La compensazione impropria o atecnica
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La compensazione impropria o atecnica

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14156.

La compensazione impropria o atecnica sussiste quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico rapporto e - diversamente dalla compensazione "propria" di cui agli articoli 1241 e seguenti del Cc, che presuppone autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti (i quali si estinguono per quantità corrispondenti fin dal momento in cui vengono a coesistere) - dà luogo a un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. Questa compensazione impropria, pur potendo generare un risultato analogo a quello della compensazione propria, non è soggetta alla disciplina tipica - sia processuale sia sostanziale - della compensazione regolata dagli articoli 1241 e seguenti del Cc e il giudice può peraltro procedere all'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. L'operatività della compensazione, quindi, presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti, sicché tale istituto non trova applicazione in presenza di obbligazioni scaturenti dal medesimo rapporto giuridico, ancorché complesso, o da rapporti accessori: in questi casi ha invece luogo il diverso fenomeno della cosiddetta compensazione impropria o atecnica, il qual si risole in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare ed avere, come tale sottratto alla applicazione delle compensazione vera a propria.

Nel procedimento per l’attribuzione giudiziale del cognome
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Nel procedimento per l’attribuzione giudiziale del cognome

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14121.

Nel procedimento per l'attribuzione giudiziale del cognome, trovando applicazione il principio di prossimità, è territorialmente competente il giudice del luogo di residenza del minore, in quanto maggiormente idoneo a valutare le sue esigenze, non solo per lo stretto collegamento con il luogo in cui si trova il centro degli affetti, degli interessi e delle relazioni dello stesso, ma anche per la possibilità di procedere in qualsiasi momento al suo ascolto, adempimento imprescindibile in tutti i procedimenti che lo riguardano.

Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
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Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14167.

La presunzione di rinunzia prevista dall'articolo 346 del Cpc riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, peraltro, non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall'articolo 359 del Cpc. In osservanza del principio di specificità dei motivi di gravame, in particolare, la riproposizione delle istanze istruttorie in appello deve essere specifica, dovendo la parte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, riprodurre nel suo atto di costituzione in appello le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, essendo inammissibile una riproposizione generica con rinvio agli atti del procedimento di primo grado.

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L’impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l’impugnazione differita è inammissibile

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|21 maggio 2024| n. 14113.

L'impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l'impugnazione differita è inammissibile, ma non preclude, dopo la sentenza definitiva, l'esercizio del potere di impugnare anche quella non definitiva.

Il soggetto successore a titolo universale ed il ricorso per cassazione 
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Il soggetto successore a titolo universale ed il ricorso per cassazione 

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 14005.

Il soggetto che abbia proposto impugnazione con ricorso per cassazione nell'asserita qualità di successore, a titolo universale, di colui che era stato parte nel precedente grado di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam, per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma è altresì tenuto, a pena d'inammissibilità, a fornire la prova, con riscontri documentali - la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio, è rilevabile d'ufficio - delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla successione nel processo ai sensi dell'articolo 110 del Cpc. In difetto di tale prova resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto ad agire, il cui onere incombe ex articolo 2697 del Cc sulla parte che tale diritto eserciti

Il ricorrente per cassazione e la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale
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Il ricorrente per cassazione e la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 14027.

Il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 e seguenti del Cc, non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. Al riguardo, inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra.

La mancata riproposizione nelle conclusioni dell’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado non ne comporta la tacita rinuncia
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La mancata riproposizione nelle conclusioni dell’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado non ne comporta la tacita rinuncia

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 13904.

La mancata riproposizione, nelle conclusioni formalmente rassegnate nell'atto di costituzione in appello, dell'eccezione di prescrizione sollevata in primo grado, non ne comporta la tacita rinuncia, ove, in base al tenore complessivo dell'atto, la pronuncia richiesta presupponga necessariamente l'esame dell'eccezione predetta, poiché essa ha natura di eccezione di merito con funzione estintiva della domanda.

Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato
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Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza quale eccezione in senso lato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2024| n. 13921.

In caso di sinistro stradale, l'eccezione circa il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza è da considerare eccezione in senso lato, giacché configura proprio una cooperazione nel fatto colposo, incidendo sul decorso causale. Viene, dunque, al riguardo, in rilievo l'articolo 1227, comma 1, del Cc (l'allegazione della cooperazione colposa della vittima nell'evento dannoso, pertanto, non costituisce eccezione in senso stretto, bensì mera difesa). Da tanto discende, dunque, che una volta che il dato fattuale inerente alla cooperazione colposa del creditore abbia legittimamente fatto ingresso nel thema decidendum (e nel thema probandum) nel giudizio di primo grado, esso ben può essere valutato dal giudice anche d'ufficio.

Inammissibile la revocazione delle sentenze della Cassazione per errore di fatto che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa
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Inammissibile la revocazione delle sentenze della Cassazione per errore di fatto che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14094.

Non sono suscettibili di revocazione le sentenze della Cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa, atti che, come tali, essa abbia dovuto necessariamente percepire nel loro significato e nella loro consistenza, poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio. In particolare, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell'errore revocatorio di cui all'articolo 391 bis del Cpc presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull'affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione.

Revisione dell’assegno di divorzio e solo la valutazione dell’incidenza dei fatti nuovi sulla complessiva condizione delle parti
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Revisione dell’assegno di divorzio e solo la valutazione dell’incidenza dei fatti nuovi sulla complessiva condizione delle parti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14176.

In caso di giudizio di revisione dell'assegno di divorzio, non si attribuisce ex novo un assegno divorzile, diritto già affermato nella precedente statuizione giudiziale, ma si valuta solo l'incidenza dei fatti nuovi sulla complessiva condizione delle parti. Segnatamente, nel giudizio di revisione il giudice deve valutare se detti fatti nuovi giustifichino e in che misura la modifica delle condizioni di divorzio. Al riguardo, la sentenza di divorzio, in relazione alle statuizioni di carattere patrimoniale in essa contenute, passa in cosa giudicata rebus sic stantibus. Tuttavia, la sopravvenienza di fatti nuovi, successivi alla sentenza di divorzio, non è di per sé idonea ad incidere direttamente ed immediatamente sulle statuizioni di ordine economico da essa recate e a determinarne automaticamente la modifica, essendo al contrario necessario che i giustificati motivi sopravvenuti siano esaminati, ai sensi dell'articolo 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, dal giudice di tale norma previsto, e che questi, valutati detti fatti, rimodelli, in relazione alla nuova situazione, ricorrendone le condizioni di legge, le precedenti statuizioni.