Sequestro preventivo per il reato di omesso versamento Iva e beni del legale rappresentante

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 24 gennaio 2019, n. 3591.

La massima estrapolata:

Ai fini del sequestro preventivo per il reato di omesso versamento Iva non è necessaria la preliminare ricerca di disponibilità in capo alla società, se la difesa ha evidenziato che l’inadempimento è stato causato dallo stato di crisi di liquidità in cui si trovava l’ente. È corretto, infatti, ritenere che in simili ipotesi, la società non avesse alcuna disponibilità da sequestrare con la conseguenza che è corretto sequestrare i beni del legale rappresentante.

Sentenza 24 gennaio 2019, n. 3591

Data udienza 20 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo;
nei confronti di:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del Tribunale ordinario di Arezzo del 4 maggio 2018;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. TOCCI Stefano, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Arezzo, con ordinanza emessa in data 4 maggio 2018, ha accolto la richiesta di riesame, presentata da (OMISSIS), avente ad oggetto il decreto di sequestro preventivo disposto – a seguito di richiesta del locale Pm del 23 febbraio 2018 – dal Gip presso il predetto Tribunale in data 6 marzo 2018 nel corso delle indagini a carico della (OMISSIS) per la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, da lei realizzata relativamente all’anno di imposta 2013, secondo la ipotesi accusatoria, in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) Srl, e, quindi, eseguito, sino alla concorrenza di Euro 249.222,00, sui beni personali della (OMISSIS).
Nell’accogliere il ricorso il Tribunale, rigettati gli altri motivi di impugnazione presentati dalla indagata, ha rilevato che il sequestro in questione, avente la caratteristica di essere finalizzato alla confisca per equivalente del profitto riveniente dalla commissione del reato in questione, era stato eseguito sui beni personali della indagata senza che sia stata dapprima verificata la disponibilita’ in capo alla persona giuridica’ che si sarebbe immediatamente avvantaggiata della commissione del reato del profitto in tal modo conseguito onde potere procedere, in prima battuta, al sequestro finalizzato alla confisca diretta.
Ha, altresi’, osservato il Tribunale che nel provvedimento con il quale e’ stato disposto il sequestro dei beni della (OMISSIS) non sono neppure stati indicati i motivi per i quali si e’ ritenuto impossibile procedere al sequestro diretto nei confronti dei beni della societa’, ne’ e’ stata operata una valutazione sulla consistenza del patrimonio della societa’ tale da far ritenere impossibile la esecuzione del sequestro sui beni della societa’ stessa.
Avverso il predetto provvedimento ha interposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, deducendo la violazione di legge, per avere il Tribunale fatto erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, nel ritenere che gravi sul Pm l’onere probatorio volto a dimostrare la insussistenza nel patrimonio della impresa che si e’ giovata della omissione tributaria di beni costituenti il profitto del reato in ipotesi commesso dal suo legale rappresentante; ad avviso del ricorrente, infatti, sul Pm incombe una generico dovere di verifica della incapienza patrimoniale della impresa in questione, verifica eseguita allo stato degli atti ed in assenza di specifici accertamenti, competendo, semmai, al soggetto direttamente attinto dal provvedimento provare la esistenza, invece, nel patrimonio della impresa del profitto riveniente dal reato.
Con atto depositato in data 4 settembre 2018 presso la cancelleria della III Sezione penale di questa suprema Corte la indagata, assistita dal proprio legale di fiducia presentata una memoria con la quale deduceva la inammissibilita’ o comunque la infondatezza della impugnazione proposta dal Procuratore della Repubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato e, pertanto, il provvedimento impugnato deve essere annullato.
Esaminando la ordinanza impugnata e’ agevole rilevare che il Tribunale di Arezzo ha accolto la richiesta di riesame in quanto il decreto di sequestro per equivalente non e’ stato preceduto dal sequestro diretto dei beni di cui la persona giuridica, diretta beneficiaria degli effetti dell’omesso versamento delle imposte, ha la disponibilita’ ne’ sono stati forniti dal Pm richiedente ovvero dal Gip disponente elementi onde dimostrare la inutilita’, per incapienza del patrimonio della societa’, del preventivo esperimento del sequestro diretto.
