Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 3 febbraio 2016, n. 4400 

Ritenuto in fatto 

1. Con sentenza in data 09.06.2014, la Corte d’appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, in data 25.03.2013, con la quale S.M. era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la declaratoria di interdizione legale durante l’espiazione della pena per il reato di rapina aggravata in concorso ai danni di istituto di credito (nella sentenza di secondo grado veniva altresì revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso al S. con sentenza del Tribunale di Lamezia Terme in data 19.10.2005, irrevocabile in data 04.03.2007).
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di S.M. , viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
– inosservanza del disposto dell’art. 360 cod. proc. pen. nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso che l’attività di estrapolazione di immagini dal sistema di videosorveglianza costituisca un accertamento tecnico irripetibile (primo motivo);
– illogicità della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso il riconoscimento del vincolo della continuazione tra l’impugnato provvedimento e la sentenza emessa in data 15.12.2009 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Mantova.

Considerato in diritto 

1. Il ricorso, con riferimento ad entrambi i motivi di doglianza proposti, è infondato e, come tale, va respinto.
2. Con il primo motivo, il ricorrente reitera l’eccezione di inutilizzabilità delle immagini acquisite attraverso l’attività di estrapolazione compiuta sui sistemi di video-sorveglianza esistenti presso gli istituti di credito Credem di Sassuolo e Mantovabanca di XXXXXXX, trattandosi – a suo dire – di accertamento tecnico irripetibile espletato in difformità delle garanzie difensive sancite dal codice di rito.
2.1. La Corte d’appello ha ritenuto infondata la doglianza difensiva riconoscendo come l’attività si fosse risolta “… in una mera operazione materiale di copiatura, ovvero di trasposizione delle immagini registrate su supporti magnetici, che non ha comportato nessuna attività interpretativa o rielaborativa… e neppure alcuna compromissione dei fotogrammi originali registrati nei sistemi di video-sorveglianza degli istituti di credito, sicché… non è dato comprendere per quale ragione tale accertamento di polizia giudiziaria debba essere ritenuto irripetibile…”.
2.2. Assume il ricorrente come la Corte territoriale, a supporto di tale assunto, abbia fatto riferimento ad un precedente giurisprudenziale (Sez. I, sent. n. 23035/2009) del tutto inconferente in quanto attinente ad ipotesi di “stampa di un qualsiasi documento redatto su supporto informatico” per nulla assimilabile a quella di estrapolazione di immagini da sistemi di videosorveglianza.
3. Rileva il Collegio come, sulla base dell’articolo 234 cod. proc. pen., comma 1 (che prevede espressamente l’acquisizione di documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante fotografia, cinematografia, fonografia o altro), la videoregistrazione contenente la rappresentazione di un fatto va ritenuta prova documentale avente requisiti particolari, trattandosi di un documento figurativo non caratterizzato, cioè, dalla scrittura, bensì di norma dalle immagini del tipo testimoniale, in quanto contenente la descrizione testimonianza di un fatto, e diretto perché da la descrizione immediata degli avvenimenti.
3.1. La videoregistrazione, quindi, non essendo una scrittura privata, non è soggetta ai fini dell’utilizzazione processuale alle regole imposte dall’art. 2702 cod. civ., onde non necessita di sottoscrizione, mentre la sua autenticità (correlazione filmato-mezzo di registrazione, individuazione modalità d’uso dell’apparecchio, tempi e luoghi delle riprese, assenza di tagli o manipolazioni, ecc.) deve essere invece accertata caso per caso (Sez. 5, sent. n. 10309 del 18/10/1993, dep. 15/11/1993, Fumero).
3.2. Altro, e tutt’affatto diverso, problema è distinguere, nell’ambito delle operazioni tecniche da compiere, cosa debba intendersi per “rilievi” di cui all’art. 354 cod. proc. pen. e cosa si configuri invece come “accertamento”. A tal riguardo, rientrano nei rilievi tecnici tutte le attività materiali che, pur richiedendo un grado (più o meno elevato) di capacità tecnica, non comportano la valutazione critica dei risultati di tali attività (si pensi ad esempio al sopralluogo in una scena criminis); rientrano, invece, nella categoria degli accertamenti tecnici, in quanto frutto di elaborazione critica, l’estrapolazione di fotogrammi non solo a livello frame (fotogramma) ma anche a livello campo da un supporto ed il successivo raffronto di questi con le fotografie di determinati soggetti al fine di evidenziare eventuali affinità e/o compatibilità (Sez. 2, sent. n. 4523 del 10/11/1992, dep. 27/11/1992, P.M. in proc. Arena ed altro; del tutto consequenziale è poi la questione relativa all’analisi del nastro magnetico, ed in particolare se l’esame si configuri come accertamento ripetibile o non ripetibile per una corretta formalizzazione dell’atto al fine della utilizzabilità in dibattimento e se detto esame possa essere eseguito su una copia del filmato in reperto).
