Onere prova simulazione e la posizione del terzo

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|19 maggio 2025| n. 13219.

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

 


La Corte di Cassazione, con la sentenza civile n. 13219 del 19 maggio 2025, ha stabilito un importante principio in materia di simulazione contrattuale, definendo l’onere della prova in capo al terzo che agisce in giudizio.

 

Riassunto della Sentenza

 

La Corte ha chiarito che se un terzo (estraneo all’accordo simulato) propone un’azione di simulazione, basandosi su elementi presuntivi per dimostrare che il contratto di vendita è fittizio, spetta all’acquirente dimostrare l’effettività della transazione. Nello specifico, l’acquirente ha l’onere di provare l’avvenuto pagamento del prezzo.

La sentenza sottolinea che tale prova non può essere assolta semplicemente producendo la dichiarazione relativa al pagamento contenuta nell’atto notarile (il rogito). Questo perché, per il terzo, tale dichiarazione non ha il valore di una confessione, ma è semplicemente una dichiarazione di parte. La presunzione di veridicità contenuta nell’atto notarile vale solo tra le parti contraenti e non nei confronti di un terzo che agisce per far valere un proprio diritto. Pertanto, l’acquirente è tenuto a fornire una prova ulteriore e concreta dell’avvenuto versamento del denaro (ad esempio, tramite bonifici bancari, assegni tracciabili, ecc.).

In sintesi, la sentenza rafforza la posizione del terzo che agisce in simulazione, esentandolo dalla prova di un fatto negativo e ponendo un onere probatorio più stringente sull’acquirente che intende difendersi.

Massima: Ove l’azione di simulazione sia proposta dal terzo rispetto ai contraenti e si fondi su elementi presuntivi, l’acquirente ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo e tale onere non può ritenersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile, in quanto colui che agisce in simulazione è terzo rispetto ai contraenti

Sentenza|19 maggio 2025| n. 13219. Onere prova simulazione e la posizione del terzo

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto – Efficacia del contratto – Simulazione – Compravendita immobiliare – Azione di simulazione proposta dal creditore di uno dei contraenti – Effettivo pagamento del prezzo – Onere della prova a carico dell’acquirente – Condizioni – Dichiarazione di pagamento del prezzo contenuta nel rogito notarile – Inopponibilità al creditore – Fondamento

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. MACCARRONE Tiziana – Consigliere

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere Rel.

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 26631/2020 R.G. proposto da:

Cu.Si., c.f. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Se.Va., dall’avv. Al.Cr. e dall’avv. Vi.An.

– ricorrente –

contro

Cu.Se., c.f. (Omissis), RAPALLINO CLAUDIA MARIA, c.f. (Omissis), rappresentati e difesi dall’avv. Sa.Tr., dall’avv. Fr.Au. e dall’avv. Pa.Zu.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1833/2020 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 15-7-2020;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 8-5-2020 dal consigliere Linalisa Cavallino;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Stefano Pepe, il quale ha chiesto l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione;

sentiti l’avv. Se.Va. per il ricorrente e l’avv. Fr.Au. per i controricorrenti

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

FATTI DI CAUSA

1. Cu.Si. ha convenuto avanti il Tribunale di Milano suo padre Cu.Se. e la moglie del padre Ra.Cl., chiedendo che fosse dichiarata la nullità e l’inefficacia dell’atto di compravendita concluso in data 28-10-2009 con rogito del notaio Se.Lu. di M da Cu.Se. quale alienante, in nome e per conto del figlio Cu.Si. in virtù di procura speciale del 10-1-1992, a favore di Ra.Cl. quale parte acquirente, avente a oggetto la quota di proprietà indivisa pari alla metà di immobile a uso abitativo sito a M in via (Omissis);

l’attore in via principale ha sostenuto che Cu.Se. non aveva i poteri di rappresentanza del figlio, in quanto la procura era estinta per prescrizione o per rinuncia da parte del rappresentante, in via subordinata ha chiesto fosse accertata la nullità della compravendita in quanto dissimulante una donazione, non essendovi prova del pagamento del prezzo, in via ulteriormente subordinata ha chiesto che l’atto fosse annullato per conflitto di interessi o che fosse accertato il grave inadempimento di Ra.Cl. per non avere pagato il prezzo e di conseguenza fosse disposta la risoluzione del contratto o che, in adempimento del contratto, la stessa fosse condannata al pagamento del prezzo di Euro 500.000,00, oltre al risarcimento dei danni.

