Delitto di peculato per appropriazione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|16 giugno 2021| n. 23769.

Integra il delitto di peculato per appropriazione la condotta del liquidatore di una società pubblica che, avendo per ragioni d’ufficio la disponibilità del denaro pubblico, si autoliquidi un compenso per l’attività svolta nonostante la precedente rinuncia allo stesso, effettuata con atto versato nella documentazione sociale, anche se non comunicato formalmente all’assemblea dei soci e al collegio sindacale. (In motivazione la Corte ha precisato che l’atto di rinuncia, indipendentemente dalla sua natura civilistica recettizia o meno, priva di causa l’autoliquidazione, non potendosi più ritenere certo e, quindi, liquidabile il diritto al compenso).

Sentenza|16 giugno 2021| n. 23769. Delitto di peculato per appropriazione

Data udienza 14 aprile 2021

Integrale

Tag – parola: Reato ex art. 314 c.p. – Commissario liquidatore – Compensi – Rinuncia non comunicata – Autoliquidazione – Assenza di causale – Arbitrarietà dell’impossessamento – Integrata condotta tipica del peculato per appropriazione – Elemento soggettivo – Dolo generico

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere

Dott. SALEMME Andrea – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/02/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
Visti gli atti, la sentenza, il ricorso ed i motivi nuovi;
Rilevato che il ricorso e’ trattato (a seguito di rinuncia) con le forme previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Andrea Antonio Salemme;
Letta la requisitoria in data 29 marzo 2021 del Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Troncone Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del primo motivo di ricorso; Lette le conclusioni scritte datate 8.4.2021 e pervenute in Cancelleria via pec il giorno successivo, con cui il difensore dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Delitto di peculato per appropriazione

