Rischio di confusione fra segni distintivi similari: l’apprezzamento del giudice

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 26000.

La massima estrapolata:

L’apprezzamento del giudice del merito sul rischio di confusione fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica.

Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 26000

Data udienza 8 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 1161/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio e quale titolare ditta individuale (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1776/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 15/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2018 dal cons. TRICOMI LAURA.

FATTO E DIRITTO

RITENUTO CHE:
La (OMISSIS) SPA (di seguito la societa’) conveniva in giudizio (OMISSIS) lamentando l’avvenuta registrazione e l’utilizzazione da parte del convenuto di un marchio del tutto simile al proprio e ne chiedeva la dichiarazione di nullita’, unitamente all’accertamento della contraffazione con condanna al risarcimento dei danni, sia per il rischio di confusione che per violazione della disciplina del marchio rinomato.
Le domande venivano respinte in primo grado, con sentenza confermata in appello.
La Corte di appello di Firenze, pur avendo affermato che la comparazione dei marchi va compiuta in via globale e sintetica e che la tutela dei marchi forti (frutto di fantasia e privi di aderenza concettuale al prodotto) deve essere significativamente incisiva, ha escluso la confondibilita’ tra il marchio (OMISSIS) (due (OMISSIS) contrapposte in senso convergente) con il marchio registrato dallo (OMISSIS) (due (OMISSIS) contrapposte in senso divergente) sulla considerazione che quest’ultimo, pur evocando sfacciatamente il simbolo della (OMISSIS), ne richiamava le fattezze impiegando lettere diverse e con un’impronta generale non graficamente sovrapponibile, con varianti che non potevano sfuggire ai clienti della rinomata casa; ha quindi osservato che i prodotti dello (OMISSIS), non comparabili per qualita’, non erano intesi a proporsi come “(OMISSIS)”, ma “tipo (OMISSIS)”, sfruttando la celebrita’ altrui, in tal modo esaltandola e non gia’ svilendola.
La societa’ ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con due mezzi, corredati da memoria; l’intimato non ha svolto difese.
Il ricorso e’ stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c., e articolo 380 bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli articoli 12.1 d) e 20.1 b) del c.p.i. e 9.1 b) del Reg. CE 207/2009 (gia’ n.40/94) afferente la denuncia del rischio di confusione tra il preesistente marchio (OMISSIS) ed il posteriore marchio registrato dalla (OMISSIS).
Sulla premessa che la Corte di appello ha affrontato congiuntamente la denuncia di nullita’ del marchio e quella di contraffazione per rischio confusivo riconoscendo che il marchio (OMISSIS) e’ “forte, rinomato e famoso” (fol. 4 della sentenza), la ricorrente sostiene che la decisione si pone in contrasto con i principi, elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che devono presiedere il giudizio di confondibilita’, giudizio rilevante sia ai fini dell’accertamento della nullita’ del marchio posteriore (articolo 12.1 d) cit.), sia della contraffazione di marchio nazionale o comunitario (articolo 20.1 b) cit. e articolo 9.1 b) cit.). In proposito critica la statuizione laddove, pur avendo rimarcato la forza e la rinomanza del marchio, ha tuttavia ritenuto che le varianti “anche minime” (fol. 6 della sent.) erano sufficienti a far escludere la confondibilita’, riducendo in tal modo l’ambito di tutela.
1.2. Il motivo e’ fondato.
1.3. Le norme invocate prevedono che la tutela del marchio registrato, nelle forme ivi previste concernenti l’accertamento della nullita’ (articolo 12 cit.) o della contraffazione (articolo 20 cit.), abbia luogo qualora la doglianza abbia avuto riguardo ad un “segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini”, laddove “a causa della identita’ o somiglianza fra i segni e dell’identita’ o affinita’ fra i prodotti o servizi” possa determinarsi “un rischio di confusione per il pubblico”, che puo’ consistere “anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
1.3. Ora, premesso che nel caso di specie e’ indiscusso, in quanto giudizialmente accertato dalla stessa Corte territoriale, che il marchio registrato in questione e’ “forte”, lo stesso risulta assistito dalla piu’ rigorosa tutela, connotata da una maggiore incisivita’ che rende illegittime le variazioni anche originali che, comunque, lasciano intatto il nucleo ideologico che riassume l’attitudine individualizzante del segno (Cass. n.5091/2000, Cass. n.1413/1995, Cass. n.5924/1996), giacche’ anche lievi modificazioni, che il marchio debole deve invece tollerare, condurrebbero al risultato di pregiudicare il risultato conseguibile con l’uso del marchio.