Osserva il Collegio che in tal modo il Tribunale del riesame ha, pero’, fatto cattivo governo dei principi regolatori della materia, per come gli stessi sono stati, in diverse occasioni, declinati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Infatti, premesso che in linea di principio – laddove si indaghi per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una societa’ commerciale il quale abbia operato in tale sua qualita’ e, pertanto, avvantaggiando in prima battuta il soggetto impersonale da lui amministrato – puo’ essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in danno del soggetto persona fisica allorche’, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sulla condizione patrimoniale della persona giuridica, sia risultato impossibile il sequestro diretto del profitto del reato rinvenibile presso l’ente che ha immediatamente tratto vantaggio dalla commissione del reato (Corte di cassazione, Sezione 4 penale, 7 marzo 2018, n. 10418), deve, tuttavia, osservarsi che la verifica di tale impossibilita’ non deve comportare la preventiva infruttuosa “escussione” del patrimonio della societa’ in questione, essendo sufficiente la esistenza di indicazioni logicamente contrarie alla affermazione della disponibilita’ di beni in capo alla persona giuridica (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 23 giugno 2017, n. 31450), non essendo tenuta la pubblica accusa ad una preventiva ricerca di liquidita’ ovvero di altri cespiti riferibili alla persona giuridica, ove, ex actis, emerga, sia pure in termini deduttivi e non materialmente accertati, una situazione di incapienza del patrimonio sociale (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 11 febbraio 2015, n. 6205).
In una situazione tale sara’ onere del soggetto indagato, inciso dalla misura cautelare reale, laddove voglia liberarsi dal vincolo in tal modo gravante sui suoi beni, indicare, in sede di impugnazione della misura in questione, l’esistenza e la consistenza di beni patrimoniali, riferibili alla persona giuridica, sui quali imporre, ricorrendone i presupposti, il sequestro nella forma diretta (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 28 settembre 2016, n. 40362).
Nel caso ora in esame e’ risultato non solamente che il Pm, prima di richiedere l’emissione della misura cautelare in danno della (OMISSIS), aveva verificato la assenza di intestazioni di beni immobili ovvero di beni mobili registrati in capo alla societa’ legalmente rappresentata dalla indagata, ma e’ anche emerso che, onde giustificare le inadempienze tributaria a lei, nella ricordata qualita’, attribuite,la (OMISSIS) aveva fatto riferimento alla impossibilita’ per lei di fare fronte ai carichi fiscali riferiti alla societa’ da lei amministrata stante la “gravissima crisi aziendale e di liquidita’ in cui si e'(ra) venuta a trovare la (OMISSIS)”, tanto che, dato il forte passivo finanziario su di essa gravante, la stessa era stata dapprima posta in liquidazione e poi aveva fatto richiesta di ammissione al concordato preventivo.
Di tutti questi elementi, fortemente sintomatici della inutilita’ – stante la altamente verosimile inesistenza di beni patrimoniali direttamente riferibili alla (OMISSIS) – del preventivo tentativo di sequestro, finalizzato alla confisca diretta presso la predetta societa’, dell’ipotizzato profitto del reato per il quale si indaga, il Tribunale non ha fatto alcun motto nella ordinanza impugnata, essendosi limitato ad affermare la necessita’ della preventiva verifica della impossibilita’ del sequestro diretto, omettendo del tutto di valutare se nella occasione siffatta verifica poteva considerarsi essere stata eseguita.
In tal modo, pero’, il Tribunale aretino ha fatto evidentemente cattivo governo dei principi che disciplinano la materia, subordinando la possibilita’ di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ad una condizione procedimentale, la preventiva puntuale e capillare diretta verifica della incapienza del patrimonio della societa’ beneficiaria del reato per il quale si indaga che, invece, non e’ richiesta dalla pertinente normativa, come interpretata da questa Corte.
L’ordinanza impugnata deve, pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Arezzo che, in diversa composizione personale, riesaminera’, alla luce dei principi esposti, la richiesta di riesame presentata da (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo emesso nei suoi confronti dal Gip del medesimo Tribunale in data 6 marzo 2018.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Arezzo per nuovo esame.

Avv. Renato D’Isa

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