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) – ritenuto responsabile, dal Tribunale di Messina con sentenza in data 27.3.2017 e dalla Corte d’appello di Messina con sentenza in data 2.12.2012, del delitto di cui all’articolo 314 c.p. per essersi appropriato, quale commissario liquidatore dell'(OMISSIS), della somma di Euro 136.689,48, di cui aveva la disponibilita’ in ragione del suo ufficio, a titolo di compensi per il periodo luglio 2010-agosto 2012, a fronte di un minor credito relativo al solo periodo luglio 2010-dicembre 2010, in quanto, pur avendo rinunziando con comunicazione del 22.10.2010 ai compensi spettantigli, emetteva la fattura n. 1112 del 29.8.2012, a fronte della quale effettuava a favore di se stesso un bonifico bancario per l’importo suddetto – propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 192/2019 reg. sent. emessa in data 14.2.2019 con cui la Corte di Appello di Reggio Calabria, quale giudice di rinvio a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, Sez. 6, con la sentenza n. 1131 del 7 giugno 2018, in riforma della sentenza del Tribunale di Messina del 2.12.2014, rideterminava la pena in anni tre e mesi sei di reclusione.
Il ricorso e’ affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo si denuncia violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), sotto il profilo dell’inosservanza e/o erronea applicazione di norme giuridiche diverse dalla legge penale, da identificarsi negli articoli 1289, 1324, 1334, 1335 e 2364 c.c., di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale medesima.
La sentenza di rinvio, non considerando le norme del codice civile che regolano gli atti unilaterali quali manifestazioni di volonta’, non ha considerato che la rinuncia a compensi e’ da intendersi alla stregua di una rimessione di debito afferente ad un rapporto obbligatorio, come quello del mandato a rappresentare conferito dalla societa’ alla persona fisica, e pertanto ha erroneamente qualificato l’atto di rinunzia al compenso di liquidatore della societa’ compiuto dal (OMISSIS) con comunicazione del 22.12.2010 in guisa di atto unilaterale non recettizio, in forza del quale la mera manifestazione della volonta’ e’ sufficiente a produrre gli effetti, ritenendo dunque integrato il presupposto del contestato delitto di peculato.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La qualificazione in tal guisa della rinunzia viola in particolare l’articolo 1324 c.c., secondo cui, salvo che sia previsto diversamente, devono osservarsi le norme che regolano i contratti per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, tra cui e’ scontato che debba essere ricompresa la rinuncia a compensi. A termini, dunque, del richiamato articolo 1334 c.c., gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati. L’articolo 1335 c.c. prevede poi una presunzione di conoscenza dell’atto allorquando lo stesso giunge all’indirizzo del destinatario, a meno che quest’ultimo non dimostri che per fatto a lui incolpevole non ne ha potuto avere conoscenza. La rinuncia a compensi spettanti in forza di nomina ad una carica sociale ad opera dell’assemblea di una s.p.a. costituisce una rimessione di debito ex articolo 1326 c.c., che, differentemente da quanto ritenuto dal giudice di rinvio, e’ considerato dalla giurisprudenza civile di legittimita’ atto unilaterale recettizio, che si presume accettato dal debitore e produce pertanto i suoi tipici effetti estintivi dal momento in cui la comunicazione perviene a conoscenza della persona alla quale e’ destinata ai sensi dell’articolo 1334 c.c..
Nel caso di specie, in cui destinataria della comunicazione di rinuncia del (OMISSIS) era una persona giuridica, l’organo che avrebbe dovuto avere conoscenza dell’atto, affinche’ esso producesse effetti, era l’assemblea dei soci, che, in quanto organo deliberativo di conferimento del mandato a titolo oneroso, era altresi’ competente ad accettare o rifiutare la remissione ovvero a modificare la precedente delibera che stabiliva l’obbligazione a carico della societa’.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La circostanza della mancata comunicazione dell’atto di rinunzia del (OMISSIS) e, quindi, della non conoscenza dello stesso da parte dell’assemblea risulta dalla medesima sentenza impugnata, laddove, a p. 4, scrive che “la rinunzia ai compensi non veniva comunicata all’assemblea dei soci ed al collegio sindacale(,) che apprendeva l’esistenza del documento solo nel corso della riunione del 19.10.2012 (due anni dopo la data dell’atto) attraverso una nota del nuovo liquidatore della societa’ Ing. (OMISSIS)…”. In applicazione, quindi, degli articoli del Codice Civile richiamati in apertura, deve escludersi, per effetto della mancata comunicazione da parte del rinunciante al destinatario, e comunque del valore, insito nella stessa, di revoca implicita della manifestazione di volonta’ precedentemente espressa, che l’atto pur formato dal (OMISSIS) abbia mai prodotto effetto. A tutto voler concedere, infatti, la rinunzia e’ per sua natura atto unilaterale di manifestazione di volonta’ suscettibile di revoca, anche per facta concludentia, purche’ anteriore al momento di conoscenza, da parte del destinatario, della volonta’ abdicativa della controparte.
Nella specie, da un lato, l’atto di rinunzia del (OMISSIS) non e’ stato inoltrato e non e’ stato portato a conoscenza ne’ dell’assemblea dei soci ne’ del collegio sindacale; dall’altro, in tale situazione di mancata conoscenza della rinuncia, il medesimo ha posto in essere un comportamento esattamente contrario all’atto abdicativo, annotando, nel bilancio di esercizio dell’anno 2011, un atto a sua firma destinato all’approvazione dell’assemblea dei soci e del collegio sindacale, recante i compensi oggetto della rinuncia medesima, oltretutto regolarmente comunicati all’ente di appartenenza (Comune di Messina) ai fini della prescritta pubblicazione sul sito istituzionale.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza e/o contraddittorieta’ e/o illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di peculato.
La Corte di cassazione, valutando la mancata risposta della Corte d’appello alle censure relative all’insussistenza, ai sensi del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 53, dell’incompatibilita’ del ricorrente a ricoprire l’incarico di amministratore della societa’, essendo dipendente del Comune di Messina, ed all’insussistenza, per il principio di onnicomprensivita’ ex Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 24, a percepire i compensi stabiliti dall’assemblea con la nomina di liquidatore, per avere nelle more conseguito la qualifica a tempo determinato di dirigente del Comune, disponeva rinvio, demandando al nuovo giudice di dare risposta ai motivi “non prima di aver previamente valutato la rilevanza della prospettata questione rispetto alla decisione da assumere”.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La sentenza impugnata afferma:
– sull’incompatibilita’, che “si concorda con la difesa nel ritenere che l’incarico di liquidatore nel momento in cui e’ stato conferito all’imputato non comportava l’incompatibilita’ con quello di Dirigente Capo di Gabinetto del Sindaco di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 60 e Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53”;
– sul divieto per onnicomprensivita’, “che anche le statuizioni del Giudice di Appello (conformi a quelle del Giudice di primo grado) relative al divieto operante nei confronti del (OMISSIS) a percepire (il compenso) per le funzioni di liquidatore dell'(OMISSIS) in ragione del principio di omnicomprenslvita’ non appaiono condivisibili”.
Per l’effetto la sentenza impugnata conclude che, “qualora non avesse espressamente rinunciato ai compensi derivanti dalla funzione svolta nella societa’ d’ambito(,) il Ruqqeri avrebbe avuto diritto a percepire la remunerazione per le attivita’ espletate in ragione dell’incarico di liquidatore (OMISSIS) Messina”.
Tuttavia la sentenza impugnata scrive anche che “appaiono dunque sussistere i requisiti oggettivi e soggettivi integrativi della fattispecie incriminatrice contestata al prevenuto (richiamandosi sul punto le motivazioni del Giudice di prime cure e della Corte peloritana) che si e’ appropriato del denaro di cui aveva disponibilita’”.
Orbene, secondo il ricorrente, poiche’ i primi due giudici di merito si erano espressi sulla sussistenza di tali requisiti riconducendoli – quanto all’elemento soggettivo del reato, alla causale e/o alla ragione della rinuncia – ai due divieti per incompatibilita’ ed omnicomprensivita’, cade in contraddizione e comunque omette di adeguatamente pronunciare sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato la Corte d’appello di Reggio Calabria, a misura che dichiara di non condividere il giudizio dei primi due giudici di merito su detti divieti, ma nel contempo richiama la motivazione delle relative pronunce.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, avendo ritenuto l’insussistenza delle ragioni che avrebbero indotto il ricorrente a rinunciare ai compensi, ai fini della pur affermata sussistenza del reato finisce con il valutarne soltanto l’elemento materiale, in quanto – alla stregua di quel che leggesi nella sentenza impugnata – l’atto di rinuncia sarebbe determinativo di un’appropriazione dotata di rilevanza penale per “mancanza di una causale dell’autoliquidazione e quindi arbitrarieta’ dell’impossessamento della relativa somma”.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, quale giudice di rinvio, avrebbe dovuto valutare la sussistenza o meno dei divieti e la rilevanza degli stessi “ai fini del decidere”, mentre invece afferma l’insussistenza degli stessi e riconosce il pieno e legittimo diritto del ricorrente alle somme se costui non vi avesse rinunciato, omettendo pero’ ogni valutazione sugli ulteriori elementi della condotta sotto il profilo soggettivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 47 c.p., comma 1, con riferimento alla carenza dell’elemento soggettivo del reato sotto il profilo della ritenuta piena consapevolezza del ricorrente di appropriarsi di somme che non gli spettavano.
Premette il ricorrente, citando giurisprudenza di legittimita’, che l’elemento soggettivo del peculato, quantunque integrato dal dolo generico, comunque richiede che la materiale condotta appropriativa sia accompagnata dalla certa consapevolezza che il soggetto ha di appropriarsi di somme che non gli spettano.
Nel caso di specie, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo, sarebbe stato necessario che il (OMISSIS) avesse piena consapevolezza di non avere diritto alle somme autoliquidatesi, in quanto oggetto di rinunzia. Tuttavia – osserva il ricorrente – “diverse considerazioni inducono a poter legittimamente ritenere che non puo’ essere affermato che non sussista quanto meno un “ragionevole dubbio” che il ricorrente avesse “certa consapevolezza” che le somme non gli spettassero per effetto della rinuncia”.
Il ricorrente enuncia quindi tali considerazioni:
– in primo luogo, l’atto di rinuncia non indica i compensi deliberati dall’assemblea dei soci che sarebbero oggetto dell’appropriazione, ma i compensi stabiliti dalla Legge Regionale Sicilia 8 aprile 2010, n. 9, articolo 19;
– in secondo luogo, la Corte d’appello di Reggio Calabria valorizza il dictum del giudice civile nella causa promossa contro il (OMISSIS) per il recupero delle somme, secondo il quale la rinuncia doveva intendersi riferita ai compensi deliberati dall’assemblea rivenendosi “adeguata spiegazione nella non cumulabilita’ dei due incarichi”, ma dimentica che Essa medesima, nella motivazione della sentenza impugnata, ritiene l’insussistenza del divieto di cumulabilita’;
– la rinuncia non e’ stata portata a conoscenza degli organi sociali competenti e, prima ancora che essi ne avessero conoscenza, sono stati compiuti inequivoci atti in senso contrario alla volonta’ abdicativa;