Si sono costituiti con unica comparsa Cu.Se. e Ra.Cl., chiedendo il rigetto di tutte le domande e deducendo in fatto che l’immobile era di loro proprietà per la metà ciascuno, mentre la quota oggetto della domanda attorea derivava da una intestazione fiduciaria a favore del figlio da parte del padre;

Cu.Se., in ragione della sua attività di amministratore unico di società, non compariva nel primo atto di compravendita di tale immobile, stipulato il 10-1-1992, nel quale compariva invece il figlio Cu.Si., contestualmente rilasciando al padre Cu.Se. una procura speciale relativa all’immobile, che gli conferiva in modo irrevocabile facoltà di disporre del bene anche nel suo interesse;

di seguito, poiché l’attore aveva reso note le sue difficoltà di natura fiscale, con atto stipulato il 28-10-2009 Cu.Se. aveva provveduto a cedere la sua quota di proprietà alla moglie Ra.Cl., nell’esercizio delle facoltà conferitegli con la procura.

In via riconvenzionale i convenuti hanno chiesto, nell’ipotesi di riconoscimento della quota di proprietà in favore dell’attore, la condanna dello stesso a pagare la relativa quota delle spese sostenute da Cu.Se. per ristrutturare l’immobile, nonché la quota di oneri fiscali e condominiali.

Con sentenza n. 8901/2017 depositata il 31-8-2017 il Tribunale di Milano ha rigettato tutte le domande dell’attore.

Avverso la sentenza Cu.Si. ha proposto appello e gli appellati Cu.Se. e Ra.Cl. hanno riproposto la domanda riconvenzionale.

Con sentenza n. 1833/2020 pubblicata il 15-7-2020 la Corte d’Appello di Milano ha integralmente rigettato l’appello, ordinando la cancellazione della domanda e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

La sentenza ha rigettato il primo motivo di appello, escludendo che la procura fosse estinta al momento della conclusione del contratto di compravendita; ha rigettato il secondo e quarto motivo di appello, escludendo sia l’esistenza di conflitto di interessi che determinasse l’annullabilità del contratto, sia l’eccesso del potere di rappresentanza.

Ha rigettato il terzo motivo di appello, dichiarando che non vi era la prova della simulazione del contratto di compravendita.

Ha rigettato il quinto e il sesto motivo relativi alla prova del pagamento del prezzo nella compravendita, in quanto non era sufficiente la quietanza contenuta nel rogito ma potevano essere ammessi, in quanto indispensabili, i documenti b) e c) degli appellati; ha dichiarato che, alla luce di tali documenti, doveva essere rigettato anche il motivo di appello relativo alla risoluzione della compravendita per mancato pagamento del prezzo. Infine ha rigettato il settimo motivo, volto a ottenere il risarcimento del danno, per la genericità della formulazione.

2. Cu.Si. ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi.

Cu.Se. e Ra.Cl. hanno resistito con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del giorno 8-5-2025 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa entrambe le parti.

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è intitolato “con riferimento all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per violazione dell’art. 106, co. 2 e 102, co.1, Cost., occorrendo previo rilievo della questione di costituzionalità degli artt. da 62 a 72 del D.L. 21.6.13 n. 69 conv. in L. 9.8.13, n. 98, nonché per violazione dell’art. 158 c.p.c., la sentenza è nulla perché il collegio giudicante era inammissibilmente composto da un magistrato onorario”;

il ricorrente, rilevando che era componente del collegio giudicante, relatore ed estensore della sentenza giudice ausiliario, evidenzia che la questione di costituzionalità della relativa disciplina è stata sollevata dalla Cassazione con ordinanza n. 32032/2019.

