Permessi di soggiorno e la valutazione del requisito reddituale

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2827.

La massima estrapolata:

In materia di permessi di soggiorno, la valutazione del requisito reddituale non va rigidamente ancorata al conseguimento, nel pregresso periodo di validità del permesso di soggiorno, di redditi non inferiori alla soglia prevista dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, bensì ad una prognosi comprensiva della capacità reddituale futura, desumibile anche da nuove opportunità di lavoro, se formalmente e tempestivamente documentate.

Sentenza 4 maggio 2020, n. 2827

Data udienza 23 aprile 2020

Tag – parola chiave: Stranieri – Permesso di soggiorno per motivi umanitari – Parere sfavorevole al rinnovo – Insussistenti motivi ostativi al rimpatrio nel paese di origine – Conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato – Diniego – Motivazione – Mancanza di reddito sufficiente o passaporto ordinario in corso di validità – Illegittimità – Non valorizzati nuovi elementi sopraggiunti ex art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6855 del 2019, proposto da Ma. Mu., rappresentato e difeso dall’avvocato Fu. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, Questura Ravenna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma via (…), è ope legis domiciliato;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 00486/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno in cui si incardina, quale organo periferico, la Questura Ravenna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2020 il Cons. Umberto Maiello e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5 del d.l. n. 18/2020 a seguito di camera di consiglio svoltasi in modalità da remoto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il sig. Mu. Ma., cittadino extracomunitario di nazionalità pakistana, con il mezzo qui in rilievo, chiede la riforma della sentenza n. 486/2019, con la quale il T.A.R. per l’Emilia Romagna, Prima sezione, ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento emesso dal Questore di Ravenna nella parte in cui ha negato la conversione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.
Segnatamente, vale qui precisare che la Questura di Ravenna, dopo aver rilasciato al sig. Mu. Ma. il permesso di soggiorno n. I10758265 del 27.05.2016 per motivi umanitari, con scadenza 27.05.2018, respingeva, con decreto del 30.1.2019, la successiva istanza di rinnovo, escludendo altresì la possibilità di una conversione del titolo in argomento in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.
Tale ultima statuizione, per i profili qui in rilievo, riposa sulla mancanza, per il 2018, di un reddito sufficiente ovvero di un passaporto ordinario in corso di validità . Da qui la proposizione del ricorso innanzi al TAR per l’Emilia Romagna Sezione Prima che, però, giusta quanto già sopra anticipato, con la sentenza appellata, n. 00486/2019, veniva respinto.
Segnatamente, il giudice di prime cure, nel respingere la domanda attorea, ha ritenuto, in apice, che la disciplina di settore non consentisse la conversione del titolo di soggiorno e che, comunque, l’odierno appellante non l’avesse esplicitamente chiesta.
Avverso la decisione suddetta l’appellante, con il mezzo qui in rilievo, deduce che:
1) la sentenza sarebbe affetta da vizio di ultrapetizione in quanto la convertibilità o meno del titolo de quo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato non era indicata come circostanza ostativa nel provvedimento impugnato in prime cure;
2) la sentenza sarebbe, comunque, erronea perché la normativa di riferimento (art. 14 comma 1 lett. C) e 3 DPR 394/99, ante riforma attuata con D.L. 113/2018, nonché l’articolo 5 d.lgs 286/1998), contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, consentirebbe tale conversione;
3) l’appellante era in possesso anche per il 2018 di un reddito superiore alle soglie minime dell’assegno sociale nonché di un passaporto in corso di validità : assume, invero, di essere in possesso di passaporto valido rilasciato in data 19.11.2018 con validità fino al 17.11.2028, e tale circostanza era stata evidenziata in sede di memorie difensive ex art. 10 bis L. 241/90.
Resiste in giudizio il Ministero intimato, ancorchè costituito con memoria di stile.
Con ordinanza n. 4861 del 27.9.2019 questa Sezione ha sospeso, all’esito dell’udienza di trattazione dell’istanza cautelare avanzata dall’appellante, l’esecutività della sentenza di primo grado.
Di poi, con decreto n. 184/2019 del 9.10.2019, la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato costituita presso questo Consiglio di Stato ha accolto l’istanza proposta dall’odierno appellante e, per l’effetto, lo ha ammesso in via anticipata e provvisoria, al patrocinio a spese dello Stato relativamente al giudizio qui in rilievo.
Con istanza dell’1.4.2020 il difensore dell’appellante ha chiesto la liquidazione degli onorari spettanti per l’attività svolta.
All’udienza del 23.4.2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
