Al fine del ribaltamento della precedente decisione assolutoria

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 24 ottobre 2018, n. 48374

La massima estrapolata:

Al fine del ribaltamento della precedente decisione assolutoria, la Corte deve far riferimento a risultanze processuali specifiche ritenute plausibilmente ancorate nella realtà, e verificabili mediante le risultanze probatorie già acquisite.

Sentenza 24 ottobre 2018, n. 48374

Data udienza 13 luglio 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TORINO;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29 settembre 2017 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Canevelli Paolo, che conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore, avv. (OMISSIS).
Il difensore presente chiede che venga dichiarato inammissibile il ricorso del P.G..

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 29 settembre 2017 con la quale, in accoglimento dell’appello della difesa, (OMISSIS) e’ stato assolto dal reato ascritto perche’ il fatto non sussiste in riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 26 settembre 2011.
Ha premesso il ricorrente che con la sentenza del Tribunale di Torino del 26 settembre 2011 (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni due, mesi dieci e giorni 20 di reclusione, all’esito di giudizio abbreviato, per il delitto ex articolo 81 cpv. c.p. e articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1), perche’, abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica di (OMISSIS), minore di 16 anni ed affetta da un ritardo mentale di media gravita’, indusse la stessa a compiere e subire atti sessuali. Con fatti commessi in (OMISSIS).
Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto il vizio della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e).
Per il ricorrente, la sentenza di assoluzione e’ priva della motivazione rafforzata richiesta nel caso di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio su cui si e’ fondata la condanna dovendo essere date puntuali ragioni delle difformi conclusioni assunte (si richiama Cass. Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017 C, Rv. 27014901).
Per il ricorrente, la Corte di appello di Torino non si e’ confrontata con la motivazione della sentenza di primo grado, omettendo di sottolineare le aporie e le carenze giustificative del diverso approdo ed omettendo di sottolineare gli elementi sottovalutati, trascurati, inconferenti o contraddittori della sentenza appellata (Cass. Sez. 4 n.20051 del 13.5.2016); non ha confutato specificamente i piu’ rilevanti argomenti della motivazione della sentenza di primo grado e non ha dato conto delle ragioni della sua relativa incompletezza o incoerenza tali da giustificarne la riforma (cosi’ Cass. Sez. 3 n. 45578/17).
Il ricorrente ha richiamato la giurisprudenza che richiede che il secondo giudice non puo’ solo limitarsi a notazioni critiche di dissenso ma e’ necessario che riesamini il materiale probatorio vagliato dal Giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte rispetto alle parti non condivise della prima sentenza (cosi’ Cass. Sez. 4 ud.20.12.2016 n.4222 -dep. 30.1.2017).
Rileva il ricorrente che la Corte di appello di Torino si e’ limitata a ritenere insussistente, nella condotta tenuta dall’imputato, l’elemento della fattiva (sia pure subdola) induzione al compimento di atti sessuali che diversamente non sarebbero stati compiuti, concludendo per l’assenza di piena prova circa l’elemento costitutivo dell’induzione (pagg.9-10 sentenza Corte d’Appello).
Rileva il ricorrente che invece nella sentenza del Tribunale vi era un’attenta e puntuale disamina di tutte le testimonianze assunte nella fase delle indagini, delle dichiarazioni della persona offesa, della documentazione del Servizio di neuropsichiatria infantile T02 relativo alla persona offesa, delle conclusioni della perizia psichiatrica svolta in merito alle sue condizioni psichiche, del contenuto delle intercettazioni telefoniche disposte, delle dichiarazioni rese dall’imputato.
Per il ricorrente, con tale materiale probatorio e con la motivazione del Tribunale la Corte di appello di Torino non si e’ confrontata in modo specifico senza rilevare l’eventuale inconsistenza o non pertinenza delle argomentazioni utilizzate (Sez.3 n.5979 del 13.12.2012 – dep.7.2.2013; Sez. 5 n.37314 del 11.9.2013), si’ da giustificare la riforma della pronuncia suddetta.
Per il ricorrente la Corte di Cassazione ha qualificato l’induzione come condotta di sopraffazione e come opera di persuasione sottile e subdola, ma vi ha ricompreso tutte quelle condotte che mirano alla strumentalizzazione della parte offesa per poter accedere alla sfera intima della sua sessualita’; l’induzione vi puo’ essere in tutti quei casi in cui la condotta tenuta dal reo non si traduce in atti costrittivi o intimidatori ma in condotte che mirano alla mera fruizione del corpo della persona che versi in condizioni di vulnerabilita’ soggettiva dovuta ad infermita’ psichica: la persona offesa viene ridotta al rango di oggetto dell’atto sessuale ed il possibile consenso espresso va posto in relazione alla sua malattia, specie qualora la patologia da cui la medesima risulta affetta, le impedisca di resistere alla prevaricazione altrui, venendo cosi’ meno ogni consapevolezza e volontarieta’ al compimento dell’atto sessuale (Cass. Sez. 3, n.44978 del 22.10.2010).
Dopo i richiami della giurisprudenza, afferma il ricorrente che la sentenza d’appello non ha riesaminato gli aspetti relativi alle condizioni della persona offesa, pur dando atto che la perizia psichiatrica aveva evidenziato l’assenza di senso critico nella minore e la sussistenza di un disturbo cognitivo significativo che la rendeva bisognosa di attenzioni, anche in ragione della frustrazione affettiva che contraddistingueva le sue relazioni familiari e che rendeva abnorme il comportamento tenuto dalla giovane, con il massiccio ricorso a condotte sessualizzate per l’imperioso bisogno di riconoscimento affettivo. Tale patologia poteva essere perfettamente colta da chi fosse entrato in relazione non occasionale con la minore, sicche’ era riconoscibile da chi – come l’imputato frequentava assiduamente la (OMISSIS).
