Il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 20 giugno 2019, n. 4251.

La massima estrapolata:

Il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne, a nulla valendo la circostanza dell’avvenuta alienazione dell’immobile in cui il suddetto abuso è stato realizzato ai fini della configurazione di questo tipo di responsabilità.

Sentenza 20 giugno 2019, n. 4251

Data udienza 9 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 739 del 2016, proposto da
Ma. Ci., rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fr. Lo., Mi. Al., con domicilio eletto presso lo studio Mi. Al. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Na. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Mo. Ra. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, 11 giugno 2015 n. 902, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Pi. Fr. Lo. e Na. Pr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 739 del 2016, Ma. Ci. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, 11 giugno 2015 n. 902 con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante contro il Comune di (omissis) per l’annullamento dell’ordinanza n. 5 “Ordinanza di esecuzione delle opere necessarie per conformare l’intervento eseguito sull’immobile posto in via (omissis) alle prescrizioni dei regolamenti edilizi, adottata il 29 gennaio 2013 dal Comune di (omissis), nonché di ogni altro atto connesso o presupposto.
Il giudice di prime cure ricostruiva la vicenda, notando come la questione fosse sorta dal momento in cui il Comune di (omissis) aveva ingiunto alla originaria ricorrente e alla controinteressata nel giudizio, nella qualità di avente causa dalla prima, di realizzare opere idonee a conformare urbanisticamente un immobile attualmente di proprietà della seconda.
L’intervento edilizio dal quale nasce la controversia consisteva nella ristrutturazione di un negozio/magazzino con cambio d’uso (da destinazione commerciale a residenziale). L’intervento, eseguito dalla ricorrente (circostanza pacifica) su un immobile di sua proprietà in seguito trasferito alla controinteressata, era stato oggetto di una denuncia di inizio attività presentata dalla stessa originaria ricorrente il 22 gennaio 2009; nel corso di tale anno l’intervento era stato ultimato, come comunicato al Comune, precisamente nel mese di settembre, e solo successivamente, il 27 novembre 2009, era stato alienato alla controinteressata.
Durante un sopralluogo effettuato dall’Ufficio tecnico e dalla Polizia municipale nel maggio del 2011, a seguito di inconvenienti di natura igienico – sanitaria segnalati dalla nuova proprietaria, si riscontrava che erano state realizzate alcune difformità, in particolare: il locale destinato a servizio igienico era stato realizzato come locale unico (e non diviso in bagno e antibagno) con accesso diretto dall’angolo cottura, in spregio al disposto dell’art. 48 del Regolamento edilizio; inoltre, il sistema di smaltimento dei liquami era stato realizzato in modo difforme dal progetto e con un dislivello tra fossa biologica e piano di calpestio del bagno, nel quale, trattandosi di bagno principale e non aggiuntivo, non è consentita dalla medesima disposizione regolamentare su citata l’utilizzazione di un impianto di “sanitrix”. Da tale situazione derivava una risalita di umidità nel locale bagno con cattivo odore diffuso nell’intera unità immobiliare.
Il Comune avviava innanzitutto un procedimento volto a verificare le condizioni igienico – sanitarie dell’immobile, che si concludeva – dietro parere dell’ASL competente che ne affermava l’antigienicità e il pregiudizio per l’abitabilità – con l’ordine di sgombero dello stesso in quanto inabitabile (provvedimento del 17 gennaio 2012).
Un altro procedimento, di natura sanzionatoria, si concludeva con l’emanazione del provvedimento impugnato, che imponeva il ripristino e ordinava, ai sensi dell’art. 135, comma terzo, l.r. Toscana n. 1 del 2005, la realizzazione di diversi interventi, e ciò sia a carico della precedente proprietaria, sia a carico dell’attuale, la prima delle quali insorgeva davanti al T.A.R., deducendo:
– violazione degli artt. 29 d.P.R. n. 380 del 2001, 131 e 135 della l.r. Toscana n. 1 del 2005 (si sostiene che nel caso di DIA o SCIA il soggetto che era proprietario del bene al momento della realizzazione delle opere ma non lo sia più al momento dell’adozione dei provvedimenti repressivi non sarebbe destinatario delle sanzioni);
– violazione del principio di proporzionalità dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. e con riferimento alla normativa comunitaria e all’art. 1, comma primo, l. n. 241 del 1990, difetto di motivazione e di istruttoria (si sostiene che il fine perseguito dal Comune si sarebbe potuto raggiungere anche mediante ingiunzione di eseguire le opere in questione alla sola proprietaria attuale, anche tenuto conto dei rapporti già conflittuali tra le due interessate, sfociati anche in procedimenti giurisdizionali, con possibile pregiudizio per la finalità che il Comune intendeva perseguire);