Come anticipato nella narrativa in fatto l’odierno appellante ha fruito di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato dal Questore di Ravenna con scadenza al 27.5.2018.
In data 16 maggio 2018 ha chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno ma la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha espresso, in data 30 Maggio 2018, parere sfavorevole al rinnovo della protezione umanitaria, rilevando che non sussistono motivi ostativi al rimpatrio nel paese di origine.
Da qui il rigetto della richiesta a mezzo del decreto questorile avversato in prime cure che evidenzia, quale ulteriore e distinta circostanza ostativa, che il sig. Ma. Mu. ha percepito redditi inferiori, per l’anno 2018, ai minimi fissati dalla legge, circostanza che, sommata alla mancanza del passaporto ordinario in corso di validità, non consentirebbe di valutare favorevolmente la possibilità un’eventuale conversione del titolo di soggiorno in godimento in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
L’ambito cognitivo del giudizio qui in rilievo, per come definito con il ricorso introduttivo e con la sentenza per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 00486/2019, oggetto del gravame in epigrafe, è giustappunto dato dalla statuizione questorile attinente al diniego di conversione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in permesso di soggiorno per lavoro.
Il giudice di prime cure, a tal riguardo, ha posto a fondamento della propria pronuncia reiettiva la circostanza che la conversione non poteva ritenersi consentita in ragione del disposto dell’art. 14 comma 1 lettera c) e terzo comma del d.p.r. 394/1999, anche nel testo antecedente l’entrata in vigore del d.l. n° 113 del 4 ottobre 2018. Ha, inoltre, rilevato che, ad ogni buon conto, mancava un’esplicita istanza di conversione del pregresso titolo di soggiorno.
Orbene, rileva il Collegio come si rivelino, anzitutto, fondati i motivi di gravame che impingono nella dedotta violazione del disposto di cui all’articolo 112 c.p.c. con conseguente vizio di ultrapetizione della sentenza appellata.
Ed, invero, entrambe le circostanze ostative addotte dal giudice di prime cure come ragione assorbente della qui avversata statuizione di rigetto non sono evincibili dal preambolo del provvedimento questorile di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno che, viceversa, impinge in profili del tutto diversi, rappresentati, nella specie, dal conseguimento di redditi inferiori, per l’anno 2018, ai minimi fissati dalla legge ovvero dalla mancanza del passaporto ordinario in corso di validità .
Anzi, a ben vedere, le divisate argomentazioni, impingendo nel merito della convertibilità del titolo, lascerebbero ipotizzare come l’Autorità procedente abbia implicitamente valutato in senso favorevole sia la procedibilità ex officio della conversione, indipendentemente cioè dalla formalizzazione di un’istanza in tal senso, sia quella della astratta predicabilità sul piano normativo della opzione di conversione qui in rilievo, non avendo altrimenti senso – in mancanza delle suindicate condizioni, di procedibilità e di compatibilità normativa – procedere alla verifica in concreto dei presupposti per fruire della conversione.
Da qui la fondatezza del rilievi censorei veicolati nel mezzo in epigrafe risultando il decisum appellato fondato su rilievi ostativi nuovi e diversi da quelli confluiti nel provvedimento di diniego.
Com’è noto, il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi identificativi dell’azione, cioè il petitum e la causa petendi, attribuendo quindi un bene della vita diverso da quello richiesto ovvero ponendo a fondamento della propria decisione fatti o situazioni estranei alla materia del contendere, salvo il potere di qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale” (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. 19 aprile 2013, n. 7; Sez V, 28 dicembre 2018, n. 7293; Consiglio di Stato sez. V, 14/06/2019, n. 4024).
E ciò vieppiù assume rilievo in ragione del fatto che i rilievi svolti dal primo giudice, sovrapponendosi a quelli effettuati dall’Amministrazione e confluiti nel provvedimento impugnato, nemmeno si rivelano pertinenti.
Ed, invero, ribadito che alcun rilievo di procedibilità è desumibile dal provvedimento impugnato in prime cure, occorre soggiungere che una preclusione in tal senso non poteva certo essere desunta dalla mancanza di esplicita istanza, dal momento che l’articolo 5 comma 9 del d.lgs. 286/1998 consente, in mancanza dei presupposti per il permesso di soggiorno richiesto, il rilascio di altro tipo di permesso previsto dal testo unico sull’immigrazione. Ed è, dunque, verosimile ritenere che, proprio nel solco delle suindicate coordinate normative, si dispieghi l’opzione del Questore di Ravenna di incentrare le sue valutazioni sulla sussistenza, in fatto, dei presupposti per la conversione.
Quanto, poi, all’esegesi del quadro regolatorio di riferimento, nemmeno si rivela condivisibile l’approdo decisorio su cui riposa la decisione in argomento nella parte in cui nega, in maniera recisa, che il permesso per motivi umanitari possa essere convertito in permesso per motivi di lavoro, secondo quanto previsto dall’art.14 comma 1 lettera c) e comma 3 del d.p.r. 394/1999 nella versione vigente al momento della presentazione dell’istanza di rinnovo.
