Qualità di usufruttuario dell’immobile abusivamente realizzato

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 10 giugno 2019, n. 25546.

La massima estrapolata:

In tema di reati edilizi, la mera qualità di usufruttuario dell’immobile abusivamente realizzato non è sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, essendo necessaria, per l’attribuzione al predetto della qualifica di committente o di compartecipe con quest’ultimo nella commissione del reato, la sussistenza di un “quid pluris”, indicativo di tale concorso, desumibile da elementi concreti, come la presentazione della domanda di condono edilizio, la piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, l’interesse specifico a edificare la nuova costruzione, i rapporti di parentela o di affinità con l’autore materiale delle opere, la riscontrata presenza “in loco” e lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi.

Sentenza 10 giugno 2019, n. 25546

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/05/2018 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 maggio 2018, la Corte d’appello di Lecce ha respinto gli appelli proposti dagli odierni ricorrenti e ha confermato la condanna loro inflitta alla pena di due mesi di arresto e 4.000 Euro di ammenda ciascuno per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 1, lettera b), (d’ora in avanti, T.U.E.) per avere realizzato due manufatti in assenza di permesso di costruire.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dei suddetti imputati, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo di ricorso, relativo alla posizione di (OMISSIS), si deduce il vizio di mancanza, contraddittorieta’ ed illogicita’ della motivazione in ordine alla conferma della sua penale responsabilita’, affermata in base al fatto che egli era usufruttuario del terreno ove furono realizzate le opere abusive benche’ sia stato accertato che il committente fu il figlio (OMISSIS). Secondo il ricorrente, allorquando il committente delle opere abusive sia stato individuato, non rileverebbe che vi sia stata o meno compartecipazione dell’usufruttuario alla luce degli elementi nella specie valorizzati dalla Corte d’appello. I due locali abusivi per cui e’ intervenuta condanna, poi, non insisterebbero neppure sul terreno di cui (OMISSIS) e’ usufruttuario.
4. Con il secondo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti, si lamenta violazione degli articoli 157 e 131-bis c.p. sul rilievo, per un verso, che i reati sarebbero prescritti, non essendovi in atti prova della precisa epoca in cui le opere sono state realizzate e, per altro verso, che il fatto era di particolare tenuita’ in relazione alle modeste dimensioni dei manufatti ed alla loro accessorieta’ rispetto al capannone abusivo oggetto di declaratoria di prescrizione gia’ pronunciata in primo grado, essendo illogica la motivazione nella parte in cui afferma che sarebbe indimostrata la loro natura accessoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza e genericita’, avendo la Corte territoriale richiamato e correttamente applicato la giurisprudenza di legittimita’ in materia di affermazione della penale responsabilita’ per reati urbanistici ed edilizi di chi vanti un diritto reale – proprieta’, usufrutto e abitazione – sugli immobili abusivi che siano in (com)proprieta’ dell’autore materiale del reato. Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte – che il Collegio condivide e ribadisce e’ nel senso che, in tema di reati edilizi, la mera qualifica d’usufruttuario dell’immobile abusivamente realizzato e’ insufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilita’ penale per il reato di cui all’articolo 44 T.U.E. in quanto e’ necessario un “quid pluris” che consenta l’attribuzione al medesimo della qualifica di committente ovvero di compartecipe con quest’ultimo nella commissione del reato (Sez. 3, n. 45072 del 24/10/2008, Lavanco e a., Rv. 241789). Ai predetti fini, i criteri che presiedono all’individuazione della corresponsabilita’ dell’usufruttuario non differiscono da quelli che sono stati enucleati con riguardo al comproprietario che non sia committente.
1.1. Al proposito, e’ noto come questa Corte abbia da tempo composto un contrasto di giurisprudenza che aveva al proposito visto contrapporsi due diversi orientamenti. Abbandonata la piu’ risalente tesi che individuava la fonte della responsabilita’ del contitolare di diritto reale di un terreno, che consapevolmente sia rimasto inerte a fronte dell’esecuzione da parte di altro titolare del diritto di una costruzione abusiva, nel disposto di cui all’articolo 40 c.p., comma 1 o comma 2, ricavando anche una posizione di garanzia dall’articolo 42 Cost., comma 2, (cfr., con diversi accenti, Sez. 3, 12/07/1999, Cucci’; Sez 3, 14/07/1999 Mareddu e a.; Sez. 3, 14/10/1999, Di Salvo; Sez. 3, 12/02/2000, Isaia; Sez. 3, 12/11/2002, Bombaci), si e’ successivamente affermato l’orientamento secondo cui il proprietario di un’area su cui viene realizzata una costruzione abusiva (e lo stesso puo’ dirsi per l’usufruttuario), il quale sia rimasto estraneo alla relativa attivita’ edificatoria anche in veste di semplice committente dei lavori, non ha perche’ non impostogli da alcuna norma di legge – l’obbligo giuridico di impedire o di denunciare l’attivita’ illecita di costruzione abusiva da altri su detta area posta in essere (Sez. 3, 16/05/2000, Molinaro e a.). Anzi, si osservava richiamandosi la previsione oggi contenuta nell’articolo 29 T.U.E., che la legge, “pur indicando alcuni soggetti (il titolare della concessione edilizia, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori) che sono tenuti a garantire la conformita’ dell’opera alla concessione edilizia e pertanto sono da ritenere responsabili dell’eventuale costruzione in assenza di concessione, tra essi non include il proprietario del terreno. Or se non v’e’ alcuna norma di legge che impone a carico del proprietario dell’area l’obbligo di impedire la costruzione abusiva, e’ da escludere che un tale soggetto possa rispondere del reato edilizio sol perche’ e’ rimasto inerte dinanzi all’illecito commesso da altri” (Sez. 3, 04/04/1997, Celi; Sez. 3, 09/01/2003, Costa; nello stesso senso, piu’ di recente, Sez. 3, n. 47083 del 22/11/2007, Tartaglia, Rv. 238471; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625).