3.3. La Suprema Corte ha, inoltre, affrontato anche il tema della validità scientifica dei risultati di una consulenza o perizia tecnica affermando che il giudice ha l’onere di verificare la validità scientifica dei criteri e dei metodi d’indagine utilizzati allorché essi si presentino come nuovi e sperimentali, e perciò non sottoposti al vaglio di una pluralità di casi ed al confronto critico tra gli esperti del settore, sì da non potersi considerare ancora acquisiti al patrimonio della comunità scientifica (Sez. 2, sent. n. 2751 del 16/04/1997, dep. 11/08/1997 P.M. in proc. Vezzoni).
3.4. Fermo quanto precede, volendo procedere ad una catalogazione, va evidenziato come la prova da filmato utilizzata a fini di giustizia ricada, essenzialmente, in tre categorie:
– a scopo illustrativo: sono i video che mostrano o presentano situazioni non altrimenti comprensibili per un collegio giudicante (tipico esempio: ripresa della scena del crimine, ricostruzione bi o tridimensionale di un evento senza i sospettati);
– a scopo documentale: sono i video che riprendono fasi temporalmente antecedenti all’interrogatorio di un testimone o di un sospettato;
– a scopo di sorveglianza: sono i video registrati da telecamere costituenti sistemi di controllo di obiettivi sensibili, accessi, zone di interesse militare, luoghi aperti al pubblico.
4. In tema di documenti, l’art. 234 cod. proc. pen. richiede che vengano acquisiti in originale, potendosi acquisire copia solo quando l’originale non è recuperabile; poiché, tuttavia, l’attuale codice di
procedura penale non ha accolto il principio della tipicità dei mezzi di prova (tant’è che l’art. 189 cod. proc. pen. si occupa espressamente de “le prove non disciplinate dalla legge”), il giudice può ben utilizzare quale elemento di prova anche la copia di un documento, purché idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti (cfr., Sez. 5, sent. n. 10309/1993, cit.). Riguardo alla natura dell’atto, tale operazione, così come la successiva estrapolazione di immagini, viene considerata ripetibile.
E, la Suprema Corte ha già avuto modo di evidenziare la ritualità, ex art. 234 cod. proc. pen., dell’utilizzazione di fotografie estratte da video riprese eseguite dalla polizia giudiziaria (queste ultime ritualmente acquisite al dibattimento), non sussistendo alcuna disposizione normativa che prescriva l’esecuzione di particolari incombenti per l’estrapolazione di singole foto dalla videoregistrazione eseguita (cfr. in tal senso, Sez. 4, sent. n. 1344 del 13/12/1995, dep. 06/02/1996, Petrangeli, Rv. 204058), ma dovendosi considerare questa nient’altro che alla stregua di una operazione materiale volta a consentire una più diretta e adeguata lettura di un segmento del documento già acquisito, inidonea di per sé a alternarne o comprometterne il contenuto probatorio (cfr., da ultimo, Sez. 4, sent. n. 22397 del 07/05/2015, dep. 27/05/2015, Balabes).
Sotto questo aspetto, la conclusione della Corte d’appello, che ha ritenuto che l’attività in questione si sia risolta in una mera operazione materiale di “copiatura” o – meglio – di una semplice trasposizione di immagini registrati su supporto magnetici che, come tale “non ha comportato nessuna attività interpretativa o rielaborativa delle stesse e neppure alcuna compromissione dei fotogrammi originali registrati nei sistemi di video-sorveglianza degli istituti di credito”, appare del tutto congrua e pienamente conforme agli orientamenti della giurisprudenza che – come si è detto – ritengono l’accertamento di polizia giudiziaria in parola come assolutamente ripetibile.
5. Infondato è anche il secondo motivo di doglianza.
Con lo stesso il ricorrente ha evidenziato l’illogicità della sentenza d’appello che aveva negato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli già giudicati con sentenza del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Modena in data 15.12.2009 (per fatti commessi in Sassuolo sette mesi dopo quelli oggetto del presente procedimento), in presenza di condotte di rapina commesse con modalità assolutamente analoghe.
In particolare, si censura la decisione impugnata sotto entrambi i profili valutati, e segnatamente da un lato per la ritenuta mancanza di elementi sufficienti per ritenere entrambi gli episodi espressione di un identico disegno criminoso e, dall’altro, per la riconosciuta tardività della richiesta non avendo la parte formalizzato la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione avanti al giudice di primo grado. Trattasi di valutazioni assolutamente incensurabili in sede di legittimità: sotto il primo profilo, la richiesta è inammissibile per tardività, in presenza di un giudicato formatosi in epoca certamente precedente al giudizio di primo grado, circostanza che, pertanto, avrebbe consentito alla parte di documentare già al primo giudice l’esistenza del “precedente” onde consentire al medesimo di pronunciarsi sull’esistenza o meno della dedotta unicità del disegno criminoso; sotto il secondo, si è in presenza di valutazione di merito che esprime una valutazione in fatto del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici.
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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