Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46427.

La massima estrapolata:

Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, e’ esonerato da responsabilita’ solo quando l’imprudente comportamento del dipendente sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilita’ per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro

Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46427

Data udienza 11 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. TORNESI Danie – Rel. Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/10/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Tornesi Daniela Rita;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Lignola Ferdinando che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
e’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di VARESE in difesa di PARTE CIVILE (OMISSIS) che chiede il rigetto del ricorso. Deposita conclusioni e nota spese. Il difensore informa che nelle more del processo l’imputato ha versato la provvisionale;
e’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di BUSTO ARSIZIO in difesa di (OMISSIS) che insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 14 novembre 2016 il Tribunale di Varese dichiarava (OMISSIS) responsabile del reato ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Condannava l’imputato al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile che liquidava in complessivi Euro 25.000,00.
1.1. Al (OMISSIS) era contestato il reato di cui all’articolo 590 c.p., comma 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 1, perche’, nella qualita’ di Presidente del Consiglio di Amministrazione della societa’ (OMISSIS) s.p.a, con sede in (OMISSIS), cagionava per colpa, consistita in negligenza derivante dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali a (OMISSIS), lavoratore alle dipendenze dell’agenzia interinale (OMISSIS) s.p.a. ed assunto con mansioni di operaio sabbiatore con contratto di somministrazione presso la predetta societa’. In particolare all’imputato era addebitato di non avere assicurato alla persona offesa una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza riferiti alle mansioni, ai rischi, ai possibili danni e alle procedure di prevenzione e protezione e di non avergli messo a disposizione attrezzature conformi ai requisiti di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 70, comma 2. In particolare, proprio a causa della mancata predisposizione di dispositivi di sicurezza sul macchinario denominato destaffatrice Slouiss sul quale stava lavorando (OMISSIS), quest’ultimo veniva colpito alla mano da un pezzo metallico del peso di circa 20 chilogrammi proiettato dal macchinario sul banco di lavoro e subiva lesioni personali consistite in “frattura composta F2 primo dito mano destra” con un periodo di malattia protrattasi per 68 giorni, con conseguente incapacita’ di attendere alle ordinarie occupazioni per analogo periodo di tempo.
In (OMISSIS) il (OMISSIS).
2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 26 ottobre 2017, confermava la pronuncia di condanna penale mentre riformava i profili civilistici evidenziando che la consulenza tecnica prodotta dalla parte civile su cui si era fondata la determinazione del danno non forniva criteri certi e univoci circa il danno subito e rimetteva, pertanto, la liquidazione definitiva al giudice civile riconoscendo, tuttavia, in suo favore il pagamento di una provvisionale quantificata in euro 8.000,00, corrispondente all’ammontare del danno, ritenuto comprovato, sulla base di ragionevole presunzione, in relazione al periodo di inabilita’ permanente, ai postumi permanenti, anche minimi, e al danno morale.
3. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) elevando i seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale rappresentando che e’ stata valutata la piena attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa costituita parte civile, pur essendo emerse incongruenze nel suo narrato.
Evidenzia, in primo luogo, che, per quanto riferito dalla persona offesa, l’infortunio sarebbe avvenuto il (OMISSIS), verso le 10.00 – 11.00 del mattino mentre non risulta che alcun testimone abbia assistito al fatto tant’e’ che la societa’ (OMISSIS) veniva informata dell’accaduto solo due giorni dopo, il (OMISSIS), per via indiretta, ovvero tramite l’agenzia di lavoro interinale la quale, a sua volta, dovette verificare cosa fosse accaduto all’operaio. Peraltro il (OMISSIS), richiesto di indicare il nome del collega albanese che, a suo dire, avrebbe assistito all’infortunio, indicava (OMISSIS), dipendente della societa’ (OMISSIS) s.p.a. assunto in epoca successiva all’infortunio.
Inoltre la persona offesa, pur dolorante, con un dito fratturato, avrebbe continuato a movimentare manualmente carichi di circa 20 kg ciascuno per l’intero turno e avrebbe prestato la sua attivita’ lavorativa anche il giorno seguente, dopo essersi tolto il bendaggio che gli era stato apposto.
Infine, viene ritenuta irragionevole la versione dei fatti resa da (OMISSIS) anche in relazione all’ospedale prescelto per farsi curare (quello di (OMISSIS) e non quello piu’ vicino di (OMISSIS) e nemmeno quello di residenza ((OMISSIS)), evidenziando che le giustificazioni fornite dall’imputato (ovvero il fatto di essere stato sfrattato dal luogo di residenza e di avere trovato ospitalita’ presso la Caritas) non hanno trovato riscontro negli atti del processo.
Sottolinea che la precaria situazione economica in cui versa la parte civile fornisce una spiegazione plausibile circa la necessita’ di collocare l’infortunio all’interno del luogo di lavoro.
Infine, rileva che la discrasia tra le emergenze processuali e le conclusioni cui giunge la Corte di Appello si sostanzia in un vero e proprio travisamento degli elementi di prova.
3.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale per la erronea applicazione dell’articolo 590 c.p., comma 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 1 e dell’articolo 42 c.p..
Sostiene che la Corte distrettuale ha erroneamente ritenuto che (OMISSIS), in qualita’ di legale rappresentante di (OMISSIS) s.p.a., abbia omesso di fornire un’adeguata formazione specifica alla persona offesa, in relazione alla concreta mansione per cui era stato assunto e ai rischi a essa connessi, pur risultando comprovate le ragioni della mancata sottoscrizione del modulo da parte del predetto lavoratore.
Inoltre il giudizio controfattuale e’ stato del tutto pretermesso.
3.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 71, comma 1 e all’articolo 42 c.p., in ragione della abnormita’ del comportamento del lavoratore dovuta all’inosservanza delle direttive impartite, ovvero all’uso dell’apposito strumento c.d. rampino che avrebbe, con certezza, evitato che le mani dell’operatore si trovassero in una zona di rischio.
