Reato di circonvenzione di persone incapaci è un reato di pericolo

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 5 marzo 2019, n. 9656.

La massima estrapolata:

Il reato di circonvenzione di persone incapaci è un reato di pericolo previsto a tutela del bene giuridico del patrimonio della persona offesa, con la conseguenza che il momento di consumazione dello stesso deve essere individuato nel momento della sua idoneità a produrre il pericolo di effetti pregiudizievoli e non in quello di verificazione del pregiudizio sul patrimonio dell’offeso o di terzi.

Sentenza 5 marzo 2019, n. 9656

Data udienza 27 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antoni – Presidente

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. ALMA Marco – Consigliere

Dott. SGADARI Giusep – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/03/2017 della Corte di Appello di Brescia;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Marco Maria Alma;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. COCOMELLO Assunta, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione con conferma delle statuizioni civili;
udito il difensore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata e la condanna degli imputati alle spese sostenute dalle parti civili come da nota spese che deposita;
udito il difensore degli imputati, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con revoca delle statuizioni civili in quanto la prescrizione del reato sarebbe maturata prima dell’emissione della sentenza di secondo grado.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 15 marzo 2017 la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima citta’ del 5 ottobre 2015 con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati dichiarati colpevoli del reato di concorso in circonvenzione di persona incapace (articoli 110 e 643 c.p.) e, previo riconoscimento ad entrambi delle circostanze attenuanti generiche, condannati a pene ritenute di giustizia.
In particolare, si contesta agli imputati di avere abusato delle condizioni di deficienza psichica di (OMISSIS), affetta da un grave decadimento cognitivo, inducendola a disporre in loro favore, con atto (testamentario) vergato a mano e sottoscritto, della abitazione e del denaro della predetta con danno di quest’ultima e dei suoi eredi. Il reato e’ contestato come commesso in (OMISSIS).
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza e con atto unico il difensore degli imputati, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato in contestazione.
2.1.1. Partendo dalle indiscusse premesse che la signora (OMISSIS) in data 12 agosto 2006, durante una degenza ospedaliera ebbe a redigere ed a consegnare agli imputati un atto scritto di suo pugno (inquadrabile come testamento) con il quale devolveva in loro favore l’integralita’ del suo patrimonio mobiliare ed immobiliare e, ancora, che la predetta persona offesa fino al 9 agosto 2006, data di inizio del ricovero ospedaliero, era in condizioni di assoluta padronanza delle proprie facolta’ di percezione e di volizione, rileva parte ricorrente che la Corte di appello avrebbe incentrato l’integralita’ della motivazione solo sulla sussistenza della condizione di deficienza psichica in capo alla persona offesa, senza peraltro affrontare i due ulteriori temi della condotta induttiva e dell’abuso delle condizioni della persona offesa.
Poiche’ la contestazione del reato agli imputati muove da una condizione che vorrebbe la signora (OMISSIS), al momento di redazione dell’atto di disposizione patrimoniale, affetta da un grave decadimento cognitivo, rileva parte ricorrente, che lo stato di minorazione per poter essere idoneo all’integrazione del reato deve essere effettivo, oggettivo ed apprezzabile nel momento in cui sarebbe stata posta in essere la condotta induttiva. La Corte di appello, per contro, avrebbe esordito nella disamina del tema partendo da un momento temporale di due settimane successivo rispetto alla data di redazione del lascito, poi regredendo cronologicamente fino al momento nel quale si sarebbe materialmente realizzata la condotta induttiva.
La contraddittorieta’ interna della motivazione della sentenza impugnata sarebbe quindi da ravvisare nel raffronto letterale tra il passaggio della sentenza nel quale si sostiene che lo stato di indubbia minorazione psichica non puo’ insorgere in modo repentino ed improvviso ed appare rappresentativo di una condizione sviluppatasi nei giorni precedenti, con il successivo passaggio nel quale il giudice di merito ha osservato come la persona offesa era sempre rimasta fino al 9 agosto 2006 in condizioni di assoluta padronanza delle proprie facolta’ di percezione e di volizione, ricorrendo quindi il temporaneo decadimento cognitivo esclusivamente nel successivo periodo che va dal 9 al 23 agosto 2006.
