Sospensione dei versamenti di contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile,Ordinanza 18 giugno 2019, n. 16299.

La massima estrapolata:

L’art. 7, primo comma, O.P.C.M. 29 novembre 2002, n. 3253 – che prevede la sospensione dei versamenti di contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 – va interpretato alla stregua del disposto dell’art. 6, comma 1 bis, d.l. 9 ottobre 2006, n. 263, conv. in legge 6 dicembre 2006, n. 290, e, pertanto, è riferibile soltanto ai datori di lavoro privati; ciò, tuttavia, non comporta che non possa trovare applicazione, anche nell’ipotesi di indebita sospensione dei versamenti per un’erronea scelta del datore pubblico, il secondo comma del predetto art. 7, che prevede, tra l’altro, la riscossione dei contributi non corrisposti mediante rate mensili pari a otto volte i mesi interi di durata della sospensione.

Ordinanza 18 giugno 2019, n. 16299

Data udienza 20 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 11766-2014 proposto da:
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 273/2013 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 28/10/2013 R.G.N. 5/2013.

RILEVATO

che:
1. la Corte d’appello di Campobasso confermava la sentenza del Tribunale della stessa citta’ che aveva accolto il ricorso con il quale (OMISSIS) ed altri litisconsorti – premesso di avere beneficiato, a seguito del sisma che ha colpito il Molise del 2002, della sospensione dei versamenti contributivi di previdenza e assistenza sociale di cui all’OPCM 3253 del 29/11/2002 e successive proroghe – avevano lamentato che a decorrere dal novembre 2011, contrariamente a quanto stabilito nella succitata ordinanza a proposito della restituzione rateizzata dei contributi relativi al periodo oggetto di sospensione, il Ministero dell’economia aveva comunicato l’avvio del procedimento di recupero erariale ed operato in busta paga il recupero della contribuzione sospesa con trattenute sensibilmente maggiori di quelle inizialmente disposte.
2. A fondamento della decisione, la Corte territoriale argomentava: che sussisteva la legittimazione passiva del MEF in quanto rappresentante di parte datoriale che aveva proceduto alla rideterminazione delle modalita’ di restituzione oggetto di controversia; che la norma di interpretazione autentica di cui al Decreto Legge n. 263 del 1996, articolo 6, comma 1 bis convertito in L. 16 dicembre 2006, n. 290, concerneva esclusivamente l’individuazione dei soggetti ritenuti dalla normativa emergenziale adottabile in materia di protezione civile ai fini del temporaneo esonero dal versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi (tra cui era dunque pacifico non rientrassero mai i lavoratori dipendenti e neppure i datori di lavoro pubblici) e non aveva, invece, riguardato le modalita’ di restituzione dei contributi comunque non versati; che in siffatta situazione non poteva trovare applicazione la normativa richiamata dall’appellante Ministero a giustificazione dei nuovi criteri unilateralmente imposti quanto a modalita’ di restituzione dei contributi (divenuti) indebitamente sospesi (criteri dedotti dal Decreto Legge 8 luglio 2002, n. 138, articolo 3 bis conv. in L. 8 agosto 2002, n. 178 e la L. 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 116, comma 17) perche’ non era ad essa pertinente essendo destinata a regolare il solo, distinto, nonche’ esclusivo, rapporto tra ente previdenziale e datore di lavoro; che pertanto, in mancanza di specifiche norme regolatrici del caso concreto, e, comunque, anche a non volere, in ipotesi, ritenere piu’ operativa l’O.P.C.M. 3253/02 quanto all’articolo 7, comma 2 (non interessato dalla norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 290 del 2006, articolo 6, comma 1 bis), la questione in disamina doveva essere riguardata e decisa alla luce del principio del legittimo affidamento del soggetto obbligato, da un lato, e della insuperabilita’ di limiti quantitativi valevoli ad assicurare il rispetto delle esigenze di vita del lavoratore dall’altro lato; che essendo, quindi, incontestato che gli appellati avevano goduto del beneficio della sospensione in perfetta buona fede, e stante il sensibile il divario che si sarebbe determinato dalla riduzione fino ad un massimo di 60 rate rispetto alla originaria previsione di restituzione “con un numero di rate pari a otto volte il numero delle mensilita’ sospese”, (circa trenta mensilita’ nelle fattispecie dedotte in causa), ovvero in una misura per il recupero che lo stesso Governo aveva giudicato compatibile con il regime medio di vita dei lavoratori dipendenti, l’operato del MEF era stato lesivo anche sotto quest’ultimo profilo teste’ rappresentato; che ad ogni buon conto, il MEF aveva ingenerato l’affidamento dei dipendenti operando per circa un anno trattenute in misura ridotta dopo essersi determinato al recupero dei contributi a distanza di oltre tre anni dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2008 in merito alla giustificata esclusione dal beneficio per i soggetti pubblici; che, infine, la stessa determina del 2013 con la quale il Ministero appellante, in autotutela, aveva ripristinato l’originaria rateizzazione, senza percio’ ritenere cessata la materia del contendere, era la ulteriore dimostrazione, alla luce della motivazione in essa contenuta, del fatto che l’amministrazione aveva sostanzialmente accettato i vari pronunciamenti dei giudici di merito di condanna al ripristino della precedente rateizzazione.
3. Per la cassazione della sentenza il Ministero dell’economia e delle finanze ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito l’Inps con controricorso; (OMISSIS) ed i suoi litisconsorti sono rimasti intimati.