1.1. Il motivo è infondato in quanto, a seguito della sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nel D.L. 21-6-2013 n. 69 conv. con mod. nella legge 9-8-2013 n.98 che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi nelle sezioni delle corti d’appello, le medesime corti potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino alla data del 31-10-2025 fissata per la riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a tale data, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta a evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass. Sez. 6-2 5-11-2021 n. 32065 Rv. 662813-01, Cass. Sez. 1 28-5-2021 n. 15045 Rv. 661401-01).

2. Il secondo motivo è intitolato “con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345, co. 3, c.p.c. come modificato dall’art. 54, co.1, lett.b), D.L. conv. in L. 134/2012, la sentenza è nulla perché ha erroneamente ritenuto ammissibile la documentazione di cui ai documenti ‘lett. b e c fascicolo di appello parte convenuta’, ‘in quanto indispensabile ai fini della decisione, sebbene non prodotta nel giudizio di primo grado’ nonostante il procedimento fosse stato introdotto in primo grado con atto di citazione notificato il 30.10.2014, data successiva alla novella di cui all’art. 54, co.1, lett.b), D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012, la quale ha modificato l’art. 345 c.p.c. sopprimendo la possibilità di ritenere ammissibili prove nuove sul presupposto della loro indispensabilità, sicché il giudice di appello ha erroneamente applicato una disposizione normativa non più vigente e conseguentemente erroneamente ritenuto ammissibile la nuova documentazione prodotta in grado di appello dagli appellati al fine di provare l’asserito pagamento del prezzo della compravendita”.

Il ricorrente evidenzia che fin dal primo grado aveva allegato che il prezzo indicato nella compravendita a favore di Ra.Cl. non era stato pagato, ponendo la circostanza a supporto dell’azione di simulazione della compravendita, dissimulante donazione, e della conseguente azione di accertamento della nullità della donazione; lamenta che la sentenza abbia erroneamente ammesso i documenti b) e c) prodotti dalla controparte in appello al fine di dimostrare il pagamento del prezzo, in quanto la sentenza ha fatto riferimento alla nozione di indispensabilità dei documenti valevole secondo la formulazione dell’art. 345 co. 3 cod. proc. civ. precedente a quella applicabile al giudizio.

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

2.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, esaminando il quinto e sesto motivo di appello relativi all’efficacia probatoria della quietanza di pagamento resa da Cu.Se. nel rogito notarile, ha dichiarato che tale quietanza non era sufficiente ai fini della prova dell’effettivo pagamento del prezzo, ma occorrevano ulteriori riscontri probatori, quali la documentazione bancaria. Ha dichiarato che era ammissibile la documentazione allegata alla comparsa di risposta di cui ai documenti b) e c) in quanto indispensabile ai fini della decisione, seppure non prodotta in primo grado.

In primo luogo, si deve escludere che, con questo contenuto, la sentenza impugnata abbia inteso confermare la sentenza di primo grado in ordine alla prova del pagamento del prezzo della compravendita data dalla quietanza contenuta nel rogito, secondo quanto sostenuto dai controricorrenti. La sentenza, dichiarando che la quietanza nell’atto pubblico non era sufficiente al fine della prova del corrispettivo, ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale, ove l’azione di simulazione sia proposta dal terzo rispetto ai contraenti e si fondi su elementi presuntivi, l’acquirente ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo e tale onere non può ritenersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile, in quanto colui che agisce in simulazione è terzo rispetto ai contraenti (Cass. Sez. 2 4-7-2024 n. 18347 Rv. 671771-01, Cass. Sez. 2-3-2017 n. 5326 Rv. 643061-01, Cass. Sez. 2 22-10-2014 n. 22454 Rv. 632953-01, Cass. Sez. 2 30-5-2005 n. 11372 Rv. 580177-01).

Infatti, è acquisito ed è stato dichiarato dalla stessa sentenza impugnata (pag. 15 in fondo) che il rappresentato, ove agisca in giudizio ai fini della declaratoria della simulazione del negozio concluso dal rappresentante, è terzo rispetto al contratto (Cass. Sez. 3 18-9-2009 n. 2017 Rv. 609685-01; cfr. altresì Cass. Sez. 2 24-4-2008 n. 10743 Rv. 603058-01 e Cass. Sez. 2 8-1-2000 n. 125 Rv. 532740-01, che hanno anche escluso che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza, possano valere, riguardo alla posizione del rappresentato -da considerare terzo- i limiti di impugnativa della confessione).

Inoltre, con il contenuto esposto la pronuncia è incorsa nel vizio lamentato dal ricorrente, in quanto alla causa, iniziata nel 2014, si applica l’art. 345 co. 3 cod. proc. civ. nel testo introdotto dall’art. 54 D.L. 22-6-2012 n. 54 conv. in legge 7-8-2012 n. 134, che pone il divieto assoluto di produzione di nuovi documenti in appello, senza che assuma rilevanza la loro indispensabilità; tale divieto può essere superato solo ove il giudice accerti che non era possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l’indispensabilità del documento ai fini del decidere (Cass. Sez. 1 12-6-2024 n. 16289 Rv. 671542-02, Cass. Sez. 2 24-10-2023 n. 29506 Rv. 669299-03, Cass. Sez. 3 9-11-2017 n. 26522 Rv. 646466-01). Non è alcun modo utile a sostenere la correttezza della decisione impugnata il precedente di Cass. 10142/2016 richiamato dai controricorrenti, che esamina la questione dell’indispensabilità del documento e perciò pronuncia sulla base dell’art. 345 cod. proc. civ. previgente.

Per di più, quel precedente neppure pone un qualche principio favorevole alla tesi dei controricorrenti, perché non afferma che siano producibili in appello i documenti originariamente irrilevanti in quanto tali -e cioè i documenti volti a provare fatti che il giudice di primo grado aveva ritenuto dimostrati da altre prove- secondo quanto sostengono i controricorrenti; il precedente afferma che sono indispensabili e quindi producibili in appello solo i documenti “che attengono a fatti che acquistano rilevanza ai fini della decisione per la prima volta nel giudizio di appello” (pag.6) e, al contrario, nella fattispecie il fatto relativo al pagamento del prezzo era rilevante e oggetto di controversia tra le parti già nel giudizio di primo grado.

Quindi, la Corte d’Appello avrebbe dovuto eseguire la valutazione non in ordine all’indispensabilità dei documenti, ma in ordine al fatto che non ne fosse stata possibile la produzione tempestiva per causa non imputabile alla parte; soltanto a seguito di tale positiva valutazione avrebbe potuto ritenere ammissibile la produzione in appello.

Infatti, è stato enunciato anche il principio secondo il quale non sussiste nel vigente regime processuale un onere della parte, sancito a pena di decadenza, di produrre nel giudizio di primo grado gli eventuali documenti che si siano formati dopo lo spirare del termine assegnato dal giudice per la deduzione dei mezzi istruttori ma prima del passaggio della causa in decisione; ne consegue che i documenti formatisi dopo il maturare delle preclusioni istruttorie vanno annoverati tra i nuovi mezzi di prova, ammissibili anche in grado d’appello, ai sensi dell’art. 345 co. 3 cod. proc. civ., fatta salva per il giudice del gravame la possibilità di applicare in questa ipotesi l’art. 92 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 2 11-3-2022 n. 7977 Rv. 664235-01, Cass. Sez. 1 16-9-2011 n. 18962 Rv. 619630-01).

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

3.Il terzo motivo è intitolato “con riferimento all’art. 360, co. 1, nn.3 e/o 4, c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345, co. 3, c.p.c. come modificato dall’art. 54, co. 1, lett. b), D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012 nonché dell’art. 111 Cost., la sentenza è nulla perché, con motivazione totalmente assente e in violazione del c.d. ‘minimo costituzionale’, ha erroneamente omesso di dichiarare inammissibile la documentazione di cui ai documenti sub docc. A, D ed E prodotti solo in appello dagli appellati”. Con esso il ricorrente evidenzia che con la comparsa di costituzione in appello gli appellati avevano prodotto non solo i documenti b) e c) ritenuti dalla Corte d’Appello ammissibili in quanto indispensabili, ma anche i documenti a), d) ed e), ugualmente finalizzati a provare il pagamento del prezzo; lamenta che tali documenti non siano stati presi in considerazione in alcun modo dalla sentenza impugnata, neppure ai fini della dichiarazione di inammissibilità che era stata chiesta dall’appellante; perciò sostiene che sul punto la sentenza, oltre ad avere violato l’art. 345 co. 3 cod. proc. civ., non rispetti neppure il minimo costituzionale, non avendo fornito alcuna motivazione sul punto.

3.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse sotto un primo profilo e per il resto assorbito dall’accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso.

In primo luogo, la circostanza che la sentenza non abbia in alcun modo fatto riferimento ai documenti a), d) ed e) ha l’unico significato che quei documenti non siano stati utilizzati ai fini della decisione. Ne consegue che non si configura, con riguardo a quei documenti, né una qualche violazione dell’art.345 co.3 cod. proc. civ. né una qualche nullità della motivazione che il ricorrente abbia concreto interesse a fare rilevare. Per il resto, il motivo è assorbito in quanto, evidentemente, nella valutazione di tutti i documenti già prodotti in appello il giudice del rinvio dovrà attenersi ai principi enunciati con l’accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso.

4.Il quarto motivo è intitolato “con riferimento all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 co. 3 c.p.c. nonché del principio di preclusione, la sentenza è nulla perché ha erroneamente ritenuto ammissibili nuove prospettazioni fattuali, concernenti le modalità di preteso pagamento del prezzo della compravendita, formulate dagli appellati solo in grado di appello”; con esso il ricorrente evidenzia che, mentre in primo grado i convenuti avevano fatto riferimento alla quietanza contenuta nell’atto di compravendita impugnato, solo nella comparsa di costituzione in appello avevano modificato la prospettazione dei fatti, sostenendo che il prezzo era stato pagato per Euro 100.000,00 nel 2013 e per Euro 400.000,00 nel 2017, addirittura dopo l’instaurazione del giudizio di appello.

Evidenzia che tale prospettazione in fatto nuova era inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. e del principio di preclusione e quindi lamenta che la sentenza impugnata abbia errato a ritenere la prospettazione ammissibile e a basare sulla stessa l’accertamento del preteso pagamento del prezzo.

4.1. Il motivo è ammissibile, diversamente da quanto rilevato dai controricorrenti, ed è altresì fondato nei termini di seguito esposti.

È già stato enunciato il principio secondo il quale il divieto di nova sancito dall’art. 345 cod. proc. civ. per il giudizio di appello riguarda non solo le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le allegazioni in punto di fatto non eseguite in primo grado; ciò in quanto l’ammissione delle stesse in secondo grado, modificando i temi di indagine, trasformerebbe il giudizio di appello da mera revisio prioris instantiae in iudicium novum, che è modello estraneo all’ordinamento processuale vigente (Cass. Sez. 3 22-3-2022 n. 9211 Rv. 664556-02, Cass. Sez. 3 1-2-2018 n. 2529 Rv. 647921-01).

