Sequestro preventivo dei beni personali per reati tributari commessi dal legale rappresentante

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46714.

La massima estrapolata:

Quando si procede per reati tributari commessi da legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente.

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46714

Data udienza 28 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza dell’11/10/2017 del Tribunale del riesame di Verbania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Perelli Simone, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’11/10/2017, il Tribunale del riesame di Verbania rigettava il ricorso proposto da (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari in sede il 16/8/2017, cosi’ confermando il vincolo per equivalente sui beni dello stesso fino all’ammontare di 5,9 milioni di Euro, disposto con riguardo a plurimi delitti di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo – con unico motivo – l’inosservanza dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, come novellato dalla L. n. 47 del 2015. Il Tribunale del riesame avrebbe violato la norma indicata, atteso che – anziche’ annullare il provvedimento genetico per assenza di motivazione circa la possibile aggressione (diretta) dei beni sociali, prima di quella (per equivalente) dei beni del ricorrente – avrebbe integrato la motivazione stesa al riguardo dal primo Giudice; quel che, tuttavia, non sarebbe piu’ consentito dalla nuova lettera dell’articolo 309, comma 9, u.p., come modificata dalla citata L. n. 47 del 2015, che imporrebbe, in casi simili, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Osserva preliminarmente il Collegio che l’oggetto del presente gravame e’ costituito soltanto dalla questione di diritto annunciata in premessa, mentre nessuna censura il (OMISSIS) muove con riguardo al fumus boni iuris sotteso al provvedimento impugnato e, a monte, a quello impositivo del vincolo.
Cio’ premesso, il ricorrente contesta – quale intervento in se’, non nel merito – l’integrazione argomentativa che il Tribunale del riesame avrebbe compiuto rispetto al provvedimento genetico, sul presupposto che l’articolo 309 c.p.p., comma 9, ultimo periodo, nel testo novellato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, non consentirebbe piu’ l’esercizio di un tale potere; in particolare, a fronte di una motivazione assente, o meramente apparente come si lamenta nel caso di specie, il Tribunale del riesame si dovrebbe limitare ad annullare il provvedimento impugnato, senza poterlo in alcun modo “soccorrere” attraverso un’implementazione delle sue ragioni giustificatrici.
4. Ebbene, ritiene la Corte, in forza delle considerazioni che seguono, che un simile assunto non possa esser condiviso nei termini assoluti in cui e’ proposto.
5. Al riguardo, occorre in primo luogo richiamare il testo dell’articolo 309, comma 9 sopra citato, in materia di riesame delle misure cautelari personali, a mente del quale “il tribunale annulla il provvedimento se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”; di seguito, occorre riportare anche l’articolo 324 c.p.p., comma 7, in tema di riesame delle misure cautelari reali, in forza della cui prima parte – a fondamento del presente ricorso – “si applicano le disposizioni dell’articolo 309, commi 9, 9-bis e 10”. Cosi’ evidenziate le disposizioni normative di riferimento, osserva il Collegio che il raccordo esegetico tra le stesse, specie nell’ottica del carattere “statico” o “dinamico” del rinvio normativo da ultimo citato, e’ stato recentemente chiarito da un rilevante approdo dal Supremo Collegio di legittimita’, peraltro a cio’ sollecitato proprio da questa Terza sezione penale. In particolare, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 18953 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789) hanno affermato, per quanto qui interessa, che “il rinvio dell’articolo 324, comma 7, all’articolo 309 c.p.p., commi 9 e 9-bis comporta, per un verso, l’applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, l’applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonche’ degli elementi forniti dalla difesa”. Piu’ specificamente, le Sezioni Unite hanno chiarito come anche il tema delle esigenze cautelari debba essere oggetto di necessaria esposizione ed autonoma valutazione da parte della autorita’ giudiziaria che dispone il sequestro, pena la nullita’ della misura ablativa da rilevarsi a cura del tribunale del riesame, pur dovendosi registrare nel sistema penale la presenza di talune eccezioni a tale regola, riguardanti alcune ipotesi di sequestro che, invece, prescindono dalla motivazione sulle dette esigenze (come i sequestri probatori, taluni casi di sequestro per equivalente a carico dello stesso indagato, altre forme di sequestro finalizzate alla confisca obbligatoria come il sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., comma 2, il sequestro preventivo di beni a norma del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies) (in tal senso, successivamente, tra le altre, Sez. 5, n. 51900 del 20/10/2017, Lanza, Rv. 271413).
