Reato di caporalato

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 7 aprile 2020, n. 11546

Massima estrapolata:

La sola condizione di irregolarità e lo stato di bisogno dell’immigrato non bastano per far scattare il reato di caporalato, caratterizzato invece dallo sfruttamento, dalla soggezione del lavoratore e dalla sottoposizione a condizioni degradanti senza il rispetto di norme di igiene e sicurezza.

Sentenza 7 aprile 2020, n. 11546

Data udienza 18 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Caporalato – Condizione di irregolarità e stato di bisogno dell’immigrato – Integrazione del reato – Insufficienza – Soggezione del lavoratore e sottoposizione a condizioni degradanti senza il rispetto di norme di igiene e sicurezza – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere

Dott. ESPOSITO Aldo – rel. Consigliere

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ANCONA;
C/
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 344/2019 del TRIB. LIBERTA’ DI ANCONA del 29/10/2019;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Esposito;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS) che chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del riesame, ha rigettato l’appello proposto dalla Procura avverso l’ordinanza del 3 ottobre 2019 con cui il G.I.P. del medesimo ufficio ha rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di (OMISSIS), indagato per il reato di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p., articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 2, comma 3, nn. 1 e 4, comma 4, n. 1.
1.1. Il G.I.P. aveva ritenuto l’insussistenza di una grave piattaforma indiziaria sotto il profilo dell’individuazione del numero e dell’identita’ dei soggetti passivi, cioe’ dei lavoratori sfruttati presso cantieri diversi da quello di (OMISSIS) o non identificati. Tale quadro non appariva colmabile attraverso il file excel “(OMISSIS)”, in cui erano elencati i nomi di ventisei lavoratori impiegati presso il cantiere dorico, poiche’ quattro lavoratori, mediante dichiarazioni della cui genuinita’ non era possibile dubitare, avevano affermato di aver sempre ricevuto il compenso dovuto e di non aver riscontrato altre irregolarita’.
1.2. Nell’esaminare i motivi di appello, il Tribunale del riesame ha rilevato che il quadro indiziario era costituito da: intercettazioni telefoniche sulle utenze cellulari in uso al (OMISSIS) e a (OMISSIS), capocantiere presso la (OMISSIS) di (OMISSIS); intercettazioni ambientali delle conversazioni tra presenti tenutesi sull’autovettura in uso al (OMISSIS); dichiarazioni di quattro lavoratori sentiti a sommarie informazioni ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)); fogli firmati in bianco dai dipendenti e contabilita’ occulta dimostrativi delle ore di lavoro effettivamente prestate dagli operai. Dalle intercettazioni emergeva che il (OMISSIS) adottava la prassi di annotare in busta paga un numero di ore inferiore a quelle realmente svolte dai lavoratori, pretendeva la restituzione di vari emolumenti e pagava la cifra tra sei ed otto Euro all’ora.
Secondo il Tribunale del riesame, le violazioni apparivano di rilievo lavoristico e/o amministrativo, ma non integravano gli estremi dello stato di bisogno dei dipendenti, che li avrebbe spinti ad accettare condizioni inique, non essendo sufficiente il riferimento alla nazionalita’ e al bisogno di lavorare. I lavoratori non davano atto di situazioni di costante assillo da parte del (OMISSIS). Non risultava accertata la sussistenza di una condizione di sfruttamento, bensi’ solo di una mera difformita’ tra il trattamento destinato ai lavoratori e le previsioni della contrattazione collettiva.
2. La Procura presso il Tribunale di Ancona ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame per violazione di legge e vizio di motivazione.
Si deduce che il (OMISSIS) aveva elaborato un vasto disegno criminoso mirato a massimizzare i profitti scaturenti da appalti e subappalti di lavori di verniciatura e coiben-tazione assegnati dalla (OMISSIS), ottenuti tramite lo sfruttamento di numerosi lavoratori extracomunitari di provenienza dal (OMISSIS). Egli, unitamente al sodale e prestanome (OMISSIS), in qualita’ di amministratori della (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l., con sede in (OMISSIS), arruolava e gestiva i lavoratori, costringendoli a soggiacere alle seguenti inique condizioni, a pena di licenziamento: a) accettazione di una retribuzione stabilita col sistema della paga globale, pari al mero prodotto della paga oraria riconosciuta al lavoratore (al di fuori dei minimi fissati dai contratti collettivi nazionali) per le ore effettivamente prestate, senza la corresponsione delle ferie, del TFR, del bonus “Renzi” e della maggiorazione per lavoro notturno; b) restituzione della retribuzione eccedente la paga globale; c) imposizione di non beneficiare di congedi per malattia in caso di infortunio; d) condizioni di degrado abitativo dei dipendenti, alloggiati in appartamento di proprieta’ del (OMISSIS), per il quale corrispondevano un canone di locazione.
