. Ma se non la esercita o resta privo di difensore, il giudice o il pubblico ministero ha l’obbligo di nominargli un difensore di ufficio ai sensi dell’art. 97. E poiché l’imputato conserva il diritto di nomina, il difensore nominato d’ufficio è dei pari inteso suo mandatario per assenso implicito. In sintesi, il sistema afferma la “necessità” che l’imputato sia patrocinato da almeno un difensore nominato da lui o da chi procede. Ad ulteriore garanzia il sistema aggiunge alla necessità la “continuità” dell’incarico di difesa, seppure d’ufficio, sino a che l’imputato non nomini nuovo difensore o ne sia nominato altro d’ufficio, per rinuncia (che non ha effetto prima della comunicazione all’imputato), revoca o abbandono della difesa. La continuità autorizza il difensore a designare un sostituto. Ma, se la presenza del difensore è necessaria ed il difensore già nominato non è reperito o non compaia o abbandoni la difesa, il giudice o il pubblico ministero provvede ai sensi dell’art. 97/4° co. a nominare un sostituto d’ufficio che, al pari dei sostituto di fiducia, non ha diritto a termine difensivo perché assiste l’imputato quale vicario del difensore, di cui assume ai sensi dell’art. 102 c.p.p diritti ed oneri. E al difensore, spiega l’art. 99/ 1° co., competono le facoltà ed i diritti che la legge riconosce all’imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest’ultimo

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 16 aprile 2015, n. 15778 Ritenuto in fatto Il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica di Firenze propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze depositata in data 11.10.2013, nei confronti di C. E.L., imputato del reato di cui all’art.646 c.p. con cui si...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 marzo 2015, n. 12140. Diversamente da quanto accade per la confisca di prevenzione di cui all’art. 24, d.lgs. n. 159/2011 (c.d. codice antimafia), in tema di confisca disposta ai sensi dell’art. 12-sexies, l. n. 356/1992 (c.d. confisca allargata), la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 23 marzo 2015, n. 12140 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILE Mario – Presidente Dott. FIANDANESE Franco – Consigliere Dott. RAGO Geppino – Consigliere Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere Dott. BELTRANI Sergio...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 marzo 2015, n. 8998. L'età della persona offesa non può essere considerata elemento di per sé solo sufficiente ad integrare l'aggravante

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 2 marzo 2015, n. 8998 Svolgimento del processo Con sentenza del 31.3.2014, la Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione di primo grado che aveva condannato G.P. alla pena di anni tre di reclusione e Euro 800,00 di multa per i reati di rapina e di tentata rapina....

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Corte di Cassazione, sezione II,sentenza 17 febbraio 2015, n. 6847. L'art. 641 c.p. (insolvenza fraudolenta) ha come finalità la tutela dei diritto dei creditore adempiente contro particolari, preordinati, successivi inadempimenti fraudolenti, consumati dalla controparte, di un'obbligazione di contenuto patrimoniale e di fonte contrattuale; inadempimenti realizzati con modalità tali da rendere inadeguata la tutela apprestata dalla legge civile. Il discrimine tra mero inadempimento di natura civilistica e commissione dei reato poggia sull'elemento ispiratore della condotta; con la conseguenza che il comportamento consistente nel tenere il creditore all'oscuro dello stato di insolvenza in cui si versa al momento di contrarre l'obbligazione ha rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, mentre l'inadempimento contrattuale non preordinato non costituisce tale delitto e ricade, normalmente, solo nell'ambito della responsabilità civile. La prova della preordinazione può essere desunta anche da argomenti induttivi seri ed univoci, ricavabili dal contesto dell'azione. Si è così affermato che anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di preordinata dissimulazione del proprio stato di insolvenza, quando sin dal momento in cui il contratto è stato stipulato vi era l'intenzione di non far fronte agli obblighi conseguenti. Sintomo pregnante della condotta penalmente rilevante può anche essere il fatto che l'agente assuma un'obbligazione con un comportamento idoneo ad ingannare la controparte sulle sue reali intenzioni

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 17 febbraio 2015, n. 6847 Motivi della decisione La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza in data 9 gennaio 2014, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Brindisi sezione distaccata di Francavilla Fontana che in data 26 aprile 2012 aveva condannato S.M. per truffa aggravata in danno...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 gennaio 2015, n. 1945. Una sentenza di condanna non può fondarsi, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l'imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare né nella fase istruttoria né durante il dibattimento perché resasi irreperibile, a prescindere dalla volontà o meno di sottrarsi all'esame

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 16 gennaio 2015, n. 1945 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILE Mario – Presidente Dott. FIANDANESE Franco – Consigliere Dott. TADDEI Margherita B. – Consigliere Dott. MACCHIA Alberto – rel. Consigliere Dott. CERVADORO...