6. Tutto quanto premesso, condiviso e qui ribadito, evidenzia allora il Collegio l’infondatezza – gia’ in astratto – del gravame proposto dal (OMISSIS), con il quale si pretende di estendere la portata dei principi di diritto appena citati oltre i limiti fissati dal legislatore, per come interpretati dalla giurisprudenza; in particolare, il ricorrente introduce, tra gli elementi “che costituiscono il necessario fondamento” del provvedimento cautelare, anche la previa valutazione (con relativo percorso argomentativo) dell’eventuale insufficienza patrimoniale dell’ente, che – come da nota sentenza Gubert (Sez. U, n. 10561 del 30/1/2014, Rv. 258648) – giustifica l’imposizione della misura per equivalente sul patrimonio personale del legale rappresentante dell’ente.
7. Orbene, tale assunto e’ errato.
Come affermato proprio dalle Sezioni unite Gubert, infatti, e sempre nell’ambito di un raccordo semantico e funzionale tra l’articolo 309 c.p.p., comma 9 e articolo 324 c.p.p., comma 7, il riferimento – contenuto nella prima norma – alle “esigenze cautelari”, agli “indizi” ed agli “elementi forniti dalla difesa” ben puo’ esser esteso anche alla seconda, ossia “possono entrare a pieno titolo nella esposizione ed autonoma valutazione dei presupposti fondanti il titolo ablativo e quindi nel giudizio di controllo demandato, nella sua duplice modulazione, al tribunale del riesame”. Con ancor maggior precisione, lo stesso fondamentale arresto giurisprudenziale ha sottolineato che “quantomeno il sequestro preventivo e quello probatorio (per il sequestro conservativo vi e’ la peculiarita’ della necessaria precondizione del rinvio a giudizio), nel presupporre l’esplicitazione della sussistenza di un reato in concreto mediante la esposizione e la valutazione degli elementi in tal senso significativi, comportino, per l’autorita’ giudiziaria che li dispone, un percorso motivazionale che si discosta da quello sugli indizi, proprio delle misure personali, essenzialmente, e in taluni casi, sul punto della responsabilita’ dell’indagato, potendo essere, il sequestro, disposto anche nei confronti di terzi. Mentre quel percorso non puo’ che essere affine per quanto concerne il dovere di verifica – non piu’ concepibile in termini solo astratti – della compatibilita’ e congruita’ degli elementi addotti dalla accusa (e della parte privata ove esistenti) con la fattispecie penale oggetto di contestazione. Specularmente a quanto avviene in tema di riesame di misure personali, la verifica della esposizione e della autonoma valutazione di tali elementi, nell’ottica della possibile declaratoria di nullita’ del provvedimento in caso di mancanza, e’ dunque oggetto anche dei poteri del giudice del riesame in materia di sequestri, il quale e’ onerato del controllo sulla valutazione degli elementi forniti dalla difesa e delle esigenze cautelari entro i limiti nei quali tale requisito della motivazione sia richiesto alla autorita’ giudiziaria che adotta il provvedimento ablativo”. “Anche il tema delle esigenze cautelari non e’ dubbio che trovi riscontro tra i requisiti che possono divenire oggetto di necessaria esposizione ed autonoma valutazione da parte della autorita’ giudiziaria che dispone il sequestro, pena la nullita’ della misura ablativa da rilevarsi a cura del tribunale del riesame” (con esclusione delle ipotesi di sequestro che prescindono dalla motivazione su dette esigenze, come nel caso di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., comma 2, oppure il sequestro preventivo di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies”.
Per poi concludere, quindi, che, “diversamente, la regola e’ che la motivazione sulle dette esigenze e’ doverosa e, a seguito della novella, non piu’ integrabile dal tribunale del riesame neppure quando, pur esistente, non riveli pero’ i necessari caratteri di originalita’”.
8. Ecco dunque che tale principio di diritto, accolto anche da questo Collegio, non puo’ espandersi nel senso indicato dal ricorrente, ossia fino ad abbracciare un dato – la previa verifica della capienza del patrimonio sociale – che non costituisce affatto un indizio del reato contestato, ne’ contribuisce a verificare la sussumibilita’ della fattispecie storica in quella tipica, ne’, infine, attiene alla sussistenza e configurabilita’ delle esigenze cautelari che possono giustificare l’adozione della misura reale. Trattasi, infatti, di un presupposto – peraltro di creazione giurisprudenziale, non gia’ espressione di un dato normativo – che attiene soltanto alla “procedibilita’” del vincolo per equivalente su un soggetto diverso dalla persona giuridica, non anche ai suoi caratteri essenziali e costitutivi, come appena riportati, che soli – se assenti dalla motivazione, anche in termini di mera apparenza – impediscono al tribunale l’esercizio di un potere integrativo sul provvedimento genetico; in altri termini, la previa valutazione del patrimonio dell’ente non giustifica in se’ il sequestro preventivo, non integra o connota di questo un presupposto costitutivo ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., ma rappresenta soltanto un presupposto che ha lo scopo di legittimare l’adozione della misura (per equivalente) a danno della persona fisica, attesa l’incapienza del patrimonio sociale.
9. D’altronde, osserva la Corte, gia’ le citate Sezioni Unite Gubert hanno affermato che “il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo (corsivo dell’estensore) solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione”; negli stessi termini, la giurisprudenza successiva ha piu’ volte sostenuto che, “in tema di reati tributari, il pubblico ministero e’ legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della societa’ o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta” (tra le altre, Sez. 3, n. 35330 del 21/6/2016, Nardelli, Rv. 267649; Sez. 3, n. 41073 del 30/9/2015, Scognamiglio, Rv. 265028; Sez. 3, n. 1738 dell’11/11/2014, Bartolini, Rv. 261929).
