Rapina impropria ed irrilevanza della modalità spossessamento

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|16 giugno 2021| n. 23779.

Rapina impropria ed irrilevanza della modalità spossessamento.

Presupposto del reato di rapina impropria non è necessariamente un reato di furto seguito da violenza e minaccia, potendo essere costituito da qualsiasi reato che abbia comportato una sottrazione della cosa da parte dell’autore del reato, intesa tale sottrazione come qualsiasi atto in base al quale la cosa sia passata dalla vittima all’autore del reato. (Fattispecie in cui la violenza o minaccia erano state adoperate dall’agente per assicurarsi il profitto di una truffa o di una frode informatica).

Sentenza|16 giugno 2021| n. 23779. Rapina impropria ed irrilevanza della modalità spossessamento

Data udienza 28 aprile 2021

Integrale

Tag – parola: Reato di rapina – Art. 628 c.p. – Rapina impropria – Irrilevanza modalità spossessamento – Necessaria sottrazione, violenza o minaccia – Definizioni
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. COSCIONI Giusep – rel. Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/05/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CIMMINO Alessandro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Rapina impropria ed irrilevanza della modalità spossessamento

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, che aveva confermato la sentenza di condanna di primo grado relativamente alla ritenuta responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato di rapina; secondo il capo di imputazione, che appare opportuno riportare integralmente, (OMISSIS) era imputato “del reato di cui all’articolo 628 c.p., comma 2, perche’, al fine di assicurarsi il possesso delle cose sottratte e/o l’impunita’, adoperava violenza e segnatamente sferrava due pugni alla spalla sinistra, facendola cadere a terra, nei confronti di (OMISSIS), immediatamente dopo aver sottratto dalla macchinetta cambiamonete ubicata nella sala delle slot machine all’interno della tabaccheria “(OMISSIS)” sita in (OMISSIS), della quale la (OMISSIS) era titolare, delle monete che aveva ottenuto introducendo nella suddetta macchinetta delle banconote false da 50 Euro”.
1.1 Al riguardo il difensore lamenta che con l’atto di appello era stata contestata la qualificazione del reato per mancanza di un elemento essenziale, e cioe’ la sottrazione del bene, posto che l’introduzione di cartamoneta palesemente falsa, ma tuttavia in grado di ingannare l’apparecchio che eroga il cambio, non costituiva aggressione diretta al bene, in realta’ conseguito attraverso l’azione mediata di induzione in errore della persona offesa che compie un atto dispositivo del proprio patrimonio tramite l’apparecchio da lei stessa predisposto; la Corte di appello aveva omesso di confrontarsi con l’unico motivo di ricorso, non considerando che il reato di rapina appare concretizzabile nel solo caso in cui la violenza sia stata esercitata al fine di assicurarsi il profitto di un bene ottenuto attraverso un furto; come ritenuto dalla giurisprudenza di merito (il difensore cita Corte di appello Milano sez. III, 26 luglio 2010 n. 2213) l’agente che ottiene la spontanea consegna del denaro mediante artifizi e raggiri e successivamente adoperi violenza al fine di resistere alle richieste della persona offesa, risponde di truffa e violenza privata, ma non di rapina; il caso esaminato dalla giurisprudenza di merito era del tutto sovrapponibile a quello in esame, con l’unica differenza che l’impossessamento delle monete era avvenuto non attraverso una spontanea dazione da parte della persona offesa, quanto piuttosto attraverso l’alterazione del funzionamento di un sistema informatico, che integra la diversa fattispecie disciplinata dall’articolo 640 ter c.p..
Il difensore osserva, inoltre, che il possesso delle monete permane al gestore delle macchinette fino al momento della avvenuta attivazione del meccanismo di erogazione in quanto, una volta attivato tale meccanismo, le monete entrano nella piena disponibilita’ di colui che detto meccanismo ha concretamente attivato: la condotta di impossessamento posta in essere dall’imputato, proprio perche’ avvenuta successivamente alla erogazione delle monete, non puo’ quindi essere definitiva come sottrazione, ma come acquisizione di un bene ottenuto tramite l’alterazione di un sistema informatico.
2. Il Procuratore generale depositava conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Rapina impropria ed irrilevanza della modalità spossessamento