Ad alimentare ulteriormente la contraddittorieta’ della motivazione vi sarebbe, poi, il richiamo alla documentazione medica relativa al giorno 10 agosto 2006, ampiamente confermativa del fatto che la persona offesa il giorno successivo all’ingresso in ospedale era lucida, orientata e non presentava disturbi di carattere psichiatrico.
La manifesta illogicita’ della motivazione troverebbe, infine, la sua massima espressione nelle conclusioni che la Corte di appello vorrebbe trarre dall’analisi completa del compendio probatorio: il temporaneo decadimento cognitivo della persona offesa sarebbe immediatamente migliorato allorquando, allontanata dalla frequentazione degli imputati, ebbe la possibilita’ di ricongiungersi ai propri familiari: detto assunto rimane pero’ allo stadio di insinuazione e del tutto privo di elementi di prova a sostegno.
2.1.2. Rileva poi parte ricorrente vizi di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto provata la condotta induttiva da parte degli imputati. Secondo la Corte di appello, che fonderebbe il proprio ragionamento su mere illazioni, tale condotta induttiva troverebbe il proprio fondamento in due situazioni: la prima che vorrebbe gli imputati sospettati della diretta causazione del disturbo psichico della persona offesa e la seconda che vorrebbe gli imputati coinvolti nella sparizione del primo atto testamentario redatto dalla (OMISSIS), cosa quest’ultima che si porrebbe pero’ in contraddizione con le risultanze emerse nella prima fase di indagini relative al procedimento penale che hanno escluso ogni responsabilita’ del (OMISSIS) proprio in relazione all’ipotesi di furto.
2.1.3. Rileva, ancora, parte ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata difetterebbe nella parte in cui e’ stato ritenuto integrato l’abuso dello stato di vulnerabilita’ del soggetto passivo. Tale tema nella sentenza di appello e’ graficamente del tutto assente e la mancanza di motivazione sul punto non e’ in alcun modo sanata dalla sentenza di primo grado ove la trattazione e’ altrettanto carente.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione agli articoli 56, 158 e 643 c.p. con particolare riferimento al momento di individuazione della consumazione del reato.
Secondo la difesa del ricorrente non persuade la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui vuole individuato il momento di commissione del reato in via alternativa nella data di morte del testatore ovvero nella data di pubblicazione del testamento.
La Corte territoriale si sarebbe accontentata di riportare al riguardo alcune massime giurisprudenziali nelle quali risultano sovrapposti due piani distinti: quello relativo alla condotta di induzione e quello relativo agli effetti dell’atto produttivo di conseguenze giuridiche dannose in capo all’offeso od a terzi escludendo quindi in modo categorico che la semplice redazione del testamento da parte della (OMISSIS) potesse essere anche solo potenzialmente idoneo recare pregiudizio non trattandosi di atto esecutivo in alcun modo esteriorizzato.
Rileva la difesa che, volendo assumere come corretto il ragionamento compiuto dalla Corte di appello, gli atti di induzione che si vorrebbero addebitati agli imputati non sarebbero stati idonei ad integrare il reato nemmeno nella forma tentata. Dimenticano infatti i giudici di merito di inserire nella progressione cronologica degli eventi la circostanza che la (OMISSIS) in data 1 novembre 2006 provvedeva redigere un nuovo testamento privando di qualsiasi effetto giuridico il precedente. Cio’ ha comportato un effetto a dir poco paradossale: gli imputati sono condannati per un reato che si sarebbe consumato in via alternativa alla data di morte della persona offesa ovvero di pubblicazione del testamento redatto il 12 agosto 2006, testamento pero’ di per se’ non idoneo a recare pregiudizio anche soltanto potenziale alla persona offesa al momento della sua redazione e neppure idoneo a produrre effetti giuridici al momento di morte della persona offesa perche’ dalla stessa sostituito con una nuova ed integrale disposizione testamentaria.
La piu’ recente giurisprudenza attesta pero’ la natura della circonvenzione di incapace come reato di pericolo che vuole come bene giuridico tutelato il patrimonio della persona offesa, con la conseguenza che il momento di consumazione dello stesso andra’ individuato al momento della sua idoneita’ a produrre il pericolo di effetti pregiudizievoli e non in quello di verificazione del pregiudizio sul patrimonio dell’offeso o di terzi. Se si sostiene, quindi, come fa la Corte di appello che il testamento non era idoneo al momento della sua redazione a mettere in pericolo il patrimonio della persona offesa, il reato non e’ mai giunto a consumazione, ne’ e’ mai stato successivamente idoneo a produrre effetti pregiudizievoli. Da cio’ ne consegue che il momento di consumazione andra’ necessariamente individuato nella data di redazione dell’atto con ogni inevitabile conseguenza in tema di decorso del termine di prescrizione dello stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato in tutte le sue prospettazioni.
Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre detta motivazione, non e’ certo apparente, ne’ “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria su punti tali da poterne determinare l’annullamento.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realta’ di sottoporre a questa Corte di legittimita’ un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimita’ e’ infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, e’ – e resta – giudice della motivazione.
La Corte di appello con minuziosa motivazione riguardante la ricostruzione dei fatti anche attraverso l’evoluzione delle condizioni di salute fisica e mentale della persona offesa risulta avere adeguatamente evidenziato le ragioni per le quali (OMISSIS) era da ritenersi affetta da un grave decadimento cognitivo tale da indurla a redigere un testamento dispositivo di tutti i suoi averi mobiliari ed immobiliari a favore di due estranei, titolari di un vicino negozio di animali che era solita frequentare.
Anche, poi, con riguardo all’azione di induzione a compiere un atto a se’ pregiudizievole, la Corte di appello ha prodotto una motivazione caratterizzata da assoluta logicita’ nel momento in cui ha sostanzialmente affermato che la persona offesa ebbe a cambiare orientamento circa le proprie disposizioni testamentarie redigendo un nuovo testamento (il precedente non e’ piu’ stato rinvenuto) proprio in quel breve lasso di tempo nel quale, affetta da alterazione delle facolta’ cognitive e volitive, era di fatto sottratta alle attenzioni dei parenti e sottoposta a quelle dei due vicini di casa qui imputati. Del resto, come con stringente logica ha affermato la stessa Corte di appello, se davvero la (OMISSIS) al momento di disporre di tutti i suoi beni in favore dei due vicini di casa avesse agito con piena autodeterminazione e senza alcuna alterazione delle proprie facolta’ cognitive e volitive, non si spiegherebbe la ragione per la quale poi la stessa ebbe a redigere nel successivo mese di novembre un nuovo testamento in favore dei suoi familiari. D’altro canto, osserva il Collegio, non risulta neppure dal ricorso che in questa sede ci occupa che gli imputati abbiano adotto alcun ragionevole elemento in forza del quale una persona, sostanzialmente estranea a rapporti affettivi od anche solo di assidua frequentazione o, ancora a ragioni di gratitudine di altra natura, si sia tout court determinata a lasciare loro tutti i suoi beni.
In punto di diritto deve solo aggiungersi che pacifico e’ che “il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacita’ di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacita’ psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione e pressione” (Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013, dep. 2014, Rv. 258537). Cosi’ come e’ altrettanto pacifico che il convincimento circa la prova dell’induzione per la configurabilita’ dell’articolo 643 c.p. ben puo’ essere fondato su elementi indiretti e indiziari, cioe’ risultare da elementi precisi e concordanti come la natura degli atti compiuti e il pregiudizio da essi derivante (cfr. in tal senso Sez. 2, n. 17415 del 23/01/2009, Rv. 244343).
Quanto all’abuso dello stato di vulnerabilita’ del soggetto passivo lo stesso anche se non espressamente menzionato nella sentenza impugnata e’ desumibile dal contesto motivazionale della stessa e cioe’ dalla correlazione tra l’azione dell’agente che conscio della vulnerabilita’ del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a se’ o ad altri un profitto che in condizioni normali non avrebbe mai conseguito.
2. Anche il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Deve, innanzitutto, ricordarsi che il reato di cui all’articolo 643 c.p. prevede, tra l’altro, un’azione finalizzata a “procurare a se’ o ad altri un profitto” ed il compimento da parte della persona offesa di “un atto che importi un qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso”.
Non richiede pertanto la norma, diversamente da quanto e’ previsto per altri reati contro il patrimonio, che l’autore dell’azione delittuosa consegua materialmente un profitto patrimoniale dall’azione descritta dalla stessa.
A cio’ si aggiunge che gli effetti giuridici dannosi possono essere tali non solo per la vittima ma anche “per altri” ed e’ questo il caso tipico della disposizione testamentaria “indotta” che inevitabilmente finisce per danneggiare i potenziali eredi o legatari del testatore.