1.4. Cio’ detto va ricordato che l’apprezzamento del giudice del merito sul rischio di confusione fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Cass. n.15840/2015; Cass. n.3118/2015; Cass. n.1906/2010; Cass. n.4405/2006; Cass. n. 21086/2005), vale a dire “con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilita’ di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro” (Cass. n. 4405/2006).
In proposito, secondo costante orientamento di questa Corte, se il segno e’ privo di aderenza concettuale con i prodotti contraddistinti e, quindi, e’ forte, le “variazioni che lasciano intatta l’identita’ del nucleo ideologico che riassume la attitudine individualizzante del segno debbono ritenersi inidonee ad escludere la confondibilita’”, occorrendo, a tal fine, sempre verificare se vi sia stata “appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore, con riproduzione od imitazione di esso nella parte atta ad orientare le scelte dei potenziali acquirenti” (Cass. n. 18920/2004).
1.5. Inoltre l’apprezzamento deve tenere conto che il rischio di confusione deve essere l’effetto congiunto sia della somiglianza tra i segni, il marchio anteriore ed il segno successivo, sia della affinita’ o identita’ tra i prodotti o i servizi designati (cfr. Cass. n. 11031/2016, ove si parla di “interdipendenza tra somiglianza dei segni e quella dei prodotti contrassegnati”; v. anche Cass. n. 10218/2009), in riferimento al consumatore di media intelligenza e capacita’ ma pur sempre tenendo conto della specifica clientela cui il prodotto o servizio e’ destinato (Cass. n. 18920/2004; Cass. n. 24909/2008; Cass. n. 11031/2016) e che la valutazione riferita al rischio di associazione “non dipende unicamente dal grado di somiglianza tra il marchio e il segno, ma anche dalla facilita’ con cui il segno puo’ essere associato al marchio in considerazione, in particolare, della notorieta’ di quest’ultimo sul mercato. Infatti, piu’ il marchio e’ noto, maggiore sara’ il numero di operatori che vorranno utilizzare segni simili. La presenza sul mercato di una grande quantita’ di prodotti coperti da segni simili potrebbe ledere il marchio in quanto rischia di diminuire il suo carattere distintivo e di mettere in pericolo la sua funzione essenziale, che e’ di garantire ai consumatori la provenienza dei prodotti di cui trattasi” (Corte di Giustizia, sentenza 10/4/2008 Adidas AG e Adidas Benelux BV nella causa C-102/07, punto 35-36).
1.6. Pertanto il giudice dei merito che constata – come nel caso – una somiglianza tra un marchio forte ed un altro sospettato di contraffazione deve, per escludere l’illecito, accertare che la somiglianza non riguardi il nucleo ideologico caratterizzante il messaggio, valutare la sussistenza o meno dell’affinita’ tra i prodotti – che nel caso di specie e’ implicitamente accertata, o, quanto meno incontestata- ed apprezzare il rischio di associazione.
1.7. Nella sentenza in esame al di la’ di alcune mere asserzioni peraltro anche confliggenti, laddove si parla in una occasione di “varianti significative” tra i due marchi (fol.4) e nel prosieguo di “varianti… minime” (fol. 6) – tale accertamento, conseguente alla corretta applicazione della normativa in tema di marchi nazionali e comunitari come interpretata dalla giurisprudenza di legittimita’, pur richiamata, e’ mancato nella sua complessiva articolazione e, soprattutto, non ha costituito il parametro decisionale utilizzato per la statuizione.
Invero nella sentenza impugnata e’ stato dato decisivo ingresso a considerazioni circa la mera volonta’ dello (OMISSIS) di ispirarsi al marchio in questione, nella consapevolezza di offrire prodotti per valore e qualita’ sicuramente inferiori, senza illustrare con specifico riferimento alla fattispecie in esame ed ai criteri prima indicati per quale ragione tale condotta non potesse comunque integrare il rischio di confusione e di associazione nei consumatori.
1.8. Infine risulta irrilevante l’ampio excursus riferito ai marchi parodistici, perche’ del tutto estraneo al thema decidendum, non essendo emerso od accertato dal giudice del merito alcun intento parodistico nel marchio di cui si discute.
