Il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 8 luglio 2020, n. 20226.

Massima estrapolata:

E’ inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che dichiari l’inammissibilità per manifesta infondatezza dell’istanza (nella specie, di rideterminazione della pena)ad esito di udienza camerale partecipata, ex art. 666, comma 3, cod. proc. pen., anziché “de plano”, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, non derivando dalla diversità del rito alcuna conseguenza pregiudizievole all’interessato, né quanto alla comunicazione e al regime di impugnazione del provvedimento conclusivo – comunque ricorribile per cassazione ex art. 606 cod. proc. pen. – né riguardo agli onorari del difensore – in ogni caso non liquidabili.

Sentenza 8 luglio 2020, n. 20226

Data udienza 8 giugno 2020

Tag – parola chiave: ESECUZIONE PENALE – ESECUZIONE (IN GENERE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANDRINI Enrico Giusep – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – rel. Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso:
ordinanza del 10/07/2019 della CORTE APPELLO di GENOVA;
decreto del 11/07/2019 del Presidente della CORTE APPELLO di GENOVA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. APRILE STEFANO;
lette le conclusioni del PG Dott. BIRRITTERI Luigi che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Genova, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 10/7/2019 ha dichiarato inammissibile l’istanza con la quale (OMISSIS) richiedeva la rideterminazione del trattamento sanzionatorio inflittogli per il reato di cui all’articolo 73, comma 1, TU Stup. (capo C) giudicato con la sentenza della Corte d’appello di Genova del 17 gennaio 2012, in relazione al quale era stata irrogata la pena di anni 8 di reclusione, invocando l’applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019.
Con separato decreto del 11/7/2019 il Presidente della Prima Sezione della Corte d’appello di Genova ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza di liquidazione delle competenze professionali formulata dal difensore del condannato, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nell’ambito del suddetto procedimento di esecuzione.
2. Ricorre (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), che chiede l’annullamento dei provvedimenti impugnati, denunciando la violazione della legge processuale, per essere stata dichiarata l’inammissibilita’ della richiesta di rideterminazione della pena, nonostante il procedimento di esecuzione si sia svolto a seguito di udienza camerale, mentre si sarebbe semmai potuto rigettare la richiesta (primo motivo); nonche’ la violazione di legge, in riferimento all’articolo 106 TU Spese di giustizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002), perche’, conseguentemente alla declaratoria di inammissibilita’, la medesima Corte d’appello con Decreto 11 luglio 2019 dichiarava luogo a provvedere sulla richiesta di liquidazione dell’onorario del difensore (secondo motivo).
3. Il ricorso, fissato all’udienza del 14 febbraio 2020, e’ stato rinviato per acquisire il decreto del 11/7/2019 che non era stato trasmesso dalla Corte d’appello.
Successivamente, fissata la trattazione per l’udienza 29/5/2020, il procedimento veniva rinviato ex lege in forza del Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11, e successivi.
In forza dei provvedimenti emessi a norma del Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, commi 6 e 7, e successivi, il ricorso veniva quindi fissato per l’odierna udienza, con regolare avviso alle parti, nel rispetto del termine di legge tenuto conto dei sopra richiamati provvedimenti di fissazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso in tema di rideterminazione della pena e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato e proposto in carenza di interesse.
L’impugnazione del decreto del 11/7/2019 va, invece, rimessa al giudice competente.
2. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato e dedotto in carenza di interesse.
Il ricorrente si duole che l’istanza di rideterminazione della pena sia stata dichiarata inammissibile all’esito dell’udienza camerale, ritenendo che detta formula reiettiva sia esclusivamente riservata al procedimento de plano ex articolo 666 c.p.p., comma 2, nonche’ deducendo che dalla diversita’ del rito derivano delle conseguenze pregiudizievoli per quanto riguarda la comunicazione del provvedimento e il regime dell’impugnazione.
2.1. E’ opportuno evidenziare che il giudice dell’esecuzione ha dichiarato inammissibile l’istanza del condannato, ravvisandone la manifesta infondatezza, all’esito della procedura camerale attivata ex articolo 666 c.p.p., comma 3, cioe’ dopo avere dato avviso alle parti e averle sentite all’udienza camerale.
Va premesso che il ricorrente non contesta la decisione adottata che risulta, del resto, conforme alla legge in quanto la Corte d’appello ha evidenziato la manifesta infondatezza della richiesta di rideterminazione, avanzata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019, del trattamento sanzionatorio irrogato per il delitto di cui all’articolo 73, comma 1, TU Stup. poiche’ irrogato sotto il vigore della L. n. 49 del 2006 e dunque nei limiti edittali allora previsti, identici a quelli “rispristinati” con la recente pronuncia del giudice delle leggi.
Il giudice dell’esecuzione ha adottato la procedura camerale, certamente piu’ garantita rispetto a quella de plano ex articolo 666 c.p.p., comma 2, sicche’ di cio’ il ricorrente non puo’ dolersi, non essendo stato da cio’ pregiudicato, tanto che ha potuto formulare le proprie conclusioni nel contraddittorio pieno.
E’, del resto, insussistente qualunque pregiudizio derivante dal rito “piu’ garantito” seguito dal giudice dell’esecuzione, poiche’ il provvedimento conclusivo che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto emettere (decreto) e’ ricorribile in cassazione al pari di quello emesso (ordinanza), mentre il termine di cinque giorni per la notificazione del decreto di inammissibilita’ (articolo 666 c.p.p., comma 2) e’ meramente ordinatorio, essendo in ogni caso doverosa la comunicazione alla parte di entrambi i provvedimenti conclusivi.
D’altra parte, e’ bene evidenziare che il procedimento di esecuzione non e’ una impugnazione, sicche’ la formula conclusiva di esso non determina alcuna conseguenza sia in ordine alla impugnabilita’ del provvedimento conclusivo – comunque ricorribile per cassazione ex articolo 606 c.p.p. -, sia con riguardo alla questione della liquidazione degli onorari.
Non sussiste, in effetti, alcuna differenza per quanto riguarda la comunicazione del provvedimento e il suo regime di impugnazione, in disparte la conclusiva considerazione che l’atto in questione e’ stato regolarmente comunicato alla parte e da questa tempestivamente impugnato.
3. Non sussiste nemmeno l’interesse basato sul disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 106, per le denunciate conseguenze assunte dalla Corte d’appello nei confronti del difensore del ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, poiche’ la norma dispone che “il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non e’ liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili”, mentre nel caso in esame l’istanza dichiarata inammissibile non e’ una impugnazione.
E’ bene ricordare, infatti, che l’incidente di esecuzione promosso davanti al giudice dell’esecuzione, ai sensi degli articoli 666, 673 c.p.p., L. n. 87 del 1953, articolo 30 non costituisce “impugnazione” in senso proprio (Sez. 1, n. 118 del 15/01/1992, Centello, Rv. 189229; Sez. 6, n. 12512 del 06/02/2001, Palladino, Rv. 218485).
3.1. Da cio’ discende l’inammissibilita’ del ricorso proposto avverso l’ordinanza della Corte d’appello del 10/7/2019.
3.2. All’inammissibilita’ del ricorso sul punto consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
4. L’impugnazione del decreto emesso dal Presidente della Prima Sezione della Corte d’appello di Genova in data 11/7/2019 va, invece, trasmessa al giudice competente Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 170.
La giurisprudenza di legittimita’ ha, infatti, affermato che “in tema di liquidazione delle spettanze professionali al difensore dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, il ricorso per cassazione erroneamente proposto avverso il provvedimento di rigetto del giudice va riqualificato quale opposizione e trasmesso all’ufficio giudiziario che procede, competente per l’impugnazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170” (Sez. 4, n. 8014 del 17/01/2014, De Luca, Rv. 259282).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Genova del 10/7/2019 e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Qualificato come opposizione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 170, il ricorso avverso il provvedimento presidenziale del 11/7/2019, dispone trasmettersi gli atti relativi al Presidente della Corte d’appello di Genova.

 

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