 

Delitto di peculato per appropriazione

In tali condizioni, il convincimento del (OMISSIS) di aver rinunciato, non ai compensi deliberati dall’assemblea, ma a quelli, e solo quelli, indicati nell’atto, e di avere diritto alle somme autoliquidate per aver effettivamente svolto la corrispondente attivita’, integra al piu’ un errore di fatto ex articolo 47 c.p., comma 1, che pero’ esclude, con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la certa consapevolezza in capo al medesimo di non poter procedere all’autoliquidazione delle somme oggetti di giudizio.
D’altronde, la mancanza dell’elemento soggettivo del reato e’ evidente ove si pensi che, proprio relativamente alle ragioni giustificative della rinunzia, gli stessi giudici si sono espressi in maniera differente: il giudice civile affermandone la sussistenza, al pari, nel presente procedimento, del primo e del secondo giudice, ma in maniera opposta alla Corte d’appello di Reggio Calabria in sede di rinvio.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all’articolo 62-bis c.p. per manifesta contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata quanto alla denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove giustifica la mancata concessione di tali circostanze sia, in negativo, per la mancanza dei presupposti con riferimento agli elementi di valutazione di cui all’articolo 133 c.p. sia, in positivo, per l’omessa comunicazione all’assemblea, da parte del (OMISSIS), dell’atto di rinuncia in guisa da precostituirsi la possibilita’ di utilizzare “cavilli giuridici” al fine di eventualmente invalidarlo.
Una tale motivazione, secondo il ricorrente, costituisce un vero e proprio travisamento del fatto e comunque e’ illogica e contraddittoria rispetto alla precedente affermazione della medesima Corte d’appello, secondo cui la rinuncia non aveva bisogno di alcuna ratifica da parte dell’assemblea.
Al ricorso fanno seguito motivi nuovi pervenuti via pec il 24.3.2021.
Con il primo dei motivi nuovi ulteriormente si deduce in ordine a quanto gia’ esposto con il primo dei motivi di ricorso in relazione all’eccepita disapplicazione da parte della Corte di Reggio Calabria delle norme civilistiche richiamate.
La motivazione della sentenza impugnata e’ contraddittoria laddove, pur ritenendo, a mente della sentenza rescindente della Corte di cassazione, che il profilo centrale della valutazione in ordine alla responsabilita’ del (OMISSIS) concernesse la rinuncia al compenso di liquidatore, giunge tuttavia alla conclusione dell’ininfluenza del punto cardinale su cui si erano soffermate le motivazioni del Tribunale e della Corte d’appello di Messina.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La questione che avrebbe dovuto affrontare la Corte d’appello di Reggio Calabria e’ l’esistenza o meno di una causale, nel senso che, acclarato che i compensi erano dovuti, era tenuta Essa a stabilire se il diritto a percepirli fosse venuto meno per effetto della rinuncia. Il previo necessario scrutinio di validita’ e di esistenza stessa di una rinuncia propriamente detta le imponeva un inquadramento, anche dal punto di vista del diritto civile, dell’istituto della remissione di debito, invece totalmente omessa. La rinuncia, che, stante la giurisprudenza civile della Corte di cassazione citata in ricorso, deve essere inequivoca, ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio con effetto abdicativo, talche’ esige una formale comunicazione al destinatario, ed e’ revocabile prima che giunga a conoscenza di questi. Nella specie, la rinuncia posta in essere dal (OMISSIS) e’ tutt’altro che inequivoca e per di piu’ non e’ mai stata trasmessa all’assemblea, con la duplice conseguenza che non e’ mai stata accettata dalla societa’ e che il (OMISSIS), in tale situazione di mancata trasmissione all’assemblea, ha posto in essere comportamenti chiaramente concludenti nel senso di voler revocare la propria dichiarazione di rinuncia, altrettanto chiaramente dettata da un’errata valutazione della rinuncia stessa. Invece, inspiegabilmente, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha concentrato l’attenzione soltanto sugli articoli 2364 e 2364-bis c.c., peraltro equivocando la valenza del bilancio.
Con il secondo dei motivi nuovi ulteriormente si deduce in ordine a quanto gia’ esposto con il secondo dei motivi di ricorso in relazione alla mancanza e/o contraddittorieta’ e/o illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell’insussistenza e/o carenza e/o esclusione dell’elemento soggettivo.
La sentenza impugnata perviene alla conclusione che il (OMISSIS), con il proprio atto, avrebbe rinunciato agli emolumenti di liquidatore – determinati dall’assemblea dell'(OMISSIS) – e non gia’ a quelli di commissario liquidatore, sebbene il medesimo avesse fatto esplicito ed inequivocabile riferimento a compensi diversi, ossia a quelli previsti dalla legge regionale con la specifica indicazione della normativa che prevedeva i compensi ai quali intendeva fare rinunzia.

 