Come efficacemente dedotto dall’appellante, la richiamata disposizione nella sua formulazione rimasta in vigore fino all’emanazione del D.L.113 del 4 ottobre 2018 contemplava espressamente anche il permesso di soggiorno per motivi umanitari all’interno della previsione di cui al comma 1 lettera c) ove così statuiva ” il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare o per ingresso al seguito del lavoratore, per motivi umanitari ovvero per integrazione minore………., consente l’esercizio del lavoro subordinato e del lavoro autonomo alle condizioni di cui alle lettere a) e b)”; ed al comma 3 proseguiva: “Con il rinnovo, è rilasciato un nuovo permesso di soggiorno per l’attività effettivamente svolta.” La lettura sistemica delle due disposizioni rende plausibile la possibilità di svolgimento di attività lavorativa da parte del titolare del permesso di soggiorno per motivi umanitari e conseguentemente la conversione del suddetto titolo di soggiorno in quello per lavoro ove coerente con l’attività effettivamente svolta.
Né rispetto allo specifico procedimento qui in rilievo genera preclusioni la riforma di cui al D.L.113 del 4 ottobre 2018 che, all’articolo 1 commi 8 e 9, introducendo una specifica disciplina intertemporale, fa anzi espressamente salvi i casi di conversione.
Tanto premesso, si rivelano, poi, fondati i motivi di censura già proposti in primo grado e non delibati dal TAR con i quali l’appellante si duole dell’insufficienza delle ragioni di diniego opposte nel provvedimento impugnato alla conversione.
Ed, invero, l’odierno appellante ha dimostrato di essere in possesso di passaporto rilasciato il 19.11.2018 e con scadenza 17.11.2028. Inoltre, quanto alla capacità di reddito, per il 2017 ha dimostrato di aver percepito rediti per un importo di Euro 6.466,13, mentre per il 2018, ha allegato già in sede procedimentale, a seguito della comunicazione del preavviso di rigetto, un contratto a tempo indeterminato con part time orizzontale del 4.9.2018 e assume di percepire un reddito netto mensile di 500,00 euro.
Tale dato non è stato adeguatamente valorizzato dall’Autorità procedente che ha arrestato ogni valutazione al saldo complessivo delle entrate fatte registrare nell’anno 2018. Di contro, la valutazione del requisito reddituale non va rigidamente ancorata al conseguimento, nel pregresso periodo di validità del permesso di soggiorno, di redditi non inferiori alla soglia prevista dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, bensì ad una prognosi comprensiva della capacità reddituale futura, desumibile anche da nuove opportunità di lavoro, se formalmente e tempestivamente documentate (cfr., tra le tante, Cons. Stato, III, nn. 2585/2017; 2335/2018; 1971/2017; 843/2017), come è avvenuto nel caso di specie.
In definitiva, l’Amministrazione non ha tenuto conto delle sopravvenienze maturate, all’esito dell’interlocuzione dialettica seguita alla comunicazione di preavviso di rigetto, prima dell’adozione del provvedimento qui gravato, nonostante l’espressa previsione di cui all’articolo 5 comma 5 del d.lgs 286/1998 che valorizza la circostanza che siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio.
Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso con conseguente riforma della decisione appellata.
Quanto al regime delle spese di giudizio, ferma la conferma del decreto di ammissione dell’appellante al patrocinio a spese dello Stato, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione in ragione della peculiarità della vicenda qui scrutinata.
Il Collegio ritiene, altresì, di pronunziarsi sull’istanza dell’1.4.2020, avanzata dal difensore dell’appellante, di liquidazione degli onorari spettanti per l’attività svolta, giudicandola meritevole di accoglimento nei limiti di seguito evidenziati.
A tal riguardo, occorre, invero, tener conto, da un lato, dell’art. 82 del d.P.R. n. 115/2002, che rimette all’autorità giudiziaria la liquidazione dell’onorario e delle spese al difensore nei limiti dei valori medi delle tariffe professionali vigenti e tenuto conto dell’impegno professionale, e, dall’altro, dell’art. 130, d.P.R. n. 115/2002 che in relazione al patrocinio a spese dello Stato nel processo amministrativo dimezza i compensi spettanti ai difensori.
Nella suddetta prospettiva, ritiene il Collegio che, in relazione alla natura della controversia e all’impegno professionale richiesto, risulti congrua la determinazione della somma spettante all’avvocato istante a titolo di onorari, diritti e spese per il presente giudizio, in complessivi Euro 1500 (millecinquecento/00), oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla l’atto impugnato in primo grado.
2) Compensa le spese di giudizio;
3) liquida, in riscontro all’istanza del patrono dell’appellante, complessivamente la somma di Euro 1500 (millecinquecento/00), oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2020 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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