1.9. Ne consegue che la sentenza va cassata sul punto con rinvio per il riesame della questione alla luce dei principi prima ricordati sub 1.4-1.6.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli articoli 12.1 e) e 20.1 c) del c.p.i. e 9.1 c) del Reg. CE 207/2009 (gia’ n.40/94), lamentando la sconfessione della disciplina nazionale e comunitaria a tutela del marchio che gode di rinomanza.
2.2. Anche questo motivo e’ fondato.
2.3. Osserva la Corte che gli attuali articoli 12.1 e) e 20.1 c) del c.p.i. hanno dato attuazione agli articoli 4, n. 4, lettera a), e 5, n. 2 della Direttiva 89/104/CEE, (Direttiva oggi sostituita dalla Direttiva 2008/95/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 che, per quanto interessa, non presenta modifiche), che in termini sostanzialmente identici prevedevano la possibile tutela, a discrezione degli Stati membri, quando “il marchio di impresa sia identico o simile ad un marchio di impresa nazionale anteriore ai sensi del paragrafo 2 e qualora esso sia destinato ad essere registrato o sia stato registrato per prodotti o servizi i quali non siano simili a quelli per cui e’ registrato il marchio di impresa anteriore, quando il marchio di impresa anteriore gode di notorieta’ nello Stato membro in questione e l’uso del marchio di impresa successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio di impresa anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi” (cosi’ articolo 4, n. 4, lettera a) cit.).
Le ricordate disposizioni nazionali, cosi’ come la norma del Regolamento sul marchio comunitario, assicurano la tutela ultramerceologica per i marchi che godono di rinomanza utilizzando sostanzialmente una medesima previsione che assicura la tutela nel caso di “un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi” (articolo 20.1 c) cit.).
2.4. Dalla lettura di queste disposizioni del c.p.i. e del Regolamento comunitario si evincono tre specifici profili comuni, che risultano autonomi e distinti rispetto alle fattispecie disciplinate dagli articoli 12.1 d) e 20.1 b) del c.p.i.: il primo riguarda l’oggetto della tutela, circoscritto al marchio registrato connotato dalla “rinomanza” o “notorieta’”; il secondo attiene ai presupposti necessari per accedere alla tutela, che risultano declinati in termini piu’ ristretti rispetto al giudizio sul rischio di confusione (v. sub 1.4./1.7.), atteso che, fermo l’accertamento circa la ricorrenza dell’identita’ o della somiglianza dei marchi contrapposti, l’apprezzamento resta poi del tutto sganciato dalla presenza o dall’assenza di affinita’ tra prodotti o servizi e dalla sussistenza o meno del rischio di associazione; il terzo riguarda invece i casi in cui questa specifica tutela e’ riconosciuta, giacche’ la stessa non e’ intesa ha preservare solo la funzione distintiva del marchio in se’, ma ad impedire che all’utilizzo da parte di terzi del marchio illecitamente contraffatto, consegua un indebito vantaggio che altri tragga dal suo carattere distintivo con agganciamento parassitario al marchio rinomato, ovvero un pregiudizio per il marchio rinomato sul piano della capacita’ distintiva o sul piano della rinomanza o notorieta’.
2.5. Considerato che nel caso in esame e’ stata accertata dalla Corte territoriale la notorieta’ e la rinomanza del marchio (OMISSIS) in questione, la decisione impugnata non risulta avere dato corretta applicazione alla disciplina in esame con riferimento ai restanti profili normativi, anche alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia in merito alla Direttiva 89/104/CEE, in particolare all’articolo 4, n. 4, lettera a), e articolo 5 n. 2, a cui le norme nazionali hanno dato conforme attuazione.
2.6. In premessa giova ricordare che e’ oramai acquisito che la protezione estesa consentita dalla Direttiva comunitaria per i marchi notori e/o rinomati va interpretata come riguardante non solo i marchi riferibili a prodotti non simili, ma anche quelli riferibili a prodotti simili (cfr. sentenza del 9/1/2003 Davidoff nella causa C292/00) – come peraltro esplicitamente previsto dal legislatore italiano – e che analoga interpretazione e’ stata applicata anche all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009 che disciplina il marchio comunitario (v., in tal senso, sentenza del 22/09/2011 Interflora e Interflora British Unit, nella causa C-323/09, punti 68 e 70; sentenza del 20/07/2017 Ornua Co-operative Ltd, nel procedimento C- 93/16, punti 50 e 51).