Delitto di peculato per appropriazione

In tal guisa, la letteralita’ dell’atto di rinuncia viene pero’ posta nel nulla, mediante una mera ipotesi di errore materiale o di scarsa conoscenza della materia da parte del dichiarante, ipotesi gia’ posta dal giudice civile, che tuttavia, a differenza della Corte d’appello, aveva presupposto che il (OMISSIS) non poteva percepire i compensi stabiliti dall’assemblea per il doppio divieto dell’incompatibilita’ e dell’omnicomprensivita’.
La Corte d’appello cade poi in contraddizione quando afferma che il ricorrente ha formulato la rinuncia nel momento, e a motivo, del conferimento di altro incarico dirigenziale, che avrebbe determinato la presunta ma in realta’ inesistente – e da Essa medesima considerata tale – incompatibilita’, con conseguente illegittima percezione delle somme deliberate dall’assemblea dell'(OMISSIS).
In definitiva, la causa dell’atto di rinuncia e’ venuta meno per aver riconosciuto la stessa Corte d’appello l’insussistenza del doppio divieto per incompatibilita’ ed omnicomprensivita’, ragion per cui, se Essa avesse prestato fede alla letteralita’ dell’atto, lo avrebbe correttamente interpretato come rinuncia esclusivamente alla tipologia di compensi in esso menzionati.
Con il terzo dei motivi nuovi ulteriormente si deduce in ordine a quanto gia’ esposto con il terzo dei motivi di ricorso in relazione alla richiesta esclusione di punibilita’ ex articolo 47 c.p..
Il rilievo della sentenza impugnata che attribuisce al (OMISSIS) scarsa conoscenza della materia e’ mosso solo in suo sfavore e non anche in suo favore: se la Corte d’appello di Reggio Calabria ne avesse tenuto conto anche in questo secondo senso, avrebbe dovuto pervenire al riconoscimento della non punibilita’ ai sensi dei commi o 1 o 3 dell’articolo 47 c.p.. Essa valorizza l’errato riferimento alla normativa e l’intempestivita’ dell’atto di rinunzia poiche’ il ricorrente, al momento della stessa, non era ancora stato nominato commissario liquidatore. Ma allora la circostanza della ancora non intervenuta nomina puo’ far ritenere inefficace la rinuncia, non essendosi verificata la condizione dell’insorgenza della condizione del diritto ai relativi emolumenti, non potendo tuttavia, per mera esclusione di questa condizione, essere ricondotta ad un differente emolumento relativo ad altra carica.
L’errore di riferimento alla normativa rilevato nella sentenza impugnata, ove dovesse essere ritenuto sussistente, andrebbe ricondotto ad un’errata interpretazione di una norma di settore estranea alla norma penale, idonea a porre il (OMISSIS) nella condizione di fatto di ritenere di non avere mai rinunziato – cosi’ com’era nelle proprie intenzioni – agli emolumenti (deliberati dall’assemblea) di liquidatore, e non di commissario liquidatore, della societa’.

 

Delitto di peculato per appropriazione

Pertanto, in conclusione, appare carente l’elemento soggettivo del reato: segnatamente la coscienza e volonta’ della condotta appropriativa di denaro altrui e/o l’arbitrarieta’ dell’impossessamento della somma.
Con requisitoria scritta pervenuta via pec il 29.3.2021, il Procuratore Generale, reputando convincenti le argomentazioni difensive di cui al primo motivo di ricorso, insta per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Con conclusioni scritte datate 8.4.2021 e pervenute via pec il giorno successivo, il difensore dell’imputato, riportandosi al ricorso ed ai motivi nuovi, insiste per l’accoglimento del ricorso stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

In premessa, occorre anzitutto render conto della ricostruzione del fatto storico contestato al (OMISSIS), per la quale puo’ farsi riferimento al riassunto della sentenza del primo giudice contenuto nella parte iniziale della sentenza impugnata, in quanto non contestata.
Leggesi dunque nella parte iniziale della sentenza impugnata che:
– l’imputato, gia’ Presidente del Consiglio di Amministrazione della (OMISSIS) s.p.a. per determina del Sindaco di Messina del 20.12.2008, a seguito della messa in liquidazione della societa’, con verbale di assemblea straordinaria del 29.4.2010, veniva nominato liquidatore a tempo indeterminato, con compenso pari allo stesso emolumento percepito come Presidente del C.D.A.;
– il 21.12.2010 il Sindaco del Comune di Messina gli conferiva l’incarico di dirigente, con decorrenza dal giorno successivo;
– il 22.12.2010, il Sindaco gli conferiva altresi’ l’incarico di dirigente Capo di gabinetto del Sindaco;
– in pari data l’imputato, nella veste di liquidatore dell'(OMISSIS) s.p.a., dichiarava, “in ottemperanza a quanto disposto dalla Legge Regionale 8 aprile 2010, n. 9, articolo 19”, di rinunciare con decorrenza 22.12.2010 al compenso previsto dall’articolo 19 della predetta legge;
– il 29.8.2012, l’imputato emetteva nei confronti della societa’ in liquidazione, la fattura n. 1/2012, per l’importo complessivo di Euro 129.147,26, piu’ accessori di legge, per un totale di Euro 136.684,46, che provvedeva ad autoliquidarsi mediante bonifico bancario eseguito in data 5.9.2012;
– il giorno successivo, l’imputato rassegnava le dimissioni da liquidatore.
Soggiunge la sentenza impugnata “che la rinuncia ai compensi non veniva comunicata all’assemblea dei soci ed al collegio sindacale(,) che apprendeva (del)l’esistenza del documento di rinuncia solo nel corso della riunione del 19.10.2012 attraverso una nota del nuovo liquidatore della societa’, ing. (OMISSIS). Il Collegio sindacale concordava con il nuovo liquidatore di attuare ogni azione necessaria per il recupero integrale dell’importo, informando di tale pagamento ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53 l’ente datore di lavoro. Seguiva la richiesta di restituzione delle somme (…)”: richiesta che ha determinato l’insorgere del contenzioso civile di cui e’ cenno in specie nei motivi nuovi.
Fatta tale ricostruzione della successione degli eventi, occorre determinare il perimetro del devolutum alla Corte d’appello di Reggio Calabria, quale giudice di rinvio, da parte della Sez. 6 di questa Suprema Corte con sentenza n. 1131 resa il 7 giugno 2018.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La Sez. 6 annullava bensi’ con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Messina – di conferma, in punto di dichiarazione di penale responsabilita’ dell’imputato, di quella condannatoria di primo grado – ma limitatamente al terzo motivo di ricorso.
Prima di affrontare tale motivo, e’ necessario rilevare come, invece, la Sez. 6 abbia disatteso l’ultimo motivo di ricorso, volto ad ottenere la riqualificazione giuridica del fatto in abuso d’ufficio c.p., rilevando come “nella fattispecie non si discut(a) di un differente utilizzo delle somme auto-liquidatesi dal (OMISSIS) sulla base di una precisa causale, bensi’ della sostanziale assenza della causale dell’appropriazione, per effetto della rinuncia formalizzata dal (OMISSIS) medesimo, ancorche’ non comunicata agli organi competenti, essendosi peraltro la Corte peloritana – come gia’ in precedenza il Tribunale – soffermata sulla natura non recettizia di tale atto unilaterale”.
Il terzo motivo di ricorso, accolto dalla Sez. 6, investiva dunque – leggesi nella sentenza rescindente – “la sentenza della Corte peloritana “nella parte in cui ha ritenuto che, nel caso in questione, ricorrano le condizioni di applicabilita’ degli articoli 53 e 24 del Testo Unico Pubbl. Imp., incorrendo in una erronea applicazione di norme delle quali si deve tenere conto ai fini dell’applicazione della legge penale”: non sussisterebbe, infatti, la pretesa incompatibilita’ tra l’incarico di liquidatore presso IATO conferito al (OMISSIS) e la sua nomina a Capo di gabinetto presso lo stesso Ente comunale (…) e, comunque, altrettanto erroneo sarebbe il richiamo al principio di onnicomprensivita’ di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 24, che avrebbe determinato il venir meno del diritto di percepire il compenso per le funzioni anzidette di liquidatore, posto che, tutt’al contrario, “l’operativita’ del principio di onnicomprensivita’ presuppone la “compatibilita’” di un ulteriore incarico per il dipendente pubblico” (…)”.
Le ragioni dell’accoglimento sono cosi esposte: “E’ altresi’ fondata la terza doglianza (con conseguente assorbimento della quarta), valutata la dedotta violazione di legge sotto il preliminare profilo della mancata risposta alla censura, gia’ formulata con i motivi d’appello: cio’ cui fara’ luogo il giudice del rinvio, non prima di aver previamente valutato la rilevanza della prospettata questione rispetto alla decisione da assumere” (rammentasi, per completezza, che il quarto motivo di ricorso aveva “ad oggetto la contraddittorieta’ della motivazione, relativamente “alla dedotta sussistenza delle cause di incompatibilita’ ed onnicomprensivita’ che sarebbero il presupposto della affermata responsabilita’ penale per il reato di peculato””).

