Condanna generica al risarcimento dei danni in favore della persona offesa e termine di prescrizione

Corte di Cassazione, sezione terza civile,Ordinanza 18 giugno 2019, n. 16289.

La massima estrapolata:

Nel caso in cui la sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, sia passata in giudicato, la successiva azione volta alla quantificazione del danno non è soggetta al termine di prescrizione breve ex art. 2947 c.c., ma a quello decennale ex art. 2953 c.c.decorrente dalla data in cui la sentenza stessa è divenuta irrevocabile, atteso che la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell’attitudine all’esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l’accertamento dell’obbligo risarcitorio in via strumentale rispetto alla successiva determinazione del “quantum”; la conversione del termine di prescrizione, da breve a decennale, per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è invocabile anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al processo nel quale è stata pronunciata la stessa sentenza (nella specie, del coobbligato in solido), a meno che non si tratti di diritti che non furono oggetto di valutazione o di decisione.

Ordinanza 18 giugno 2019, n. 16289

Data udienza 29 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27672-2017 proposto da:
COMUNE DI VITTORIA, in persona del Sindaco pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato difeso dagli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale notarile rep. n. 79371;
– resistente con procura speciale notarile –
avverso la sentenza n. 1723/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 28/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:
Nel 2008, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria, (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ il Comune di Vittoria, esponendo: che, nel 1994, (OMISSIS), rispettivamente marito e padre degli stessi attori, era stato incaricato dalla ditta (OMISSIS), sua datrice di lavoro, di eseguire un intervento di manutenzione sull’impianto fognario del Comune di Vittoria; che detto intervento presentava aspetti di pericolosita’, dato che richiedeva che il (OMISSIS) scendesse nel sottosuolo, all’interno della rete fognaria, per effettuare la sostituzione di una valvola difettosa nella camera di manovra, separata da una saracinesca dall’attigua vasca di raccolta dei liquami; che, durante l’esecuzione del suddetto intervento, il (OMISSIS) aveva perso la vita e che di tale fatto delittuoso erano stati giudicati penalmente responsabili i (OMISSIS), i quali erano stati condannati con sentenza passata in giudicato; che, sotto il profilo civilistico, anche il Comune di Vittoria era responsabile dell’illecito, in solido con i (OMISSIS), sia ai sensi dell’articolo 2049 c.c., per aver affidato l’esecuzione dell’intervento di manutenzione senza aver controllato le adeguate competenze della ditta affidataria, sia ai sensi del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 4 e 7 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1995, articolo 236 perche’ quale committente non aveva cooperato con il datore di lavoro nell’osservanza delle relative prescrizioni dettate a tutela della sicurezza dei lavoratori, sia infine ai sensi dell’articolo 2051 c.c., per aver violato gli obblighi di custodia gravanti sull’ente quale proprietario della rete fognaria. Chiesero quindi la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza della morte del loro congiunto.
Si costitui’ in giudizio il Comune di Vittoria, eccependo preliminarmente la prescrizione del diritto fatto valere dagli attori, perche’ la sentenza penale nei confronti dei due (OMISSIS) era passata in giudicato il 29 maggio 2002, mentre la notifica della citazione era avvenuta il 26 maggio 2008 e, quindi, oltre il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’articolo 2947 c.c.
Eccepi’ inoltre il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto la condanna generica emessa in sede penale in favore delle parti civili costituite riguardava solo i due convenuti (OMISSIS). Contesto’ comunque l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
Si costitui’ anche (OMISSIS), eccependo la prescrizione della pretesa risarcitoria degli attori e chiedendone anche nel merito il rigetto. (OMISSIS) rimase contumace.
Il Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria, con la sentenza non definitiva n. 117/2011, accolse l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune di Vittoria, rigettando cosi’ la domanda risarcitoria nei confronti di quest’ultimo e disponendo con separata ordinanza per l’ulteriore corso del giudizio nei confronti dei soli convenuti (OMISSIS).
In particolare, secondo il primo giudice, l’autonomia del titolo di responsabilita’ del Comune di Vittoria rispetto a quello per cui i (OMISSIS) avevano riportato condanna penale impediva l’applicazione all’azione risarcitoria nei confronti del medesimo Comune del termine di prescrizione decennale di cui all’articolo 2953 c.c.
2. La pronuncia e’ stata riformata dalla Corte di appello di Catania, con la sentenza n. 1723/2017, depositata il 18 settembre 2017.
La Corte territoriale, diversamente dal giudice di primo grado, ha respinto l’eccezione di prescrizione del diritto sollevata dal Comune sulla base del rilievo che, una volta che intervenga un giudicato di condanna nei confronti di uno dei coobbligati in solido al risarcimento del danno, il termine di prescrizione del diritto e’ regolato dall’articolo 2953 c.c. e, quindi, il termine di prescrizione e’ di 10 anni per ciascuno degli obbligati in solido, anche se non hanno partecipato al giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato.
Ha inoltre evidenziato la Corte d’appello che la costituzione dei (OMISSIS) quali parti civili nel giudizio penale a carico dei (OMISSIS) era valsa ad interrompere la prescrizione del credito risarcitorio, ai sensi dell’articolo 1310 c.c., anche nei confronti del Comune, quale obbligato in solido.
La Corte ha poi accolto la domanda risarcitoria, ritenendo infondato il rilievo del Comune secondo cui il Thema decidendum del giudizio di appello era limitato alla questione della prescrizione del credito risarcitorio senza che, superata la relativa questione, il sindacato potesse estendersi al merito della responsabilita’ dell’ente in merito al fatto illecito addebitatogli.
Al riguardo, il giudice di secondo grado ha evidenziato come la giurisprudenza su cui si basava il suddetto rilievo fosse inconferente al caso in esame, in cui la domanda risarcitoria nei confronti dell’ente era stata rigettata in primo grado. In questa situazione, secondo la Corte, accertato l’errore del primo giudice sulla questione preliminare della prescrizione, si imponeva, previa istruzione della causa, la valutazione nel merito della pretesa, non essendo in alcun modo praticabile la rimessione al primo giudice che aveva definito il giudizio nei confronti degli altri coobbligati.
3. Avverso tale decisione propone ricorso in Cassazione, sulla base di due motivi, il Comune di Vittoria. Ha depositato anche memoria.
3.1. Gli intimati signori (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) il 16 gennaio 2019 depositano costituzione di nuovo difensore non rituale, il 18 gennaio depositano procura notarile in copia e il 22 gennaio depositano l’originale.