CONSIDERATO

che:
4. come primo motivo di ricorso il Ministero dell’economia deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 18 del 1952, articolo 19 e ribadisce il proprio difetto di legittimazione passiva, attesa la sua funzione di mero erogatore del trattamento economico ai dipendenti degli altri ministeri e non di parte datoriale.
5. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 dell’OPCM n. 3253 del 2002 e dal Decreto Legge n. 138 del 2002, articolo 3, comma 3 bis conv. in L. n. 178 del 2002.
Ribadisce che l’amministrazione ha provveduto a ripetere attraverso una rateizzazione quinquennale ossia in 60 rate mensili (rateizzazione massima prevista dal Decreto Legge n. 138 del 2002, articolo 3, comma 3 bis) anziche’ nelle modalita’ previste dall’articolo 7 dell’OPCM 3253 del 2002, inapplicabile nei confronti dei datori di lavoro pubblici.
6. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1183 e 2033 c.c. e falsa applicazione del principio del legittimo affidamento. Sostiene che nessun legittimo affidamento puo’ aver ingenerato nei pubblici dipendenti l’aver effettuato per un anno la sospensione delle ritenute, in erronea applicazione della legge, essendo invece il recupero un atto dovuto su cui non incide ne’ la buona fede del percipiente ne’ la distanza di tempo dall’erogazione.
7. Come quarto motivo deduce l’omessa pronuncia sulla specifica eccezione proposta in secondo grado di violazione dell’articolo 115 c.p.c. e sul principio di non contestazione.
Lamenta che la Corte non abbia valutato che ai fini della restituzione dell’indebito non e’ di ostacolo la buona fede del percipiente e l’insussistenza di qualsivoglia legittimo affidamento in ordine all’applicabilita’ della normativa emergenziale.
8. Come quinto motivo sostiene che la Corte abbia prospettato l’onere dell’amministrazione di procedere al recupero con modalita’ tali da non incidere sulle esigenze di vita dei dipendenti, senza tuttavia esaminarne in concreto la complessiva situazione patrimoniale.
9. Il primo motivo non e’ fondato, essendo il Ministero dell’Economia e delle Finanze legittimato passivo quale soggetto che ha operato la rateizzazione dell’importo dovuto dai dipendenti del Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca a titolo di restituzione dei contributi non versati nel periodo in questione per il tramite delle sue articolazioni costituite dal DAG (Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi del Tesoro), e dalla “Ragioneria Generale” nei suoi uffici territoriali, ai quali spettano la gestione degli stipendi dei vari ministeri e delle entrate. Del resto, nella presente fattispecie in cui si discute delle modalita’ di restituzione delle somme che i dipendenti pubblici non hanno versato a titolo di contributi non viene in rilievo il disposto della L. n. 218 del 1952, articolo 19 (secondo cui “Il datore di lavoro e’ responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario e’ nullo.
Il contributo a carico del lavoratore e’ trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce.”) che, invece ha inteso individuare il soggetto responsabile per il versamento dei contributi da parte del lavoratore operando le relative trattenute sulla retribuzione corrisposta. Peraltro, non puo’ non rilevarsi, come la legittimazione passiva del Ministero ricorrente risulti essere confermata dalla nota del marzo 2013 della Ragioneria Territoriale dello Stato di Campobasso relativa alla comunicazione della Det. Direttoriale 27 marzo 2013, n. 5654 con la quale, in regime di autotutela, aveva ripristinato la piu’ favorevole rateizzazione prevista dall’articolo 7 comma 2, dell’O.P.C.M. n. 3253/2002.
10. Sono infondati anche il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto connessi. Vale ricordare come questa Corte ha affermato che l’O.P.C.M. n. 3253 del 2002, articolo 7, comma 1, – che prevede la sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 – va interpretato alla stregua del disposto del Decreto Legge n. 263 del 2006, articolo 6, comma 1-bis, citato e, pertanto, e’ riferibile soltanto ai datori di lavoro privati, essendo il beneficio in esso contemplato finalizzato alla liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attivita’ imprenditoriali (finanziando l’impresa con operazione rispetto alla quale il lavoratore resta neutro) e non anche all’incremento delle retribuzioni dei lavoratori. E’ stato altresi’ chiarito che il predetto Decreto Legge n. 263 del 2006, articolo 