 

Delitto di peculato per appropriazione

Al giudice del rinvio era dunque demandato il compito, prima ancora di porre rimedio alla ritenuta omessa pronuncia da parte della Corte d’appello di Messina, di valutare la rilevanza in se’ della questione prospettata dalla difesa nel terzo motivo di ricorso.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, correttamente focalizzato il compito demandatole (cfr. in particolo p. 6 ss. della sentenza impugnata), lo ha effettivamente svolto, decidendo che la questione non ha rilevanza ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti del contestato delitto di peculato. La questione – rammentasi ancora brevemente – era in realta’ duplice, riguardando (alla stregua del terzo motivo del primo ricorso per cassazione), da un lato, l’insussistenza dell’incompatibilita’ tra l’incarico di liquidatore della societa’ e la nomina a Capo di gabinetto del Sindaco e, dall’altro, l’inoperativita’ del principio di omnicomprensivita’.
L’affermazione della Corte d’appello circa l’irrilevanza della questione – con cui, in definitiva, il ricorrente omette di confrontarsi sia nel ricorso che nei motivi nuovi – e’ inequivoca.
A p. 12 della sentenza impugnata, la Corte d’appello centra perfettamente “il punto fermo” stabilito dalla sentenza rescindente, scrivendo che, “nell’escludere la sussistenza della diversa fattispecie di cui all’articolo 323 c.p.(,) la Corte di Cassazione (ved. sentenza in atti fol. 5) ha rilevato che(,) nel caso sottoposto a ricorso, non e’ in discussione l’utilizzo delle somme auto-liquidatesi dal (OMISSIS), bensi’ la totale assenza della causale dell’appropriazione della somma in ragione della rinuncia formalizzata dall’imputato ancorche’ non comunicata agli organi competenti, richiamando la natura non recettizia (non posta in discussione dalla Suprema Corte) di tale atto”.
Proseguendo a scandagliare le conseguenze di tale punto fermo, la Corte d’appello, con un incedere logico e consequenziale, osserva che “la totale assenza di causale dell’autoliquidazione, punto nodale ed autosufficiente sul quale si appunta l’esistenza del reato, prescinde quindi totalmente dall’esistenza di cause di incompatibilita’, sulle quali il ricorrente si e’ pure speso(,) o dall’operativita’ del principio di onnicomprensivita’. In tal senso la Corte remittente(,) pur avendo accolto la Ma e la IVa doglianza del ricorrente per mancata risposta alla censura gia’ formulata con i motivi d’appello rinviando al giudice del rinvio, ha rimesso previamente la valutazione della rilevanza della questione rispetto alla decisione da assumere”.

 

Delitto di peculato per appropriazione

Ancora, e definitivamente: “Invero, la violazione di tali criteri avrebbe costituito ulteriore elemento dimostrativo dell’assenza di causale dell’autoliquidazione, ma non avrebbe eliso (- sia consentito di sottolineare -) l’aspetto primario relativo alla assoluta mancanza di causale dell’autoliquidazione e quindi all’arbitrarieta’ dell’impossessamento della relativa somma”.
La Corte d’appello, dunque, coglie in pieno quello che Essa medesima definisce il punto ad un tempo nodale ed autosufficiente su cui fa perno la configurabilita’ del delitto di peculato in contestazione, definitivamente sancita dalla Sez. 6 di questa Suprema Corte in conseguenza del rigetto dell’ultimo motivo di ricorso devolutole: ossia l’aspetto primario – in altri termini priore, rispetto a quello secondario della violazione dei criteri concernenti l’incompatibilita’ e l’omnicomprensivita’ agitati nel terzo motivo del ricorso su cui la Sez. 6 ha pronunciato – dell’assoluta mancanza di causale dell’autoliquidazione, ingenerante la qualifica di arbitrarieta’ dell’impossessamento della somma dall’imputato esposta in fattura ed ordinata di pagamento mediante bonifico.
Il ragionamento della Corte d’appello, per l’incontestata, e comunque pacifica, coerenza rispetto allo sviluppo della vicenda storica siccome dianzi riassunta e per la conducenza dalla premessa (autoliquidazione effettuata dall’imputato dopo aver operato la rinuncia) alle conclusioni (arbitrarieta’ dell’impossessamento della somma), si sottrae alle critiche mosse alla sentenza impugnata sia con i motivi di ricorso che con i motivi nuovi.
Venendo dunque al primo motivo di ricorso ed al primo dei motivi nuovi, recrimina il ricorrente, in particolare nel primo dei motivi nuovi, cui si da’ priorita’ espositiva per ragioni di ordine logico, la contraddittorieta’ della sentenza impugnata per avere bensi’ affermato che il profilo centrale della valutazione in ordine alla responsabilita’ del (OMISSIS) concerne la rinuncia al compenso di liquidatore, pervenendo nondimeno erroneamente alla conclusione dell’irrilevanza del punto cardinale, circa natura ed effetti della rinuncia, su cui pure si erano lungamente intrattenute le sentenze del Tribunale e della Corte d’appello di Messina. In tal guisa, secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe sostanzialmente eluso il compito fondamentale che, anche a termini della sentenza rescindente della Sez. 6 di questa Corte, era tenuta ad assolvere, ossia stabilire l’esistenza o meno di una causale dell’autoliquidazione.
Siffatte censure non hanno consistenza.
Invero, gia’ s’e’ visto come la sentenza impugnata abbia specificamente affrontato e risolto la questione dell’insussistenza di alcuna causale dell’autoliquidazione. Ed in effetti, venendosi qui ad affrontare anche il primo motivo di ricorso, l’autoliquidazione era di per se’, ossia obiettivamente, priva di causale, a motivo della previa rinuncia “formalizzata dal (OMISSIS) medesimo, ancorche’ non comunicata agli organi competenti”, alla stregua di quanto s’e’ visto che la Sez. 6 ha affermato nella sentenza rescindente, a nulla rilevando in contrario – e percio’ in definitiva sancendo – la natura non recettizia dell’atto su cui si erano “soffermati” i giudici peloritani in entrambi i gradi.