2.7. Va quindi osservato che la Corte di giustizia ha, altresi’, puntualizzato che la tutela dei marchi notori o rinomati e’ posta in termini sostanzialmente identici dall’articolo 4, n. 4, lettera a), e articolo 5, n. 2 della Direttiva 89/104/CEE (cfr. sentenza del 27/11/2008 Intel Corporation nella procedimento C-252/07), di guisa che le considerazioni svolte con riferimento ad una norma valgono anche per l’altra, anche con riferimento al prosieguo dell’esposizione, ed ha rimarcato che tali disposizioni mirano a conferire a questa tipologia di marchi una tutela piu’ ampia di quella prevista dall’articolo 4, n. 1, chiarendo alcuni importati profili interpretativi sui quali e’ opportuno soffermarsi.
2.8.1. Innanzi tutto, la condizione specifica di detta tutela e’ costituita da un uso ingiustificato del segno posteriore che trae o potrebbe trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio anteriore oppure che reca o potrebbe recare loro pregiudizio (v. sentenza 23/10/2003 Adidas-Salomon e Adidas Benelux, nella causa C-408/01 punto 27, nonche’ sentenza Adidas e Adidas Benelux 10/04/2008, nella causa C-102/07, punto 40).
2.8.2. Le violazioni contro le quali e’ assicurata detta tutela sono il pregiudizio al carattere distintivo, il pregiudizio alla notorieta’ e infine il vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorieta’ dello stesso del marchio anteriore (v. sentenza nella causa C-323/09, cit., punti 73 e ss.).
Segnatamente, il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio che gode di notorieta’, indicato anche con il termine di “diluizione”, si manifesta quando risulta indebolita la sua idoneita’ ad identificare i prodotti o i servizi per i quali e’ stato registrato; quindi, il pregiudizio arrecato alla notorieta’, designato anche con il termine di “corrosione”, si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile e’ usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso (v. sentenza 18/6/2009, L’Ore’al e a., nella causa C487/07, punti 39 e 40).
La nozione di “vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio”, detto anche “parassitismo”, va, invece ricollegato non al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile al marchio. Essa comprende, in particolare, il caso in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussista un palese sfruttamento parassitario nella scia del marchio che gode di notorieta’ (sentenza nella causa C487/07 cit., punto 41) senza che il titolare del marchio posteriore abbia dovuto operare sforzi propri in proposito e senza qualsivoglia remunerazione economica atta a compensare lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per crearlo e mantenerne l’immagine (v., in proposito, sentenza nella causa C-487/07 cit., punto 49).
2.8.3. E’ sufficiente che ricorra anche uno solo di questi tre tipi di violazione perche’ la disposizione vada applicata (sentenza nella causa C -252/07 cit., punti 27 -28).
2.8.4. La normativa in esame, in favore dei marchi notori, integra una tutela per la cui attuazione non e’ richiesta l’esistenza di rischio di confusione per il pubblico, contrariamente all’articolo 5, n. 1, lettera b), della Direttiva, destinato ad applicarsi solo quando questo rischio ricorra.
2.8.5. In particolare la condizione di somiglianza tra il marchio d’impresa notorio ed il segno richiesto, presuppone in particolare l’esistenza di elementi di analogia visiva, uditiva o concettuale e “I pregiudizi di cui all’articolo 5, n. 2, della direttiva, laddove si verifichino, sono la conseguenza di un certo grado di somiglianza tra il marchio d’impresa ed il segno, a causa del quale il pubblico interessato effettua un confronto tra il segno ed il marchio, vale a dire stabilisce un nesso tra gli stessi, se non addirittura li confonde. (v., in tal senso, sentenza 14 settembre 1999, causa C-375/97, General Motors, Racc. pag. 1-5421, punto 23). L’esistenza di un tale nesso, cosi’ come un rischio di confusione nell’ambito dell’articolo 5, n. 1, lettera b), della direttiva, dev’essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie (v., per il rischio di confusione, citate sentenze SABEL, punto 22, e Marca Mode, punto 40)” (sentenza nella causa C-408/01 cit., punti 29-30).