10. Ad ulteriore conferma di quanto precede, merita poi richiamare l’indirizzo (per tutte, Sez. 3, 1/12/2017, Di Bernardo) a mente del quale le Sezioni Unite Gubert non specificano il “momento in cui deve esser compiuta la necessaria verifica della capienza del patrimonio sociale, ossia se nella fase della richiesta della misura, in quella genetica del vincolo od in quella esecutiva, purche’ comunque precedentemente all’apprensione dei beni dell’organo-persona fisica, in caso di esito negativo della verifica stessa; anche nel momento attuativo della misura, infatti, ben puo’ emergere l’impossibilita’ di aggredire per incapienza il compendio della persona giuridica, si’ da consentire l’esecuzione della misura su quanto nella disponibilita’ dell’indagato (sul punto, per tutte, Sez. 3, n. 40362 del 6/7/2016, D’Agostino, Rv. 268587, a mente della quale “l’impossibilita’ di ricorrere al sequestro in forma specifica e’ funzionale quando, esercitata l’azione cautelare, il pubblico ministero abbia chiesto al giudice il sequestro in forma specifica nei confronti della persona giuridica e quello per equivalente nei confronti della persona fisica imputata del reato tributario e disposta dal giudice tanto l’una, quanto l’altra forma di sequestro – non sia stato rintracciato presso la persona giuridica, in tutto o in parte, il profitto del reato”. esattamente come nel caso di specie).
Quanto appena riportato, dunque, conferma ulteriormente trattarsi – la previa verifica in oggetto – di un elemento non costitutivo del provvedimento genetico reale, ma solo attinente alla “possibilita’” di aggredire il bene della persona fisica, quale legale rappresentante dell’ente; al punto da poter esser verificato non soltanto al momento della richiesta o dell’adozione della misura, ma anche in quello della sua esecuzione. Dal che, gia’ in astratto, la legittimita’ dell’esercizio di un potere di integrazione motivazionale sul punto, da parte del Tribunale del riesame, poiche’ non incidente su quei caratteri essenziali dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, per come ritenuti applicabili alle misure cautelari reali dalle Sezioni Unite Capasso, alle quali solo si riferisce la sanzione espressa contenuta nella norma medesima (come da costante giurisprudenza sul punto. Per tutte, Sez. 5, n. 643 del 6/12/2017, Pohl, Rv. 271925, a mente della quale Anche a seguito delle modifiche apportate dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 all’articolo 309 c.p.p., comma 9, il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera nelle ipotesi di motivazione mancante sotto il profilo grafico, apparente o inesistente per inadeguatezza normativa).
11. Riportato tutto quanto precede in termini generali, osserva in ogni caso il Collegio che – con riguardo al caso di specie – nessun potere integrativo e’ stato in effetti esercitato dal Tribunale del riesame, il quale – contrariamente all’assunto difensivo – si e’ limitato ad esplicitare un dato gia’ presente nel provvedimento cautelare genetico. In particolare, l’ordinanza qui impugnata – a giustificazione dell’aggressione immediata del patrimonio personale dell’indagato – ha evidenziato che la societa’ strumento degli illeciti ( (OMISSIS) s.r.l.) risultava dichiarata fallita (in data 24/9/2015), del tutto priva di patrimonio sociale e di cespiti di sorta; ancora, e’ stato sottolineato che il curatore aveva rilevato che il totale dei debiti concorsuali superava “il 435% del totale di quelli indicati nel bilancio dell’esercizio precedente il fallimento e che almeno dall’esercizio 2012 l’intero patrimonio sociale e’ andato perduto e nessuna azione e’ stata intrapresa per ricostruirlo”. Elementi, questi appena richiamati, che il Tribunale ha tratto dal fascicolo del pubblico ministero, e che si ritrovano chiaramente indicati non solo nella richiesta di misura cautelare, ma anche nel provvedimento del G.i.p. che la stessa ha accolto. Ne consegue l’incensurabilita’ della decisione del Collegio di merito, che non ha contestato l’ordinanza genetica per aver ordinato tout court il sequestro per equivalente; il dispositivo di quest’ultima, infatti, deve esser letto alla luce dell’ampia motivazione che lo precede e dalla quale – si ribadisce emergeva evidente l’assoluta inconsistenza del patrimonio societario. Quel che, peraltro, il (OMISSIS) non ha mai contestato, neppure in questa sede, con conseguente applicazione del costante e condiviso indirizzo in forza del quale, quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, e’ legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilita’ di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente, nel caso in cui, successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, dallo stesso soggetto non siano indicati i beni nella disponibilita’ della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (per tutte, Sez. 3, n. 40362 del 6/7/2016, D’Agostino, Rv. 268587; Sez. 3, n. 42966 del 10/6/2015, Klein, Rv. 265158).
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Avv. Renato D’Isa