CONSIDERATO

che:
4.1. Con il primo motivo, l’ente ricorrente lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione degli articoli 2947 e 2953 c.c.”.
Il giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare che, ai sensi dell’articolo 2947 c.c. – il quale, disciplinando specificamente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, dovrebbe prevalere sulla confliggente disposizione di cui all’articolo 2953 c.c., che si riferisce indefinitamente ai casi nei quali la legge stabilisce una prescrizione per il diritto piu’ breve di dieci anni – quando interviene sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nel termine breve (nel caso di specie, cinque anni), con decorrenza dalla data di in cui la sentenza e’ divenuta irrevocabile. Poiche’ la sentenza penale e’ divenuta irrevocabile il 29 maggio 2002 e l’azione nei confronti del Comune sarebbe stata introdotta il 26 maggio 2008, il diritto risarcitorio sarebbe prescritto.
Il motivo e’ infondato.
Una volta passata in giudicato la sentenza penale di condanna generica dell’imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile a favore della persona offesa, costituitasi parte civile, la successiva azione volta alla determinazione del quantum debeatur, per il disposto dell’articolo 2953 c.c., non e’ soggetta alla prescrizione breve di cui all’articolo 2947 c.c., ma a quella decennale, decorrente dalla data in cui la sentenza penale e’ divenuta irrevocabile, atteso che la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell’attitudine all’esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l’accertamento dell’obbligo risarcitorio, strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantrun (Cass. civ. Sez. III Sent., 18/04/2012, n. 6070; Cass. civ. Sez. III Sent., 19/02/2009, n. 4054).
E, al riguardo, giova ricordare che, come correttamente rileva la sentenza impugnata, questa Corte ha piu’ volte precisato che la conversione del termine di prescrizione previsto dall’articolo 2953 c.c. e’ invocabile anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al processo nel quale e’ stata pronunciata la sentenza passata in giudicato (Cass. civ. Sez. III, 13-12-1993, n. 12253; Cass. civ. Sez. III, 02/08/1986, n. 4965).
4.1. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 354, 273 e 274 c.p.c. e dei principi di uniformita’ di giudicati e del giusto processo”.
Poiche’ nel caso in esame il giudizio di primo grado era stato instaurato nei confronti di piu’ soggetti ritenuti responsabili in solido, superata in sede di appello avverso la sentenza non definitiva la questione della prescrizione, sarebbe stata necessaria la rimessione della causa al Tribunale presso cui proseguiva il giudizio risarcitorio nei confronti degli altri soggetti coobbligati in solido, al fine di evitare la formazione di giudicati contrastanti con riferimento all’ammontare da risarcire (come era invece effettivamente avvenuto, poiche’ il Tribunale di Vittoria, con sentenza del 7 marzo 2017, aveva condannato i (OMISSIS) a risarcire per un importo diverso da quello poi liquidato dalla sentenza impugnata a carico del Comune), nonche’ la menomazione delle tutele difensive del Comune, privato di un grado di giudizio.
Il motivo e’ infondato.
Il nostro sistema processuale e’ ispirato in linea generale al principio secondo cui il giudice che delibera nel merito deve definire il giudizio, pronunciando su tutte le domande e le eccezioni proposte dalle parti (articolo 277 c.p.c., comma 1).
Alla predetta regola puo’ tuttavia derogarsi nei casi previsti dall’articolo 277 c.p.c., comma 2, e articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 4, che contemplano la possibilita’ delle sentenze non definitive, vale a dire di quelle pronunce che non esauriscono il thema decidendum in quanto risolvono soltanto alcune delle questioni dibattute, disponendo per le altre la prosecuzione del giudizio.