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso e’ infondato.
2.1 Come noto, l’articolo 628 c.p. prevede che “chiunque, per procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, e’ punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da Euro 927 a Euro 2.500. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a se’ o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a se’ o ad altri l’impunita’”
Dalla lettura della norma si ricava che nella rapina impropria non rileva come sia avvenuto lo spossessamento, posto che cio’ che conta e’ che vi sia stata una sottrazione della cosa, seguita dalla violenza o minaccia, per cui non si puo’ condividere l’assunto della difesa secondo il quale presupposto del reato di rapina sia sempre un reato di furto.
Il concetto di sottrazione, infatti, indica l’atto di portare via qualcosa a qualcuno, ma non precisa come tale asportazione debba avvenire; volendo generalizzare, in tutti i reati nei quali e’ previsto un profitto (come la truffa) vi e’ una sottrazione ai danni della vittima, posto che al profitto dell’autore del reato corrisponde il danno subito dalla persona offesa, che perde la disponibilita’ di una res (che puo’ essere denaro o altra cosa mobile) che le viene sottratta.
Sul punto, puo’ essere richiamata la sentenza di questa Corte secondo cui “l’eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di truffa per assicurare a se’ o ad altri la percezione del profitto cui erano destinati gli artifizi e raggiri posti in essere, o comunque per guadagnare l’impunita’, puo’ essere ritenuto logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione della truffa e, se realizzato, comporta la configurabilita’ nei confronti dei concorrenti nolenti del concorso anomalo ex articolo 116 c.p., nel reato di rapina ascrivibile al compartecipe che se ne sia reso materialmente responsabile.” (Sez. 2, Sentenza n. 25915 del 02/03/2018, Bul, Rv. 272944 01); nella motivazione della citata sentenza si e’ osservato che “questa Corte (Sez. 2, sentenze n. 32644 del 18/06/2013, Rv. 256841, e n. 45446 del 06/10/2016, Rv. 268564) e’ ferma nel ritenere che l’eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di furto per assicurare a se’ o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a se’ o ad altri l’impunita’ costituisce logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione del furto. Analoghe considerazioni ben possono valere con riferimento ad altri reati contro il patrimonio, come la truffa, ugualmente caratterizzati – come il furto – da una condotta volta a carpire un bene ad un soggetto, pur se non sottraendoglielo a sua insaputa, come nel furto, ma ottenendone la disponibilita’ in virtu’ della precostituzione artificiosa di una realta’ apparente, della quale il deceptus ha, peraltro, pur sempre possibilita’ di accorgersi, anche nell’immediatezza, svelando l’artifizio od avvedendosi del raggiro.”; da tali osservazioni, pienamente condivisibili, ne deriva che non sempre la rapina presuppone un atto predatorio.
Pertanto, sia che si voglia ritenere che il ricorrente abbia posto in essere una truffa o una frode informatica (articolo 640 ter c.p.) qualora si voglia ritenere che la macchina cambiamonete costituisca un sistema informatico (ma alcuna motivazione vi e’ al riguardo nelle sentenze di merito), si deve ritenere che commetta rapina impropria chi usi violenza o minaccia per assicurarsi il profitto di una truffa o di una frode informatica.
Deve essere, pertanto, enunciata la seguente massima: “presupposto del reato di rapina impropria non e’ necessariamente un reato di furto seguito da violenza e minaccia, potendo essere costituito anche da qualsiasi reato nel quale vi sia stata una sottrazione della cosa da parte dell’autore del reato, intesa tale sottrazione come qualsiasi atto in base al quale la cosa sia passata dalla vittima all’autore del reato”.
3.Alla luce delle superiori considerazioni, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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