Quest’impostazione divenuta largamente maggioritaria nella giurisprudenza di legittimita’ – e’ senza dubbio condivisibile, poiche’ l’inerzia di chi non rivesta una posizione di garanzia ai sensi dell’articolo 29 Decreto del Presidente della Repubblica T.U.E. non ha rilievo penale. La vera natura di tale disposizione, di fatti, non e’ quella assegnatale dalla giurisprudenza tradizionale – di individuare i soggetti attivi di un presunto reato proprio che, salvo specifiche ipotesi, tale invece non e’ (v., di recente, Sez. 3, n. 45146 del 08/10/2015, Fiacchino e a., Rv. 265443), bensi’ quella di estendere la responsabilita’ penale delle figure indicate nel caso di omesso, costante, controllo, anche sulla condotta altrui, circa la conformita’ delle opere in corso d’esecuzione ai parametri di legalita’ sostanziale contenuti nel titolo, negli strumenti urbanistici, nelle disposizioni di legge. Tale forma di responsabilita’ non puo’ dunque essere ascritta a soggetti diversi da quelli indicati nell’articolo 29 T.U.E., e non puo’ riguardare il (com)proprietario dell’immobile sul quale si eseguono i lavori abusivi, ovvero l’usufruttuario, che – non rivestendo alcuna delle altre qualita’ indicate nella disposizione – resti del tutto inerte rispetto all’altrui condotta illecita.
1.2. La conclusione, evidentemente, non esclude la possibile responsabilita’ penale del proprietario o dell’usufruttuario che – pur non essendo committente, costruttore o titolare del permesso di costruire (ne’, ovviamente, direttore dei lavori) – ponga in essere qualche contributo, materiale o anche soltanto morale, all’attivita’ di illecita trasformazione del territorio posta in essere direttamente da terzi. Laddove, come nella specie con riguardo al ricorrente (OMISSIS), vi sia con il committente un vincolo di parentela – cio’ che peraltro spesso accade nella pratica – un consolidato orientamento di questa Corte ammette la possibilita’ di utilizzare elementi di prova indiziaria desunti dalla fattispecie concreta per dimostrare la sussistenza della responsabilita’ concorsuale.
Si e’ dunque affermato che in tema di reati edilizi, l’individuazione del comproprietario – ma lo stesso vale per l’usufruttuario – non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio puo’ essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilita’ giuridica e di fatto del suolo, dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinita’ tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest’ultimo in loco e dallo svolgimento di attivita’ di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e a., Rv. 261522; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e a., Rv. 253065). Pena la sostanziale applicazione del ripudiato principio della responsabilita’ formale per il mero possesso della qualita’, si e’ successivamente chiarito che la prova della responsabilita’ in tali casi non puo’ essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilita’ giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto quali quelli piu’ sopra indicati (Sez. 3, n. 38492 del 19/05/2016, Avanato, Rv. 268014).
2. Nel caso di specie, per (OMISSIS) la Corte territoriale ha valorizzato plurimi e concordanti elementi, vale a dire che: egli era usufruttuario del terreno sul quale gli edifici abusivi furono realizzati ed e’ dunque l’utilizzatore finale delle opere secondo le norme civilistiche (la contestazione dell’assunto che si legge al terzo foglio del ricorso, peraltro contraddittoria con quanto in altra parte affermato, e’ del tutto generica e inidonea a dimostrare il travisamento della prova); e’ il padre del committente; viveva nella stesso comune e si recava sul posto durante l’esecuzione delle opere abusive; era stato lui a realizzare abusivamente il corpo di fabbrica principale che e’ stato dichiarato prescritto in primo grado e di cui, secondo l’assunto dei ricorrenti, i due piu’ piccoli manufatti costituivano locali accessori.
Diversamente da quanto si deduce in ricorso, dunque, tali plurimi e convergenti elementi indiziari supportano non illogicamente l’affermazione della corresponsabilita’ quantomeno a livello di concorso morale.
3. Del pari inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza e’ il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di entrambi gli imputati.
3.1. Quanto alla prescrizione, la sentenza impugnata attesta che alla data del 12 febbraio 2014 le opere abusive erano ancora in fase di realizzazione e i ricorrenti non contestano tale accertamento, sicche’ il reato non era certo prescritto alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado.
3.2. Quanto all’esclusione della particolare tenuita’ del fatto, la stessa poggia sul rilievo che erano state realizzate piu’ opere abusive di dimensioni non trascurabili e la pena – non fatta neppure oggetto di contestazione in questa sede – non e’ stata neppure applicata nel minimo edittale, ad ulteriore conferma che il disvalore penale del fatto non puo’ dirsi tenue. Si tratta di una valutazione di merito non manifestamente illogica e quindi non sindacabile in questa sede, essendo peraltro del tutto irrilevante accertare se i due manufatti abusivi oggetto della condanna fossero o meno legati da accessorieta’ rispetto al piu’ ampio capannone parimenti abusivo per cui, gia’ in primo grado, e’ stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per prescrizione, non potendo certo questo essere indice di minor gravita’, deponendo, semmai, per il carattere non occasionale della condotta.
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *