Reato di occultamento o distruzione di documenti contabili

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 14 marzo 2019, n. 11464.

La massima estrapolata:

Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10, d. lgs. 10 marzo 2000 n. 74) presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del d. lgs. 18 dicembre 1997 n.471. Si tratta di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno, rappresentato della perdita della funzione descrittiva della documentazione contabile. Ne deriva che per l’integrazione di tale fattispecie penale occorre un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture.

Sentenza 14 marzo 2019, n. 11464

Data udienza 17 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/03/2018 della Corte di appello di Trento, sez. dist. di Bolzano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28/03/2018, la Corte di appello di Trento, sez. dist. di Bolzano in parziale riforma della sentenza emessa in data 22.02.2016 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bolzano – con la quale (OMISSIS), all’esito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato responsabile dei reati in concorso di cui ai capi 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21 e 22 e condannato alla pena di legge con la confisca di quanto in sequestro – dichiarava estinti i reati di cui ai capi 11, 12, 13, 16 limitatamente all’anno di imposta 2009, ed al capo 19 limitatamente al periodo sino al dicembre 2009 e riduceva la pena ad anni due mesi due di reclusione e la confisca ad Euro 4.400.000,00.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando sei motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce erronea applicazione dell’articolo 640 bis c.p. e articolo 61 c.p., n. 7 e correlato vizio di motivazione in relazione al capo 19) dell’imputazione.
Argomenta che secondo la prospettazione accusatoria la condotta del (OMISSIS) avrebbe comportato per l’INPS un esborso maggiore a titolo di assegni familiari i cui importi sarebbero stati versati ai lavoratori quale stipendio e che nei motivi di appello si era dedotto che andando le somme ai lavoratori poteva eventualmente configurarsi una condotta di omesso versamento dei contributi, la cui entita’, pero’, non era stata accertata; inoltre, la sentenza era priva di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 7, perche’ non specificava l’entita’ del danno patrimoniale per l’INPS.
Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e correlato vizio di motivazione, in relazione ai capi 14) e 15) dell’imputazione, lamentando che la Corte territoriale si era limitata ad affermare l’inesistenza oggettiva del rapporto sotteso alle fatture, senza motivare in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Con il terzo motivo deduce violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8 e correlato vizio di motivazione, in relazione ai capi 10) – lamentando che la Corte territoriale non aveva motivato in ordine all’inesistenza oggettiva delle fatture ne’ tenuto nel debito conto che la documentazione era stata rinvenuta all’interno del PC del commercialista (OMISSIS) – e 16), lamentando che la Corte territoriale aveva omesso ogni motivazione in ordine alla affermata responsabilita’ dell’imputato.
Con il quarto motivo deduce violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 e correlato vizio di motivazione in relazione al capo 18) dell’imputazione, lamentando che non poteva ritenersi integrato il reato contestato in quanto era emersa prova solo del mancato rinvenimento delle scritture contabili.
Con il quinto motivo deduce violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 e correlato vizio di motivazioneI in relazione al capo 21) dell’imputazione, lamentando che la Corte territoriale, atteso che la societa’ (OMISSIS) srl era stata posta in liquidazione, non aveva chiarito a che titolo era stata affermata, la responsabilita’ anche del ricorrente.
Con il sesto motivo deduce violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 e correlato vizio di motivazioni, in relazione al capo 22) dell’imputazione, lamentando che la Corte territoriale aveva disatteso la deduzione difensiva che evidenziava che all’epoca di costituzione del fondo patrimoniale oggetto della contestazione l’imputato non era consapevole che nel futuro sarebbero sorte obbligazioni tributarie; aggiunge che la costituzione di un fondo patrimoniale non puo’ ritenersi una alienazione simulata, ne’ un atto fraudolento, integrante la fattispecie criminosa di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ genericamente formulato nonche’ manifestamente infondato.
1.1. La doglianza relativa alla configurabilita’ del reato di cui all’articolo 640 bis c.p. contestato al capo 19) e’ generica perche’ mossa senza alcun confronto critico con le argomentazioni esposte nella sentenza impugnata (pag 29 della sentenza impugnata ove la Corte territoriale evidenzia accuratamente il meccanismo truffaldino che aveva consentito al (OMISSIS) di ottenere indebitamente le somme contestate), confronto doveroso per l’ammissibilita’ dell’impugnazione, ex articolo 581 c.p.p., perche’ la sua funzione tipica e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso: (Sez. 6, n. 20377 dell’11.3- 14.5.2009 e Sez.6, n. 22445 dell’8 – 28.5.2009).
Trova, dunque, applicazione il principio, gia’ affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez.2, n. 19951 del 15/05/2008, Rv.240109; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez.2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv.259425).
La mancanza di specificita’ del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ conducente, a mente dell’articolo 591, comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ del ricorso (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
1.2. E’ manifestamente infondata la doglianza avente ad oggetto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 7, emergendo chiaramente dallo stesso capo di imputazione, in maniera specifica, l’entita’ del danno patrimoniale subito dall’INPS con riferimento alle somme indebitamente percepite dall’imputato per ciascuna societa’ di cui era legale rappresentante o effettivo titolare.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