Se manca tale “nesso” nella mente del pubblico, l’uso del marchio posteriore non e’ idoneo a trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio anteriore o ad arrecare loro pregiudizio. Per contro, un tale nesso da solo non e’ sufficiente per concludere che ricorre una delle violazioni di cui all’articolo 4, n. 4, lettera a), della direttiva, le quali costituiscono, la condizione specifica per la tutela dei marchi notori prevista da tale disposizione. (sentenza nella causa C-252/07 cit., punti 31 e 32).
2.8.6. Sia il carattere distintivo che la notorieta’ o la rinomanza di un marchio devono essere valutati in funzione della percezione che ne ha il pubblico di riferimento, rappresentato dal consumatore medio dei prodotti o servizi per i quali quel marchio e’ stato registrato, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (quanto al carattere distintivo, v. sentenza 12 febbraio 2004, nella causa C-363/99, Koninklijke KPN Nederland, punto 34; quanto alla notorieta’, v., in tal senso, in tal senso, sentenza 14/9/1999 General Motors nella causa C-375/97, punto 24; da ultimo, sentenza nella causa C-252/07 cit., punto 34).
2.8.7. Quanto alla violazione costituita dal vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio anteriore, nella misura in cui cio’ che e’ vietato e’ il vantaggio che il titolare del segno posteriore potrebbe trarre dal marchio anteriore, detta violazione deve essere verificata avendo riguardo al consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio posteriore e’ stato registrato, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (sentenza nella causa C-252/07 cit., punto 36).
2.8.8. Quanto agli oneri probatori, e’ il titolare del segno anteriore a dover fornire la prova che l’uso del marchio posteriore “trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio di impresa anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi”, precisando che tale prova deve concernere l’esistenza o di una violazione effettiva ed attuale al suo marchio ai sensi dell’articolo 4, n. 4, lettera a), della direttiva o, quanto meno, di un rischio serio che tale violazione si produca in futuro, mentre spetta al titolare del segno o del marchio posteriore dimostrare di avere un giusto motivo per l’uso (sentenza nella causa C-252/07 cit., punto 37-39).
2.9. Questi principi interpretativi, elaborati dalla Corte di Giustizia, vanno applicati anche alla normativa nazionale invocata, che e’ frutto dell’attuazione conforme della Direttiva.
2.10. Nel caso in esame la Corte di appello non vi ha dato corretta applicazione. Invero la sentenza, laddove sembra valorizzare l’intento evocativo della celebre casa “(OMISSIS)” perseguito dallo (OMISSIS) con i suoi prodotti di pelletteria definiti “alla maniera di…”, trascura di valutare se ricorra il “nesso” nei termini prima precisati (v. sub 2.8.5.) e decisamente oblitera “che piu’ l’evocazione del marchio anteriore ad opera del marchio posteriore e’ immediata e forte, piu’ aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del marchio posteriore tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorieta’ del marchio anteriore o rechi loro pregiudizio”, (v. sentenza nella causa C-252/07 cit., punto 67; sentenza del 3/9/2015 Iron & Smith kft nella procedimento C-125/14, punto 33), e non procede alla concreta disamina delle emergenze processuali in relazione alle tre possibili violazioni, tutte oggetto della denuncia, secondo i criteri prima enunciati.
2.11. Pertanto, posto che la notorieta’ e rinomanza del marchio anteriore e’ indiscussa, la Corte territoriale in sede di rinvio dovra’ valutare in concreto la ricorrenza del “nesso”, cioe’ di un certo grado di somiglianza tra il marchio ed il segno, a causa del quale il pubblico interessato mette o puo’ mettere in relazione il segno ed il marchio, stabilendo appunto un collegamento tra gli stessi quand’anche non confondendoli, a cui va ricollegata l’applicazione della tutela del marchio rinomato e dovra’ quindi accertare – sulla base delle prove prodotte dal titolare del marchio che si ritiene pregiudicato – se nel caso specifico ricorra almeno una delle violazioni sanzionate, e cioe’ un pregiudizio alla distintivita’, ovvero un pregiudizio della rinomanza e notorieta’ del marchio, ovvero se vi sia stata il conseguimento, anche potenziale, di un indebito vantaggio connesso all’illegittimo uso del marchio posteriore, avuto sempre riguardo al pubblico di riferimento.
3.1. Conclusivamente, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione per il riesame delle riassunte questioni alla luce dei principi espressi, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso;
– Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

Avv. Renato D’Isa