3.4. Con il quarto motivo deduce la inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 539 c.p.p., comma 2, articolo 576 c.p.p., e articolo 597 c.p.p., stante il difetto degli elementi per quantificare l’ammontare della provvisionale.
3.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena nonostante il suo stato di incensurato.
3.6. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non presenta profili di manifesta infondatezza ed impone, pertanto, di rilevare l’intervenuto decorso del termine di prescrizione del reato maturato in data (OMISSIS) e, dunque, in data successiva alla pronuncia di appello.
La delibazione dei motivi fa escludere l’emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell’evidente innocenza del (OMISSIS).
Sul punto, l’orientamento della Corte di Cassazione e’ univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice e’ legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosicche’ la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 24427501).
Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, l’assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessita’ di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell’imputato impone l’applicazione della causa estintiva.
2. Si soggiunge che, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l’azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell’articolo 578 c.p.p., e’ tenuto, quando accerti l’estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell’azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell’impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, confermata dal giudice di appello.
2.1. Con riguardo, in particolare, all’impugnazione proposta anche in relazione alle statuizioni civili, secondo quanto gia’ affermato da questa Sezione (Sez. 4, n. 10802 del 21/01/2009, Rv. 24397601), trova applicazione il principio cosiddetto di immanenza della costituzione di parte civile.
In ragione di tale principio, normativamente previsto dall’articolo 76 c.p.p., comma 2, secondo il quale “la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo”, il giudice di legittimita’ e’ tenuto a verificare l’esistenza dei presupposti per l’affermazione della responsabilita’ penale ai soli fini della pronuncia sull’azione civile, allorche’ abbia rilevato una causa estintiva del reato. Tale principio comporta, infatti, che la parte civile, una volta costituita, debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, debba essere citata anche nei successivi gradi di giudizio anche se non impugnante e senza che sia necessario per ogni grado di giudizio un nuovo atto di costituzione.
2.2. Corollario di questo principio generale e’ che l’immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita – previsti dall’articolo 82 c.p.p., comma 2, nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell’azione davanti al giudice civile – non possono essere estesi al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla norma indicata (Sez. 5, n.39471 del 04/06/2013, Rv. 25719901; Sez. 6, n.48397 del 11/12/2008, Rv. 24213201).
3. Cio’ posto, si osserva che il primo e il secondo motivo riesaminano il materiale probatorio raccolto e tendono ad affermare una diversa lettura delle emergenze istruttorie e una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte distrettuale che non e’ consentita in questa sede, stante la preclusione per il giudice di legittimita’ di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali. Spetta infatti al giudice di merito il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti, fatto salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
Ed invero, la previsione contenuta nell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) secondo cui il vizio della motivazione puo’ risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo purche’ specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo del giudice di legittimita’ – il cui compito non e’ quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito – bensi’ quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare l’incompiutezza strutturale della motivazione della corte di merito: incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata.
Le deduzioni del ricorrente non risultano, dunque, in sintonia con i principi della giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989) alla cui stregua la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilita’ cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione.
L’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006, articolo 8, non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso. La nuova disciplina consente di dedurre solo il vizio di travisamento della prova che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, sempreche’ la difformita’ risulti decisiva (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460): circostanza questa non ricorrente nel caso in esame.
4. In relazione al terzo motivo e’ sufficiente rammentare che, secondo la giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Rv. 272222), il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, e’ esonerato da responsabilita’ solo quando l’imprudente comportamento del dipendente sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilita’ per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.
Tali ipotesi non ricorrono, all’evidenza, nella fattispecie in esame.
5. Con riguardo al quarto motivo, si osserva che nella vicenda processuale in esame il giudice di primo grado aveva condannato l’imputato al risarcimento dei danni che veniva liquidato in Euro 25.000,00 e non si era soffermato sul tema della provvisionale in quanto la relativa questione non gli era stata prospettata ne’ aveva formato oggetto di pronuncia esplicita e implicita.
La decisione del giudice di appello che ha confermato la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno demandando la liquidazione al giudice civile e concedendo, al contempo, una provvisionale nella misura di euro 8.000 non aggrava l’esposizione risarcitoria dell’imputato in favore della parte civile non impugnante e non si sostanzia nella dedotta reformatio in peius.
Si rammenta che la giurisprudenza di legittimita’ (Sez. Un. n. 53153 del 27/10/2016) ha escluso che la disposizione dettata dall’articolo 597 c.p.p., comma 3, abbia una portata tale da estendersi alle statuizioni civili trattandosi di norma che, ponendo un limite alla pretesa punitiva dello Stato, non si applica all’istanza risarcitoria oggetto dell’azione civile.
6. Alla stregua di quanto sopra esposto, la sentenza impugnata va annullata agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione. Il ricorso va rigettato agli effetti civili e il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.