– errata ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini del provvedimento (in particolare, mancata considerazione della posizione del progettista Franco Tozzi, il quale aveva dichiarato la conformità dell’immobile all’art. 1 della legge n. 13 del 1989 e al D.M. n. 236 del 1989; responsabilità del direttore dei lavori ai sensi degli artt. 27 T.U.ED. e 131 l.r. Toscana n. 1 del 2005; affidamento degli altri soggetti coinvolti sulla capacità del tecnico);
– errata ricostruzione dei fatti in relazione alla titolarità del diritto di proprietà al momento della realizzazione degli abusi: con tale censura, dedotta in via subordinata, si sostiene che il procedimento sanzionatorio avrebbe dovuto riguardare anche il coniuge comproprietario della ricorrente.
La stessa ricorrente ha chiesto anche il risarcimento del danno per il turbamento che le sarebbe derivato dal coinvolgimento nella vicenda di cui trattasi.
Il Comune di (omissis) si è costituito in resistenza, contestando puntualmente le deduzioni avversarie.
Si è costituita, altresì, la Ravenni in resistenza contestando puntualmente le deduzioni avversarie.
Alla pubblica udienza del 19 maggio 2015 il ricorso è stato discusso e deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando come sia pacifico che tutti i soggetti che hanno contribuito a realizzare un abuso edilizio, soprattutto chi lo ha eseguito, siano tenuti a risponderne. Pertanto, non ravvisava alcuna illegittimità nell’operato del Comune di (omissis) per avere ritenuto responsabile degli abusi di cui trattasi anche la ricorrente, ritenendo discriminante non tanto la passata titolarità del diritto di proprietà sul bene, ma l’indiscusso ruolo della ricorrente di esecutrice e committente delle opere, nonché titolare della denuncia di inizio di attività .
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, con i motivi descritti in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Alla pubblica udienza del 9 maggio 2019, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. Con un unico motivo di diritto, viene dedotta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 131 e 135 l.r. Toscana n. 1 del 2005, artt. 29 d.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 l. n. 241 del 1990 e violazione dei principi di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.), violazione del principio di proporzionalità (ex art. 97 Cost. e art. 1, c. 1, legge n. 241 del 1990, secondo il diritto europeo), omesso rilievo di eccesso di potere per inadeguata istruttoria del provvedimento impugnato e travisamento dei presupposti in fatto e in diritto. Ciò che viene lamentato è l’erroneità della statuizione contenuta nell’impugnata sentenza del TAR Toscana secondo la quale il procedimento conclusosi con l’ordinanza n. 5/2013 del Comune di (omissis) avrebbe natura sanzionatoria e che, in conseguenza di ciò, il TAR adito abbia ritenuto legittimo che anche la precedente proprietaria fosse sanzionata. Al contrario, l’amministrazione comunale non avrebbe dettato alcuna misura sanzionatoria pecuniaria o ordinato alcun ripristino dei luoghi come misura accessoria di sanzioni, essendosi limitata a ordinare talune marginali “opere e modalità esecutive necessarie per conformare alle norme urbanistiche o alle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali”, quindi prescrizioni conformative. In via subordinata, l’appellante, nell’ipotesi in cui il Consiglio di Stato non dovesse accogliere la proposta interpretazione delle norme applicate nella sentenza impugnata, chiede che venga sollevata questione di illegittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 3, 97, 23 e 24 Cost. degli artt. 131 e 135 l.r. Toscana 1 del 2005 e dell’art. 29 d.P.R. 380 del 2001, in relazione alla circostanza che il detto onere demolitorio viene a ricadere in capo ad un soggetto che non detiene materialmente il bene su cui operare.
2.1. La doglianza non ha pregio.
Va in primo luogo rimarcata la perplessità che pone l’introduzione di un elemento di discrimine tra l’attività conformativa e quella ripristinatoria dell’amministrazione, entrambe in tema di demolizione dei manufatti edilizi abusivi, trattandosi invece di due entità che, quand’anche ritenute concettualmente diverse, vengono invece in rilievo giuridicamente in un unico provvedimento, ossia l’ordine di demolizione, e senza alcuna diversità disciplinare (e, in verità, nelle norme di legge dove si trovano indicati le diverse nozioni – ad esempio, nell’art. 134 della l.r. Toscana n. 1 del 2005 – il ripristino dello stato dei luoghi e la modifica degli immobili per renderli conformi agli strumenti urbanistici appaiono gli obiettivi a cui mirano, teleologicamente, la demolizione o la rimozione delle opere abusive, dando evidenza di un mero rapporto di strumentalità ). Il che evidenzia l’inutilità argomentativa della proposta differenziazione, secondo il principio che frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora.