Evidentemente i lavoratori si rendevano disponibili a restituire parte del danaro loro spettante solo per timore di ritorsioni da parte del (OMISSIS) (es. licenziamento). I trecento lavoratori sfruttati erano arruolati tramite l’utilizzo di plurime societa’ costituite dal (OMISSIS) in (OMISSIS) nel corso degli anni. Alcuni operai alloggiavano in condizioni degradanti nelle abitazioni affittate dal (OMISSIS). Erano identificati i firmatari dei fogli in bianco, attestanti la falsa ricezione di anticipi, liquidazioni, la richiesta di periodi di aspettativa non pagati e la ricezione dei c.d. DPI (dispositivi di protezione individuale), pronti per essere compilati in caso di bisogno. Cio’ dimostrava che il (OMISSIS) disponeva degli operai oltre i limiti del rapporto di lavoro datore – dipendente.
Nei colloqui intercettati il (OMISSIS) raccomandava ai suoi interlocutori di non parlare apertamente delle modalita’ di assunzione dei lavoratori. Dalla documentazione si evincevano le paghe effettivamente erogate e le somme eccedenti la paga globale, che gli operai erano costretti a restituire in contanti al (OMISSIS) e all’ (OMISSIS) (nel mese di settembre 2018, il (OMISSIS) otteneva la restituzione della somma di Euro milleotto-centocinquantasei). Il Tribunale del riesame ha sottovalutato il rinvenimento della somma di Euro quarantamila in contanti presso l’abitazione del (OMISSIS) nonche’ le numerose spedizioni di danaro in (OMISSIS) a fronte degli esigui redditi esibiti dichiarati dal (OMISSIS) e dall’ (OMISSIS). In sede di assunzione, peraltro, gli operai erano costretti a giurare fedelta’ al Corano, dato indicativo del loro stato di sudditanza psicologica nei confronti del boss.
La sussistenza dello stato di bisogno era dimostrata da plurime circostanze: a) l’accettazione da parte degli operai dell’imposizione di non denunciare eventuali infortuni sul lavoro, rinunciando alla copertura sanitaria ed assicurativa legalmente prevista; b) l’esigenza di legittimare la loro permanenza nel territorio dello Stato mediante un rapporto di lavoro subordinato; c) la difficolta’ di comprensione della lingua italiana di molti di loro costituente ostacolo fisiologico all’integrazione e alla ricerca di un posto di lavoro diverso; d) la necessita’ di rinnovare il permesso di soggiorno grazie all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sia pur a condizioni inique, purche’ con contratto regolare utile al rinnovo.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera a), b) e c).
3. Nella memoria difensiva del 10 febbraio 2020 del (OMISSIS) si rileva che la Procura reitera col ricorso le medesime doglianze poste a fondamento dell’appello al provvedimento del G.I.P., pretendendo una revisione degli elementi fattuali. L’ordinanza impugnata conteneva un preciso giudizio ricostruttivo del fatto con apprezzamenti circa l’attendibilita’ delle fonti e la concludenza dei risultati del materiale indiziario, con motivazione esente da errori logici e giuridici.
I quattro lavoratori escussi non davano conto di situazioni di costante assillo determinato da esposizione debitoria o da condizioni familiari e non confermavano di aver restituito retribuzioni. Dalle intercettazioni emergevano solo errori nel conteggio delle ore di lavoro nelle buste paga di uno o di due dipendenti. Il (OMISSIS) aveva locato un appartamento al solo (OMISSIS): l’eventuale subaffitto dell’appartamento a connazionali, per dividere le spese di utenze e di locazione e il conseguente degrado abitativo non potevano essere addebitati al (OMISSIS). Le presunte restituzioni di danaro non erano state dimostrate. Il danaro contante di Euro 41.850, risultante dalla voce “cassa contanti” e rinvenuto nell’abitazione del (OMISSIS), apparteneva alla (OMISSIS) e derivava da plurimi prelievi effettuati nel corso del 2018, per tutelare la societa’ da probabili procedure esecutive e pignoramenti presso terzi. Infine, non ricorrevano le esigenze cautelari indicate dalla Procura ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.
Vanno premesse all’esame delle specifiche doglianze talune considerazioni di ordine generale.
La prima riguarda l’ambito del sindacato di questa Corte sui vizi di motivazione del provvedimento impugnato, rappresentato – nel caso di specie – da una ordinanza in tema di liberta’ personale. Dando ormai per scontata la traduzione della espressione “gravi indizi di colpevolezza” utilizzata dal legislatore nel corpo dell’articolo 273 c.p.p. nel senso di “elementi di conoscenza idonei a far ragionevolmente presumere, allo stato degli atti, la qualificata probabilita’ di condanna” e’ evidente che non puo’ venire in rilievo – in quanto tale – in sede di legittimita’ la violazione della suddetta norma, quanto l’attribuzione di un’effettiva “valenza indiziante” ai singoli elementi oggetto di valutazione, nell’ambito del percorso giustificativo della decisione adottata.