La Corte territoriale, pur rimarcando la genericita’ del motivo relativo alla insussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati, ha confermato la valutazione del Tribunale, evidenziando, con motivazione stringata ma del tutto adeguata, come il fine specifico di agire al fine di evadere le imposte emergeva chiaramente dallo stesso meccanismo posto in essere dal (OMISSIS) attraverso le proprie societa’ e societa’ fittizie a lui riconducibila’ per legge (aver costituito appositamente due ditte individuali palesemente fittizie al fine di provvedere all’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, per poi indicare nella contabilita’ delle proprie societa’, (OMISSIS) ed (OMISSIS), elementi passivi fittizi ed evadere in tal modo le imposte sui redditi e sul valore aggiunto), dimostrativo dell’unico fine di evadere le imposte (cfr pag 30 della sentenza impugnata e pag 37 della sentenza di primo grado).
Va, inoltre, rimarcato che l’accertamento del dolo, quale prova della coscienza e volonta’ del fatto, costituisce un accertamento di fatto volto a conoscere e ricostruire il fatto storico e deve fondarsi sulla considerazione di tutte le circostanze esteriori dello stesso.
Nella specie, la motivazione offerta dalla Corte territoriale a fondamento dell’accertamento dell’elemento psicologico ha tenuto conto di tutti gli elementi fattuali rilevanti, e si connota come adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimita’.
Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato
La Corte di appello ha confermato l’affermazione di responsabilita’ in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8 contestato al capo 10), spiegando che l’emissione delle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti indicate nel capo d’imputazione era riferibile al (OMISSIS) perche’ titolare effettivo della Societa’ (OMISSIS) s.a.s, fittiziamente intestata ad (OMISSIS), il quale fungeva da prestanome (cfr pag 27 e 28 della sentenza impugnata); rispetto a tale percorso argomentativo le doglianze del ricorrente si collocano ai confini della inammissibilita’, prospettando censure del tutto generiche.
La doglianza avente ad oggetto l’omessa valutazione della responsabilita’ dell’imputato in ordine al reato di cui al capo 16) dell’imputazione, poi, non aveva costituito oggetto di specifico motivo di appello, come si rileva dall’esame degli atti ed anche dalla lettura della stessa sentenza impugnata, ove si menziona quale motivo di appello in relazione al predetto reato l’intervenuta prescrizione di tutte le condotte relative alle fatture della (OMISSIS) s.r.l.; pertanto, non sussisteva alcun obbligo motivazionale a carico della Corte territoriale stante la natura devolutiva del giudizio di appello.
4. Il quarto motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Va osservato che il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10) presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 9, comma 1, Sez. 3, n. 1441 del 12/07/2017, dep.15/01/2018, Rv. 272034.
La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 prevede una doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l’occultamento totale o parziale), un dolo specifico di evasione propria o di terzi e un evento costitutivo, rappresentato dalla sopravvenuta impossibilita’ di ricostruire, mediante i documenti i redditi o il volume degli affari al fine dell’imposta sul valore aggiunto. E’ evidente che si tratta di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno, rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva dell’documentazione contabile. Ne consegue che la condotta del reato de quo non puo’ sostanziarsi in un mero comportamento omissivo ossia il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stato obbiettivamente piu’ difficoltosa – ancorche’ non impossibile – la ricostruzione ex aliunde ai fini fiscali della situazione contabile, ma richiede, per l’integrazione della fattispecie penale un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture (Sez.3, n. 19106 del 02/03/2016,Rv.267102).
Nella specie, la Corte territoriale ha fatto buon governo del suesposto principio, in quanto ha ritenuto integrato il reato proprio perche’, in aderenza alle risultanze istruttorie, ha rilevato che la condotta contestata aveva riguardato solo parte della documentazione contabile della (OMISSIS) s.r.l. documentazione contabile che, quindi, evidentemente, era stata istituita (essendo state rinvenute dalla Guardia di Finanza 11 fatture emesse nel corso dell’anno 2011 per un complessivo importo di Euro 850.799,83) ed in parte occultata o distrutta (cfr pag 29); rispetto a tale percorso argomentativo le doglianze del ricorrente si collocano ai confini della inammissibilita’, prospettando censure del tutto generiche.
5. Il quinto motivo di ricorso ha ad oggetto questione (messa in liquidazione della (OMISSIS) s.r.l.) che non ha costituito oggetto di motivo di appello.
Va, quindi, richiamato l’orientamento costante di questa Corte (Sez. U. 30.6.99, Piepoli, Rv. 213.981) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilita’ originaria dell’impugnazione; non possono, quindi, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perche’ non devolute alla sua cognizione (Sez.3, n. 16610 del 24/01/2017, Rv.269632), tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez. 2, n. 6131 del 29/01/2016, Rv.266202), ipotesi che non ricorre nella specie.
6. Il sesto motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Va ricordato che, ai fini della integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, la costituzione di un fondo patrimoniale non esonera dalla necessita’ di dimostrare, sia sotto il profilo dell’attitudine della condotta che della sussistenza del dolo specifico di frode, che la creazione del patrimonio separato sia idonea a pregiudicare l’esecuzione coattiva e strumentale allo scopo di evitare il pagamento del debito tributario (Sez. 3, n. 9154 del 19/11/2015,dep.04/03/2016, Rv. 266457).
Nella specie, la Corte territoriale ha confermato l’affermazione di responsabilita’ per il reato in esame, evidenziando quali elementi dimostrativi dell’attitudine della condotta e della sussistenza del dolo specifico di frode, la stretta connessione cronologicoutra l’atto costitutivo del fondo e l’accertamento tributario nonche’ la circostanza che l’atto)21(avesse ad oggetto l’intero patrimonio immobiliare del (OMISSIS).
La motivazione e’ congrua e non manifestamente illogica e si sottrae, quindi, al sindacato di legittimita’.
7. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
8. Va precisato che l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez.U. n. 12602 del 25.3.2016, Ricci; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv. 256463; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Rv. 231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).
9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

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