 

Delitto di peculato per appropriazione

D’altronde, finanche a prescindere dalla natura civilistica dell’atto di rinuncia come recettizio o meno, con riferimento, dunque, alla necessita’ che esso dovesse venire o meno comunicato all’assemblea della societa’, non v’e’ ombra di dubbio che il (OMISSIS) abbia “formalizzato” (e nuovamente si utilizza un’espressione gia’ utilizzata dalla Sez. 6) una tale rinuncia, non gia’ tenendola presso di se’, senza cioe’ farla uscire dalla propria sfera giuridica, ma versandola comunque nella documentazione sociale, tant’e’ vero che il nuovo liquidatore ne ha avuto contezza e l’ha comunicata con specifica nota al collegio sindacale, il quale per l’effetto ne e’ venuto a conoscenza il 19.10.2012. Una tale rinuncia, proprio in quanto non poteva considerarsi tamquam non esset, di per se’, ossia indipendentemente dal regime civilistico applicabile al relativo atto, toglieva causa all’autoliquidazione cio’ nonostante compiuta dal (OMISSIS), che, da pubblico ufficiale qual era, avendo ovviamente piena consapevolezza della rinuncia in precedenza formalizzata siccome di sua provenienza, non avrebbe potuto superare tale fatto obiettivo comportandosi come se essa non ci fosse o comunque ignorandola.
E’ infatti costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche nella sua massima composizione che il delitto di peculato ha natura plurioffensiva, mirando a tutelare, non solo l’integrita’ patrimoniale della Pubblica Amministrazione, ma anche le caratteristiche proprie, in termini di legalita’, imparzialita’ e buon andamento, del suo operato, ragion per cui il delitto si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della res o del danaro da parte dell’agente, la quale assume rilevanza penale anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, un danno alle casse pubbliche (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190-01, cui adde Sez. 6, n. 29262 del 17/05/2018, C., Rv. 273445-01, e Sez. 6, n. 26476 del 09/06/2010, Rao, Rv. 248004-01).
Quanto precede comporta che il (OMISSIS), anche a misura che, per qualsiasi motivo, avesse ritenuto la rinuncia gia’ formalizzata non ancora produttiva di effetti in quanto non inoltrata – peraltro nientemeno che da lui, il quale invece, secondo la stessa impostazione difensiva, avrebbe dovuto farlo, senza aver reso ragione del non averlo fatto – all’assemblea della societa’ quale preteso effettivo destinatario, ed anche a misura che avesse persino semplicemente mutato avviso rispetto alla rinuncia effettuata tempo addietro, giammai avrebbe potuto arrogarsi, egli solo, il potere di decretare l’invalidita’ ovvero l’inefficacia della rinuncia stessa: cio’ senza considerare che neppure prima o contestualmente all’autoliquidazione ha il (OMISSIS) esplicitato all’assemblea della societa’ l’esistenza della rinuncia ne’, a fortiori, la sua pretesa invalidita’ od inefficacia.
In cio’ si sostanzia l’arbitrarieta’ dell’impossessamento, che integra la condotta tipica del peculato per appropriazione, non potendo l’agente, per il sol fatto di avere la disponibilita’ per ragioni d’ufficio del denaro pubblico, pur qualora opini di vantare un preteso diritto, farsi, in certo qual modo, giustizia da se’.
Quanto precede sottrae linfa all’obiezione difensiva secondo cui e’ la stessa sentenza impugnata a riconoscere che, se non vi avesse rinunciato, il (OMISSIS) avrebbe avuto diritto ai compensi.

 