In tale successiva fase del processo, il giudice che abbia emesso una sentenza parziale, rimane da questa vincolato, nel senso che non puo’ rimetterne in discussione il decisum a meno che la stessa non sia stata riformata a seguito di impugnazione immediata (C. Cass. 1998/04821, 1999/05860, 2000/10101 e 2001/02332).
Il codice consente, infatti, alla parte interessata di scegliere se dolersi subito al giudice superiore ovvero attendere l’emanazione della sentenza conclusiva del giudizio.
Nella prima ipotesi, il gravame dovra’ riguardare soltanto il profilo affrontato dalla sentenza non definitiva, con la conseguenza che l’appellante non sara’ obbligato a riproporre le altre domande od eccezioni non esaminate in primo grado ed il giudice di appello non potra’ dal canto suo passare all’esame di questioni diverse da quella su cui e’ chiamato a pronunciarsi (C. Cass. 1987/05999 e 1992/00595), definendo la stessa con un dictum destinato ad inserirsi immediatamente nel processo eventualmente sospeso od ancora pendente davanti al giudice “a quo”. Costui sara’ quindi tenuto a conformarsi alla predetta decisione, tenendo ad esempio conto di quelle domande che aveva creduto di non poter esaminare o di quelle eccezioni che aveva ritenuto di dover disattendere.
Perche’ questo avvenga, e’ pero’ necessario che si tratti di una vera e propria sentenza parziale perche’ se quella impugnata presenta i caratteri della pronuncia definitiva, il giudice di prime cure non puo’ tornare ad occuparsi della causa, che dovra’ proseguire e concludersi in appello salvo che non ricorrano una delle ipotesi di cui agli articoli 353 e 354 c.p.c. (erronea dichiarazione dell’estinzione del processo, nullita’ dell’atto di citazione, mancata sottoscrizione della sentenza, omessa integrazione del contraddittorio ed indebita estromissione di una parte processuale). Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sent. n. 1577 del 1 marzo 1990, hanno spiegato che la definitivita’ esige un espresso provvedimento di separazione oppure una pronuncia sulle spese, che potendo essere adottata soltanto in chiusura del processo, implica necessariamente la separazione delle cause fino ad allora riunite (v., negli stessi termini, anche C. Cass. 1995/00372, 1996/02714, 1996/03537, 1998/00209, 1999/01584, 1999/00711 e 2002/05443).
Nel caso di specie, il Tribunale di Vittoria aveva dichiarato prescritta l’azione nei confronti del Comune, regolando le relative spese di lite ed aveva disposto con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio fra (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS).
Cosi’ statuendo, il Tribunale aveva emanato una sentenza non definitiva in tale ultima causa, ma definitiva nelle altre ad essa riunite, in quanto, provvedendo anche sulle spese, aveva liquidato ogni possibile pendenza fra le parti interessate, determinando la completa fuoriuscita dal processo del Comune.
Di conseguenza, poiche’ nella specie la sentenza impugnata, in virtu’ dei principi sopra illustrati, risultava avere carattere di definitivita’ quanto alla posizione del Comune, il giudice di secondo grado, accolta l’impugnazione, non avrebbe potuto rimettere la causa davanti al Tribunale, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui agli articoli 353 e 354 c.p.c.. Correttamente, dunque, la Corte ha proceduto, previa istruzione della causa, omessa dal giudice di primo grado, all’esame nel merito della domanda risarcitoria proposta dai (OMISSIS).
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese in quanto l’intimata a parte la costituzione del nuovo difensore non ha svolto attivita’ difensiva.
7. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dall’articolo 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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