La detta inutilità appare ancora più marcata ove si osserva che, quand’anche questa differenza – giuridica e non concettuale – fosse predicabile, non porterebbe ad alcuna delle conseguenze ipotizzate dall’appellante.
Infatti, sebbene in giurisprudenza possano rinvenirsi affermazioni, più o meno incidentali, sulla natura sanzionatoria dell’ordine di demolizione (da ultimo, Cons. Stato, IV, 22 giugno 2016, n. 2758; Cons. Stato, VI, 6 settembre 2017, n. 4243), è del pari vero che, proprio in relazione alla ricostruzione propugnata dalla difesa appellante, si è affermato che “l’ordine di demolizione – avendo natura ripristinatoria – prescinde dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione” (da ultimo, Cons. Stato, VI, 7 novembre 2018, n. 6285; Cons. Stato, VI, 1 marzo 2018, n. 1263).
Pertanto, anche a voler accedere alla ricostruzione operata dalla difesa appellante, il risultato non cambierebbe, dovendosi dare continuità all’orientamento già espresso dal primo giudice e pacifico in materia, secondo il quale il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne, a nulla valendo la circostanza dell’avvenuta alienazione dell’immobile in cui il suddetto abuso è stato realizzato ai fini della configurazione di questo tipo di responsabilità . Infatti, nel caso di specie, non è la passata titolarità del diritto di proprietà sul bene a venire in rilievo, ma la circostanza che l’appellante sia l’esecutrice e la committente delle opere abusive.
Va quindi ribadita la legittimità dell’operato del Comune di (omissis), che, all’interno dell’ordinanza impugnata e di cui si controverte, ha indicato la precedente proprietaria e ricorrente quale soggetto responsabile dell’abuso e, per questo motivo, obbligato a rimuoverlo.
2.2. Anche la dedotta questione di costituzionalità deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Occorre evidenziare come, nel rapporto teleologico sopra evidenziato, il fine perseguito dalla norma – il ripristino dello stato dei luoghi e la modifica degli immobili per renderli conformi agli strumenti urbanistici – è raggiunto tramite gli interventi imposti dall’autorità amministrativa – la demolizione o la rimozione delle opere abusive – ma senza che questo implichi che l’onere spettante ai soggetti obbligati si limiti unicamente ad una attività reale.
Va infatti evidenziato come le demolizioni implichino in sé lo svolgimento di una pluralità di atti giuridicamente rilevanti, che vanno dalla stipulazione dei negozi di diritto privato con i soggetti tecnici incaricati delle operazioni, all’approntamento delle provviste economiche, alla eventuale richiesta di interventi da parte di altre autorità pubbliche (quale, ad esempio, il pubblico ministero in caso di immobili sottoposti a sequestro, ecc.). Non tutte queste operazioni devono essere ricondotte all’azione esclusiva della proprietà del manufatto da demolire, ben potendo il soggetto non più proprietario concorrere in uno degli altri modi sopra esemplificativamente indicati.
Pertanto, l’esistenza di obblighi solidaristici – che la giurisprudenza ha riconosciuto tramite la possibilità dell’azione di regresso, su cui da ultimo, Cons, Stato, IV, 6 aprile 2016, n. 1378 – ricadenti in capo al soggetto a cui si ascrive la realizzazione dell’abuso edilizio nei confronti di altro soggetto subentrato nella titolarità dell’immobile su cui gravano tali abusi impongono, da un lato, una partecipazione attiva di tutti gli obbligati al conseguimento del risultato giuridicamente utile ed evidenziano, dall’altro, l’esistenza di possibilità concrete di concorso anche da parte del soggetto non proprietario.
Sempre al fine di giustificare la manifesta infondatezza, va ricordato che la Corte Costituzionale, con la sentenza 15 luglio 1991, n. 345, nell’escludere che l’acquisizione gratuita al comune dell’opera, dell’area di sedime e di quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quella abusiva possa operare in danno del proprietario estraneo all’abuso, ha parimenti evidenziato come esista una scissione tra la possibilità di eseguire la demolizione, anche d’ufficio, e la previa acquisizione di proprietà dell’area. E tali argomentazioni, che incidono sui poteri autoritativi dell’amministrazione, ben possono essere riportate nella fattispecie in esame, sottolineando come siano molteplici le opportunità di azione che anche la parte non più proprietaria possa porre in essere per eliminare l’abuso da lei stessa commesso.
La questione di legittimità costituzionale proposta è quindi manifestamente infondata.
3. L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 739 del 2016;
2. Condanna Ma. Ci. a rifondere al Comune di (omissis) le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro. 3.000,00 (euro tremila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere

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