Delitto di peculato per appropriazione

L’incontrovertibile dato storico e’ tuttavia che il (OMISSIS) ha rinunciato ai compensi: cio’ che e’ sufficiente a togliere causa all’autoliquidazione in quanto, anche ammesso che egli avesse diritto ai compensi, quel suo diritto comunque non sarebbe stato liquidabile per non essere quantomeno certo. E la riprova si ha considerando che esso, al contrario, e’ propriamente controverso, e quindi soggiacente alla necessita’ di un accertamento giudiziale o alternativamente ad un negozio a valenza ricognitiva coinvolgente la societa’, come dimostra il fatto che questa ha esperito un’azione civile di recupero delle somme, peraltro con esito in primo grado favorevole.
Soccorre a questo punto quanto questa Suprema Corte ha recentemente avuto modo di ribadire in tema di appropriazione indebita, circa la sussistenza del reato in caso di “prelievo da parte dell’amministratore di condominio di somme di denaro depositate sui conti correnti dei singoli condomini, dei quali egli abbia piena disponibilita’ per ragioni professionali, con la coscienza e volonta’ di farle proprie a pretesa compensazione con un credito preesistente non certo, ne’ liquido ed esigibile” (Sez. 2, n. 12618 del 13/12/2019 (dep. 2020), Marcoaldi, Rv. 278833-01).
Puo’ un tale insegnamento essere utilmente richiamato anche in questa sede, costituendo l’appropriazione indebita l’ipotesi generica cui ascrivere la condotta, tipizzata sub specie di peculato, dell’agente pubblico.
Del resto, in termini analoghi, sul versante propriamente del peculato, afferma parimenti la giurisprudenza di legittimita’ che integra il reato “la condotta del commissario di una societa’ in amministrazione straordinaria che si liquidi il compenso per l’attivita’ svolta, appropriandosi di somme gestite per ragione del suo ufficio, essendo irrilevante l’esistenza di crediti nei confronti della procedura, in quanto non e’ sufficiente la pretesa sussistenza di un diritto per poterlo esercitare in modi non consentiti dalla legge” (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 1865 del 29/09/2020 (dep. 2021), Sammartano, Rv. 280343-01; similmente, in passato, Sez. 6, n. 5576 del 26/03/1998, Ferri ed altro, Rv. 210483-01, ha statuito che “il commissario liquidatore chiamato a rispondere, nella sua qualita’ di pubblico ufficiale (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 199) del reato di peculato, per essersi appropriato di somme di denaro provenienti dall’attivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa, non puo’ validamente invocare a proprio favore la causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto (articolo 51 c.p.), sull’assunto di essersi soltanto “autoliquidato” degli acconti sul compenso finale a lui dovuto ai sensi del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 213, non avendo egli un diritto soggettivo alla percezione di tali acconti, i quali possono essergli soltanto discrezionalmente accordati dal tribunale, in applicazione analogica del cit. Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 39″).
In ragione di tutto quanto detto sin qui, i motivi in disamina sono infondati. Inammissibili, e comunque infondati, sono il secondo ed il terzo motivo di ricorso e, in parallelo, il secondo ed il terzo dei motivi nuovi.
Tutti i motivi che ne occupano propongono censure che non avrebbero potuto essere spiegate nella fase di giudizio in quanto, per un verso, non devolute alla cognizione di questa Suprema Corte nel primo giudizio di cassazione e, per altro verso, esulanti, ad ogni modo, dal perimetro, dianzi ricostruito, del devolutum al giudice di rinvio da parte della Sez. 6 di questa Suprema Corte nel giudizio rescindente. D’altro canto, la circostanza che la Sez. 6, rigettando l’ultimo motivo di ricorso sottopostole, abbia confermato la qualificazione giuridica del fatto in termini di peculato, anziche’ di abuso d’ufficio, rende ragione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

 

Delitto di peculato per appropriazione

Cio’ nondimeno, anche a volersi intrattenere comunque sulla disamina dei motivi, l’infondatezza degli stessi si ricava dalla considerazione risalente, ma mai revocata in dubbio, secondo cui “l’elemento psicologico del reato di peculato e’ costituito dal dolo generico e cioe’ dalla coscienza e volonta’ di appropriarsi del danaro o della cosa mobile appartenente alla P.A. che il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio possiede per ragioni del proprio ufficio” (Sez. 6, n. 3 del 24/11/1966 (dep. 1967), Gobbi, Rv. 10315-01, la quale tra l’altro ne fa derivare la conseguenza che “l’intenzione di restituire, ancorche’ seguita a breve distanza dall’effettiva restituzione, non esclude il dolo essendosi il reato gia’ perfezionato in tutti i suoi estremi nel momento dell’uso del denaro”; per una piu’ recente affermazione incidentale sulla sufficienza del dolo generico ad integrare il reato, cfr. Sez. 6, n. 17686 del 07/04/2016, Conte, Rv. 267172-01).
La natura generica del dolo – venendo cosi’ piu’ specificamente al terzo motivo di ricorso ed al terzo dei motivi nuovi – comporta che la coscienza e volonta’ abbiano a cadere sulla condotta di appropriazione, escludendo pertanto che possano venire in linea di conto i motivi che abbiano spinto l’agente ad un dato comportamento, relegati, in buona sostanza, al momento antecedente del movente a delinquere.
Con specifico riguardo al caso di specie, poi, la doglianza che la Corte d’appello di Reggio Calabria sarebbe caduta in contraddizione per avere, ad un tempo, ritenuto l’irrilevanza delle questioni concernenti l’incompatibilita’ e l’omnicomprensivita’ e nondimeno escluso, in condivisione delle tesi difensive, l’esistenza di alcun divieto derivante da incompatibilita’ od onnicomprensivita’ e’ destituita di fondamento.
Da un punto di vista di mera esegesi testuale della sentenza impugnata, lo sviluppo che la Corte d’appello dedica alle questioni dell’incompatibilita’ e dell’omnicomprensivita’, nei rispettivi paragrafi di cui alle p. 14 e 15, e’ espressamente fatto precedere da una “riserva” di irrilevanza introduttiva dei entrambi i temi ed e’ altrettanto espressamente fatto seguire una riepilogo conclusivo di loro inconferenza.
Infatti:
– quanto all’incompatibilita’, in principio di paragrafo, a p. 14 si legge: Se pure non risolutivo ai fini dell’accertamento della responsabilita’ del (OMISSIS), si concorda con la difesa nel ritenere che l’incarico di liquidatore nel momento in cui e’ stato conferito all’imputato non comportava l’incompatibilita’ (…)”;
– quanto all’omnicomprensivita’, in principio di paragrafo, a p. 15, si legge: “Pur prive di una ricaduta sulla decisione in oggetto, giova rilevare che anche le statuizioni del giudice d’appello (conformi a quelle del giudice di primo grado) relative al divieto operante nei confronti del (OMISSIS) a percepire compensi per le funzioni di liquidatore dell’ATO in ragione del principio di onnicomprensivita’ non appaiono condivisibili”;
– quanto al riepilogo conclusivo, in principio di un paragrafo a cio’ dedicato, a p. 17, si legge: “Dunque, non appare rilevante lo scopo o la finalita’ che ha indotto il (OMISSIS) a rinunciare all’indennita’ per l’attivita’ di liquidatore cautelandosi con l’atto in discussione, rileva invece esclusivamente l’appropriazione indebita di quelle somme cui il prevenuto aveva rinunciato, convertendole in profitto attraverso l’arbitraria autoliquidazione”.
La Corte d’appello, dunque, nelle parti in cui si sofferma su incompatibilita’ ed omnicomprensivita’ svolge meri obiter dicta, che non entrano nella ratio decidendi, ne’, per vero, avrebbero potuto entrarvi, a misura che l’inquadramento del dolo del peculato come generico relega all’irrilevanza i motivi, e con essi gli scopi, dell’agire.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La Corte d’appello, correttamente, a tale inquadramento del dolo si e’ attenuta – sia per aver chiarito, a monte di tali obiter dicta, come gia’ visto nella trattazione del primo motivo di ricorso e del primo dei motivi nuovi, che la violazione dei criteri su incompatibilita’ ed omnicomprensivita’ avrebbe al piu’ potuto “costituire un ulteriore elemento dimostrativo dell’assenza di causale dell’autoliquidazione”, ma non avrebbe mai potuto, di converso, far venir meno l'”in se'” dell'”assoluta mancanza di causale dell’autoliquidazione” e quindi dell'”arbitrarieta’ dell’impossessamento della relativa somma”;
– sia per aver chiosato, a valle degli stessi, che il (OMISSIS), “facendo ricorso ai poteri derivanti dalla sua carica(,) ha disposto il pagamento delle somme autoliquidandosi il compenso con la coscienza e volonta’ di appropriarsi del denaro appartenente alla medesima societa’”.
A contrastare siffatta limpida conclusione della Corte d’appello non valgono le censure, di cui in specie nel terzo motivo di ricorso e nel terzo dei motivi nuovi, inerenti l’inesatta indicazione nell’atto di rinuncia della Legge Regionale Sicilia 8 aprile 2010, n. 9, articolo 19.
Premesso che anche le censure di cui si tratta non erano devolute a questa Suprema Corte nel primo giudizio per cassazione e comunque non rientrano nel devolutum alla Corte d’appello di Reggio Calabria quale giudice del rinvio, con conseguente preclusione ad essere agitate nella presente sede, ad ogni modo, la medesima Corte d’appello ha ad esse dato congrua risposta, osservando – risolutivamente – che “la formulazione della dichiarazione e l’effetto immediato della rinuncia escludono ogni riferimento ai compensi di commissario liquidatore”, di cui al suddetto articolo 19 L.R.: infatti sarebbe irragionevole ritenere “che il (OMISSIS) avesse voluto dare efficacia immediata ad una volonta’ relativa ad un emolumento (per) una funzione che non era stato chiamato a ricoprire”, dacche’ “qualora (egli) avesse voluto cautelarsi rispetto ad una carica eventuale e futura, non avrebbe fatto decorrere gli effetti da un momento in cui tale attribuzione di funzioni non si era concretizzata e, anzi, allo stato, non era prevedibile in concreto”.