Rileva il ricorrente che tali circostanze e la notevole differenza d’eta’ tra i due (15 anni lei e 42 lui), sono date per acclarate nella sentenza di secondo grado, cosi’ come e modalita’ delle richieste sessuali emergenti dalle intercettazioni telefoniche; pero’ poi la Corte di appello ha illogicamente e contraddittoriamente ritenuto sussistente il ragionevole “dubbio che le richieste sessuali avanzate dal (OMISSIS) possano qualificarsi quali condotte di induzione…”.
Il ricorrente ha poi contestato il passaggio della motivazione della sentenza di appello a pagina 9 rilevando che le profferte sessuali della ragazzina quindicenne erano proprio la spia del disagio della minore e della patologia di cui soffriva.
Per il ricorrente la motivazione e’ contraddittoria perche’ ammette che (OMISSIS) ha instaurato una relazione sessuale, articolata, con persona minorenne affetta da patologia psichica del tutto riconoscibile e dallo stesso imputato ammessa e riconosciuta ed ha strumentalizzato il rapporto patologico che la minore aveva col sesso al fine di ottenere il proprio soddisfacimento sessuale, interrompendo la relazione solo allorche’ la moglie ne era venuta a conoscenza e solo per il timore di essere denunciato.
Rileva il ricorrente che il consenso della persona offesa non era libero ma viziato dalla sua condizione di inferiorita’ psichica derivante dal disturbo di cui soffriva dalla sua immaturita’ e sofferenza esistenziale: per il ricorrente la ragazza fu strumentalizzata per oltre un anno dall’imputato che ha sfruttato a suo vantaggio la patologia psichica di cui ella soffriva nonche’ il suo bisogno spasmodico di attenzioni e di riconoscimento affettivo, ponendo in essere – contrariamente alle conclusioni a cui giunge la sentenza di appello – atti di induzione ai danni della minore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del procuratore generale deve essere rigettato.
1.1. Deve essere richiamato il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430: “Il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva”.
Hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che nell’ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria al giudice d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la plausibilita’ del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di la’ di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilita’ del primo giudizio.
Per il ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d’appello puo’ limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilita’ di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo.
Deve trattarsi di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili in rerum natura, ma la cui plausibilita’ nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E’ dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalita’, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo.
Per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, all’assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento assolutorio, si affianca l’esigenza che il giudice d’appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.
Per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione il giudice di appello, quando riforma in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza di assoluzione, ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovra’ confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte.
1.2. La Corte di appello di Torino, nel ritenere sussistente il ragionevole dubbio sulla sussistenza dell’induzione, si e’ attenuta ai principi di diritto espressi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in quanto ha fondato la motivazione dell’assoluzione valorizzando elementi di prova il cui peso era stato trascurato dal giudice di primo grado.
La Corte di appello di Torino ha infatti attribuito valore probatorio rilevante alle dichiarazioni di (OMISSIS) la quale, escussa poco tempo dopo i fatti, ha riferito dei comportamenti sessuali del tutto espliciti della minore persona offesa verso (OMISSIS) posti in essere in sua presenza ed in piu’ occasioni; comportamenti anche rifiutati da (OMISSIS). La Corte di appello di Torino ha riporto le dichiarazioni di (OMISSIS) sulle condotte esplicite verso altri due suoi amici, cosi’ insistenti nei confronti di uno di essi di indurlo ad interrompere ogni rapporto con la minore.
Dunque, la Corte di appello di Torino, per ribaltare il giudizio di condanna, ha preso in esame la deposizione di un testimone diretto e non interessato, una fonte di prova favorevole all’imputato e ritenuta non adeguatamente valutata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino.
La Corte di appello di Torino ha poi ritenuto sussistente il ragionevole dubbio dell’esistenza dell’induzione valorizzando le stesse dichiarazioni della persona offesa sui rapporti anche di gruppo, con altri due uomini, e sull’esistenza conclamata di condotte esplicitamente e ripetutamente tese alla profferta sessuale; per altro risulta dagli atti di appello che gli altri due coimputati sono stati poi assolti dall’accusa di violenza sessuale di gruppo nei confronti della minore.
Quanto poi alle intercettazioni telefoniche, ha correttamente rilevato la Corte di appello di Torino che esse si riferiscono ad un periodo di tempo successivo ai fatti in contestazione; ha rilevato, effettuando la valutazione del materiale probatorio, che i riferimenti ai rapporti sessuali pregressi non consentissero di ritenere, ora per allora, esistente l’attivita’ di induzione.
2. Dunque, la Corte di appello di Torino ha motivato adeguatamente l’assoluzione, valorizzando correttamente elementi di prova non presi in considerazione nella sentenza di primo grado e dando una precisa collocazione temporale al contenuto delle intercettazioni telefoniche. Il ricorso del procuratore generale deve pertanto essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.G..
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

Avv. Renato D’Isa

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