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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 gennaio 2016, n. 836. Il datore di lavoro è obbligato a mente dell’art. 2087 c.c. ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo l’inadempimento altrui. La protezione, anche di rilievo costituzionale, dei beni presidiati dall’art. 2087 c.c. postula meccanismi di tutela delle situazioni soggettive potenzialmente lese in tutte le forme che l’ordinamento conosce. Dunque, per garantire l’effettività della tutela in ambito civile, non solo azioni volte all’adempimento dell’obbligo di sicurezza o alla cessazione del comportamento lesivo ovvero a riparare il danno subito, ma anche il potere di autotutela contrattuale rappresentato dall’eccezione di inadempimento, rifiutando l’esecuzione della prestazione in ambiente nocivo soggetto al dominio dell’imprenditore. In caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ., non solo è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, ma costui conserva, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore

SUPREMA CORTE  DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO sentenza 19 gennaio 2016, n. 836 Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al Tribunale di Torino D.A.A. ed altri 13 dipendenti della Fiat Group Automobiles Spa indicati in epigrafe convenivano la datrice di lavoro esponendo che erano addetti all’assemblaggio delle portiere delle auto presso il reparto denominato “lite 11”;...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 3 febbraio 2016, n. 4468. Le linee guida per le pratiche terapeutiche costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche

Suprema CORTE DI CASSAZIONE sezione IV SENTENZA 3 febbraio 2016, n. 4468 est. dott. Claudio D’Isa Ritenuto in fatto S.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d’appello di Caltanissetta che ha confermato la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal locale Tribunale in ordine al delitto di lesioni colpose....

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Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 29 gennaio 2016, n. 372. Il termine di presentazione della domanda di rinnovo non è termine perentorio, pertanto, anche una presentazione tardiva, (comunque avvenuta prima dell’adozione, da parte dell’Amministrazione, di provvedimenti sanzionatori della permanenza in Italia divenuta ormai privo di titolo) comporti l’obbligo di esaminare la domanda. Il medesimo principio può essere applicato alla domanda di conversione.

Consiglio di Stato sezione III  sentenza 29 gennaio 2016, n. 372 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4011 del 2015, proposto da: -OMISSIS-; contro Ministero dell’Interno; per la riforma della sentenza breve del T.A.R....

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 febbraio 2016, n. 4400. In tema di documenti, l’art. 234 cod. proc. pen. richiede che vengano acquisiti in originale, potendosi acquisire copia solo quando l’originale non è recuperabile; poiché, tuttavia, l’attuale codice di procedura penale non ha accolto il principio della tipicità dei mezzi di prova (tant’è che l’art. 189 cod. proc. pen. si occupa espressamente de “le prove non disciplinate dalla legge”), il giudice può ben utilizzare quale elemento di prova anche la copia di un documento, purché idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti. Riguardo alla natura dell’atto, tale operazione, così come la successiva estrapolazione di immagini, viene considerata ripetibile. La ritualità, ex art. 234 cod. proc. pen., dell’utilizzazione di fotografie estratte da video riprese eseguite dalla polizia giudiziaria (queste ultime ritualmente acquisite al dibattimento), non sussistendo alcuna disposizione normativa che prescriva l’esecuzione di particolari incombenti per l’estrapolazione di singole foto dalla videoregistrazione eseguita, ma dovendosi considerare questa nient’altro che alla stregua di una operazione materiale volta a consentire una più diretta e adeguata lettura di un segmento del documento già acquisito, inidonea di per sé a alternarne o comprometterne il contenuto probatorio

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 3 febbraio 2016, n. 4400  Ritenuto in fatto  1. Con sentenza in data 09.06.2014, la Corte d’appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, in data 25.03.2013, con la quale S.M. era stato condannato alla pena di anni sei...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 3 febbraio 2016, n. 4571. In materia di intercettazioni, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza. Il principio di diritto appena ricordato può incontrare un temperamento solo in presenza di situazioni affatto peculiari, certamente non riscontrabili nell’odierna fattispecie concreta: in ordine alla lettura di messaggi sms; in sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza  3 febbraio 2016, n. 4571  Ritenuto in fatto  1. Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava una richiesta di riesame presentata nell’interesse di F.G. avverso un’ordinanza emessa il 30/01/2015 dal Gip dello stesso Tribunale. A carico della F. , sottoposta alla misura cautelare...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 gennaio 2016, n. 1663. Il termine per la costituzione dell’appellante, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., in relazione all’art. 165 c.p.c., decorre dal momento del perfezionamento della notificazione dell’atto di appello nei confronti del destinatario e non dal momento della consegna di tale atto all’ufficiale giudiziario

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 29 gennaio 2016, n. 1663 Motivi della decisione  3. Il ricorso è fondato. 3.1 Deve preliminarmente rilevarsi che nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non incidono le cause interruttive (da ultimo in tal senso Cass. sez. lav., 13 febbraio 2014 n. 3323 e Cass. sez. lav., 21...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4 febbraio 2016, n. 4635. La valutazione concernente il pericolo di fuga, quale esigenza cautelare legittimante la adozione di idonee misura volte a contrastarlo, deve fondarsi su elementi che evidenzino la concretezza di tale pericolo, i quali, sebbene non richiedano la presenza di segni di un’attività già in atto, richiede, comunque la sussistenza di elementi indicativi della volontà dell’indagato di sottrarsi alla giustizia, non essendo a tale fine sufficiente la considerazione delle particolari condizioni soggettive in cui, in via di fatto, venga a trovarsi l’indagato; in tal senso, ad esempio, è stata esclusa la loro sussistenza sulla base del semplice dato di fatto che il soggetto indagato avesse, per la professione esercitata, agevoli e plurimi contatti con l’estero; per ciò che attiene in senso più specifico alla insufficienza dimostrativa, ai fini della sussistenza della predetta esigenza cautelare, del fatto che l’indagato abbia oltreconfine la disponibilità di mezzi e di strutture, osservando che siffatti elementi non costituiscono di per sé fattori sintomatici per affermare la esistenza del pericolo concreto ed attuale di fuga. Né è a tal fine sufficiente la mera residenza all’estero dell’indagato, ove questa non si accompagni, date le sue concrete modalità, ad altri elementi volti a corroborare l’affermazione che essa sia finalizzata al sottrarsi alla giurisdizione nazionale, quali, in via esemplificativa e non esaustiva, la collocazione temporale di tale migrazione, la esistenza o meno di un apprezzabile motivo per siffatta permanenza all’estero, ovvero ancora le espressione di ripetute manifestazioni di sfiducia nei confronti del sistema giudiziario nazionale, il trasferimento verso uno Stato che non coltivi rapporti di collaborazione giudiziaria con quello italiano o la pretestuosità delle giustificazioni accampate onde non aderire agli inviti a fare rientro in sul territorio dello Stato

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 4 febbraio 2016, n. 4635 Ritenuto in fatto  Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 18 dicembre 2014, accogliendo parzialmente il ricorso del Pm avverso il provvedimento con il quale il Gip di Vercelli aveva rigettato la richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti di G.P. e...