 

Delitto di peculato per appropriazione

La congruente conclusione che la Corte d’appello ne trae – secondo cui “solo per un equivoco (errore materiale o scarsa conoscenza della materia) il ricorrente ha richiamato il testo dell’articolo 19 della Legge Regionale” – non comporta affatto, come pretendesi in ricorso, che si versi in ipotesi di errore ex articolo 47 c.p., commi 1 e/o 3.
Infatti, l’errore rilevato dalla sentenza impugnata riguarda esclusivamente la citazione della norma di legge e non la portata precettiva o disciplinare della stessa, ne’ ha il ricorrente fornito, in limine anche nel presente grado di giudizio, elementi da cui inferire che da un tale errore – comunque, ripetesi, non su legge extrapenale – sia derivato un errore sul fatto che costituisce reato, posto che l’oggetto materiale della rinuncia, in esito alla rigorosa ricostruzione della Corte d’appello, deve individuarsi con certezza, e dunque senza errori, nei compensi maturandi per la carica in quel momento rivestita dal (OMISSIS); ne’ sarebbe corretto – differentemente da quanto sostenuto segnatamente nel terzo dei motivi nuovi – interpretare la rinuncia alla stregua di una rinuncia pro futuro dei (possibili) compensi ex articolo 19 L.R., giacche’, se cosi’ fosse, si tratterebbe di una rinuncia attuale a compensi, pero’, non gia’ solo non maturati, ma che il (OMISSIS) neppure sapeva se avrebbe mai maturato, perche’ non sapeva se avrebbe mai rivestito la carica di commissario liquidatore ex articolo 19 Legge Regionale (e cio’ finanche a prescindere dalla confutazione della versione sostenuta dal (OMISSIS) nell’interrogatorio di garanzia circa la notizia che il Presidente della Regione avrebbe provveduto alla nomina ex articolo 19 Legge Regionale attribuendo la funzione ai liquidatori, cui pure dedica congruo spazio la sentenza impugnata).
Talche’, in definitiva, l’errore di citazione dell’articolo 19 Legge Regionale contenuto nella rinuncia non costituisce errore di interpretazione di norma extrapenale inducente il (OMISSIS) ad aver sbagliato nel ritenere di non aver mai rinunziato ai compensi per l’attivita’ di liquidatore nominato dall’assemblea.
Ne consegue l’inammissibilita’ dei motivi in disamina, oltreche’ per la loro improponibilita’, comunque per la loro manifesta infondatezza.

 

Delitto di peculato per appropriazione

Identicamente e’ a dirsi per il quarto ed ultimo motivo di ricorso, volto a far rilevare la pretesa contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata in punto di mancata concessione, in favore dell’imputato, delle circostanze attenuanti generiche.
Esso e’ improponibile nella presente sede giacche’ nessuna censura consta essere stata previamente mossa alla sentenza della Corte d’appello di Messina impugnata con il ricorso su cui ha pronunciato la Sez. 6 di questa Suprema Corte nella sentenza rescindente, esulando dunque a fortiori dall’ambito del devolutum alla Corte d’appello di Reggio Calabria quale giudice di rinvio. La quale ultima, pertanto, correttamente ha richiamato il giudizio espresso dalla Corte d’appello di Messina, a sua volta adesivo di quello espresso dal Tribunale di Messina, in punto di insussistenza di indici positivamente valutabili ai sensi dell’articolo 133 c.p. in favore dell’imputato e, pur sotto altro profilo, altrettanto correttamente ha fatto riferimento, alla stregua invece di un indice negativamente valutabile, all’annessa comunicazione della rinuncia al (OMISSIS).
Non incorre sul punto la motivazione della sentenza impugnata nella denunciata contraddittorieta’, poiche’ la valutazione dell’omessa comunicazione – di per se’ pacificamente non improntata ai canoni di trasparenza, chiarezza, verificabilita’, correttezza e buona fede che devono improntare l’agere publicum – mira ad evidenziare come un tale comportamento tradisca il “fine” dell’imputato “di utilizzare dei cavilli giuridici ed interpretativi per eventualmente invalidar(e l’atto di rinuncia)”, con cio’, dunque, rendendo conto della precostituzione di una scusa della futura condotta delittuosa effettivamente compiuta.
In definitiva, il ricorso, nel complesso infondato, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

 

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