6, comma 1-bis, essendo norma propriamente di interpretazione autentica (ritenuta costituzionalmente legittima da Corte Cost. n. 325 del 2008) secondo quanto esplicitato anche dal dato testuale oltre che dalla sua ratio, come tale, ha efficacia retroattiva e si applica anche alle ordinanze ex Decreto Legge 4 novembre 2002, n. 245 conv. con modif. in L. 27 dicembre 2002 n. 286, riguardando in generale il potere di emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti. Ne deriva che il datore di lavoro pubblico ha legittimamente operato le trattenute dovendo corrispondere da subito i contributi previdenziali ed i premi, ed anche per la quota a carico del lavoratore, non operando la sospensione dell’obbligo nei confronti dei datori pubblici secondo quanto fin qui detto (Cass. n. 2277 del 06/02/2015; Cass. n. 8442 dell’8 aprile 2014; Cass. n. 8646 del 30 maggio 2012; Cass. n. 4963 del 28 marzo 2012, n. 4963 nonche’ nn. 4669, 4673, 10243,13159, 28500 del 2011).
11. L’applicabilita’ della OPCM n. 3253/2002, articolo 7, coma 1 solo ai datori di privati non comporta tuttavia che il comma 2 di detto articolo (secondo cui “La riscossione dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi dovuti per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali non corrisposti per effetto della sospensione di cui al comma 1 avverra’ mediante rate mensili pari a otto volte i mesi interi di durata della sospensione. Gli adempimenti non eseguiti per effetto della sospensione di cui al comma 1 sono effettuati entro il secondo mese successivo al termine della sospensione, mentre le rate di contributi sono versate a partire dal terzo mese successivo alla sospensione stessa.”) non possa trovare applicazione anche nelle ipotesi – quale quella all’esame – in cui l’indebita sospensione del versamento dei contributi sia avvenuta per un’erronea scelta dell’Amministrazione, favorita dall’equivocita’ del testo normativo che ha reso necessaria l’adozione di una disposizione interpretativa. Del resto e’ circostanza pacifica tra le parti che il Ministero ricorrente aveva inizialmente applicato – pur non essendo a cio’ obbligato alla luce di quanto sopra esposto – le modalita’ di rateizzazione previste dal menzionato O.P.C.M. 3253/2002, articolo 7, comma 2. Peraltro, e’ opportuno qui ricordare che la giurisprudenza amministrativa, formatasi sui rapporti di lavoro di impiego pubblico non contrattualizzato, ha avuto modo di affermare che il recupero ha carattere di doverosita’ e costituisce esercizio, ai sensi dell’articolo 2033 c.c. di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalita’ di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalita’ con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioe’ da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. 3, 9 giugno 2014, n. 2903). Anche la giurisprudenza di diverso orientamento (Consiglio di Stato, 6 sezione, sentenza n. 5315 del 2014, Cons. St., 5 sezione, 13 aprile 2012, n. 2118) ha rilevato che i suddetti principi giurisprudenziali, pur apparendo condivisibili in linea astratta, non possono essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entita’ delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalita’;
12. dal rigetto del secondo e del terzo motivo discende l’inammissibilita’ del quarto e del quinto motivo alla luce del principio piu’ volte affermato da questa Corte per il quale nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su piu’ ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, e’ necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinche’ si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano sicche’ e’ sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perche’ il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U, n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U, n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, entrambi i motivi censurano la secondo, ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata;
13. il ricorso va pertanto rigettato;
14. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo in favore dell’INPS; non si provvede in ordine alle spese nei riguardi degli intimati che non hanno svolto alcuna attivita’ difensiva;
15. non puo’ trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio in favore dell’INPS, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% ed accessori.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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