Trattasi dunque di verificare la correttezza dei passaggi argomentativi contenuti nel provvedimento di merito, anche in rapporto ai contenuti della norma incriminatrice di riferimento, nel caso di specie rappresentata dall’articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 2, comma 3, nn. 1 e 4, comma 4, n. 1, secondo i canoni imposti dalla norma di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), su cui v’e’ copiosa elaborazione giurisprudenziale maturata in questa sede di legittimita’. In sede di controllo sulla motivazione va realizzata una verifica circa la completezza e globalita’ della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito – tra l’altro – omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (Sez. 1, n. 39544 del 24/06/2013, Fontana, non massimata; Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011, Molinario, Rv. 250133; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167).
Il giudice di legittimita’ e’ chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti specifici atti del processo. Tale controllo, per sua natura, e’ destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione, sul rispetto delle regole normative di giudizio (tipiche della fase in questione) e sulla permanenza – a fronte delle specifiche deduzioni – della “resistenza logica” del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimita’ resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa (Sez. 6, n. 11194 dell’08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Queste operazioni, d’altronde, trasformerebbero la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalita’ e di capacita’ di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
2. Cio’ posto sui principi operanti in materia, i giudici della cautela hanno evidenziato l’insufficienza del quadro indiziario in ordine ad alcuni elementi del reato di cui agli articoli 81 e 110 c.p. e articolo 603-bis c.p., comma 1, n. 2, comma 3, nn. 1 e 4, comma 4, n. 1: stato di bisogno dei dipendenti; condizione di sfruttamento.
In proposito, nello svolgere tale valutazione, il Tribunale del riesame valorizza:
a) le dichiarazioni di quattro operai sulla regolarita’ del rapporto lavorativo, che non prevedeva la restituzione di somme “in eccedenza” sulla busta paga;
b) la qualificazione della paga ridotta come fattore indicativo di violazioni di norme di natura lavoristica o amministrativa, ma non di carattere penale.
L’ordinanza impugnata, tuttavia, risulta aver trascurato una serie di questioni sollevate dalla Procura ricorrente e ha pretermesso l’analisi dei plurimi elementi indiziari sopra riportati nell’esposizione in fatto (par. 2) e costituenti indice – se dimostrati della sussistenza del reato. Tale coacervo di elementi integra una serie di obiezioni rilevanti in ordine all’asserita insussistenza del quadro indiziario, che incide sulla solidita’ dell’impianto motivazionale.
Si ritiene comunque di richiamare e di riaffermare la giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui la mera condizione di irregolarita’ amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non puo’ di per se’ costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all’articolo 603-bis c.p. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sotto-posizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez. 4, n. 49781 del 09/10/2019, Kuts, Rv. 277424).
Non puo’ che ribadirsi in ogni caso la totale mancanza di risposte da parte dell’organo della cautela alle molteplici censure prospettate dalla Procura ricorrente.
Il Tribunale del riesame ha incentrato la propria analisi solo su alcuni elementi di accusa, per confutarne la loro valenza, senza pero’ svolgere un controllo della complessiva piattaforma indiziaria. In tema di applicazione di misure cautelari personali, la gravita’ degli indizi di colpevolezza postula una considerazione non frazionata ma coordinata degli stessi, che consenta di verificare se la valutazione sinottica di essi sia o meno idonea a sciogliere le eventuali incertezze o ambiguita’ discendenti dall’esame parcellizzato dei singoli elementi di prova, e ad apprezzare quindi la loro effettiva portata dimostrativa e la loro congruenza rispetto al tema di indagine prospettato nel capo di imputazione provvisoria (Sez. 1, n. 39125 del 22/09/2015, Filippone, Rv. 264780).
Peraltro, gli elementi del processo richiamati dalla Procura presso il Tribunale di Ancona per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione risultano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale per cui la loro rappresentazione e’ in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e da determinare al suo interno radicali incompatibilita’, cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516).
Si rende necessaria, pertanto, una pronunzia di annullamento con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale del riesame di Ancona.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Tribunale del riesame di Ancona.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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