Cio’ inevitabilmente colloca – come da consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ – il reato di cui all’articolo 643 c.p. tra i reati di pericolo che, in quanto tali, non consentono di configurare il tentativo.
Da cio’ ne deriva una prima conseguenza: indurre taluno, secondo le modalita’ di cui all’articolo 643 c.p., a vergare una disposizione testamentaria, comporta la configurabilita’ nella fattispecie consumata e non tentata del reato di circonvenzione di persona incapace.
Quanto detto, pero’ non esclude la circostanza che il reato di circonvenzione di incapace possa presentarsi come fattispecie unitaria a condotta plurima qualora i momenti dell’induzione e dell’apprensione (che certamente non puo’ essere configurata come un mero post factum non punibile e tantomeno come realizzatrice di un reato autonomo) siano compiuti in tempi diversi.
A riguardo deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, che l’odierno Collegio condivide, secondo la quale “Nella circonvenzione di incapace, reato a condotta plurima, qualora i momenti della “induzione” e della “apprensione” non coincidano, il reato si consuma all’atto della “apprensione”, che produce il materiale conseguimento del profitto ingiusto nel quale si sostanzia il pericolo insito nella “induzione”. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo, in quanto il momento consumativo non si era realizzato con la condotta di induzione ma con la successiva pubblicazione dell’atto e l’accettazione dell’eredita’, fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto) (Sez. 2, n. 20669 del 17/01/2017, M., Rv. 269883).
Ora, trasponendo tali principi sul caso qui in esame, va detto che risulta in maniera non contestata dagli atti che gli imputati a seguito del decesso della (OMISSIS) avvenuto in data 16 aprile 2010 ebbero a chiedere in data 6 luglio 2010 la pubblicazione del testamento de qua.
Orbene, per espressa disposizione di legge (cfr. articolo 620 c.c., comma 5) “avvenuta la pubblicazione il testamento ha esecuzione” e questo e’ indubbiamente un ulteriore effetto dannoso e pregiudizievole per gli eredi della (OMISSIS). In tale ottica, infatti, non si puo’ sostenere sic et simpliciter – come vorrebbe la difesa dei ricorrenti – che la redazione da parte dell’originaria persona offesa di un nuovo testamento ha vanificato la portata del primo in quanto comunque dalla pubblicazione del testamento di cui all’imputazione (e dalle conseguenti attivita’ di trascrizione dei passaggi di proprieta’ sui beni immobili) sono derivati effetti pregiudizievoli per le odierne parti civili sulle quali si e’ riversato l’onere di vanificare tutti gli effetti giuridici che comunque la pubblicazione del predetto testamento e la esecuzione dello stesso che ne e’ conseguita per legge hanno determinato cosi’ estendendo nel tempo quella situazione di pericolo che aveva avuto un primo inizio con l’induzione a vergare il testamento stesso.
Il reato in contestazione risulta quindi consumato fino al 6 luglio 2010 con la conseguenza che non solo al tempo dell’emissione della sentenza di primo grado lo stesso non era prescritto ma non lo era neppure alla data della pronuncia della sentenza in grado di appello.
3. La manifesta infondatezza dei motivi di ricorso impone ex articolo 606 c.p.p., comma 3, la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi degli imputati.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, emergendo ragioni di colpa, della somma ritenuta equa di Euro 2.000,00 (duemila) a titolo di sanzione pecuniaria.
4. Costituisce principio di diritto ormai acquisito che l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione preclude la possibilita’ di rilevare l’estinzione del reato per prescrizione maturata successivamente alla pronuncia della sentenza di appello atteso che l’inammissibilita’ della impugnazione impedisce l’instaurazione di un valido rapporto processuale (Sez. U, n. 21 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
5. Ne discendono, altresi’, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la cui liquidazione, tenuto conto del grado di complessita’ della vicenda processuale, viene operata secondo l’importo in dispositivo meglio enunciato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende nonche’ in solido, alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili Gianmario (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in Euro 4.680,00 oltre spese generali nella misura del 15%, c.p.A. ed I.V.A.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri titoli identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

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