Nella fattispecie la sentenza impugnata, nel recepire le risultanze dei documenti b) e c) degli appellati al fine di acquisire la prova del pagamento del prezzo della compravendita, non solo avrebbe dovuto verificare se la produzione dei documenti fosse ammissibile ai sensi dell’art. 345 co. 3 cod. proc. civ. nella formulazione attuale; avrebbe dovuto -e non risulta averlo fatto- anche procedere a verificare se, attraverso la produzione di quei documenti, gli appellati si fossero limitati a provare fatti già compresi nei temi di indagine di causa; oppure se, attraverso quella produzione, gli appellati avessero inteso allegare e provare fatti nuovi, diversi e anche incompatibili rispetto a quelli già acquisiti in causa e sulla base dei quali aveva deciso il giudice di primo grado, che modificassero i temi di indagine in termini inammissibili nel giudizio di appello.

In concreto, la sentenza avrebbe dovuto verificare se i pagamenti asseritamente eseguiti nel 2013 e nel 2017 costituissero l’esecuzione degli accordi intercorsi tra le parti del contratto, già oggetto di tempestiva allegazione o comunque risultanti dagli atti tempestivamente acquisiti in causa.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce “con riferimento all’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c., la sentenza è nulla perché ha ingiustamente ritenuto provato il pagamento del prezzo della compravendita sulla base dei documenti sub ‘lett. b e c fascicolo di appello di parte convenuta’ omettendo ogni esame circa i seguenti fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti: (i)il fatto che il preteso pagamento di Euro 100.000 in data 25.2.2013 asseritamente documentato dal doc. ‘C’del fascicolo di appello degli appellati riporta quale causale ‘investimento’ sicché non si tratta di pagamento del prezzo della compravendita ma di altra distinta operazione; (i)il fatto che il preteso pagamento di Euro 400.000 in data 23.11.2017 asseritamente documentato dal doc. ‘B’ del fascicolo di appello degli appellati riguarda un bonifico ivi indicato come ‘da effettuare’ e come ‘pre-autorizzato’, ossia non ancora eseguito; (iii)il fatto che il preteso pagamento di Euro 400.000 in data 23.11.2017 asseritamente documentato dal doc. ‘B’ del fascicolo di appello degli appellati sarebbe stato effettuato nel corso del giudizio di appello e quindi dopo la proposizione di risoluzione contrattuale”.

Il ricorrente lamenta l’omesso esame di una serie di fatti decisivi, riferiti al fatto che il preteso pagamento di Euro 100.000,00 di cui al doc. C riportava quale causale “investimento”, al fatto che il preteso pagamento di Euro 400.000,00 in data 23-11-2017 riguardava un bonifico “da effettuare” e “pre-autorizzato” e quindi non ancora eseguito e, per di più, dopo la proposizione del giudizio di appello; evidenzia come i fatti, oltre che oggetto di discussione, siano decisivi, in quanto dopo la proposizione della domanda di risoluzione è precluso al debitore l’adempimento.

5.1. Il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso, perché il giudice del rinvio dovrà in primo luogo accertare se sussistano i presupposti per ritenere ammissibile la produzione dei documenti b) e c) degli appellati, sia perché era stato impossibile produrre i documenti entro il termine fissato per la produzione documentale in primo grado, sia perché i documenti non fossero finalizzati a dimostrare fatti nuovi ed estranei al tema d’indagine dedotti solo in appello. All’esito di tale indagine, il giudice del rinvio dovrà esaminare la rilevanza probatoria dei documenti.

6. Il sesto motivo è intitolato “con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1453, co. 3, c.c., la sentenza è nulla perché ha erroneamente ritenuto valido ed efficace, ai fini della valutazione circa l’adempimento del contratto di compravendita, un pagamento che sarebbe stato effettuato in data 23.11.2017, ossia in data successiva alla proposizione della domanda di risoluzione, introdotta in primo grado con atto di citazione notificato il 30-10-2014”; con esso il ricorrente specificamente evidenzia che la sentenza ha ritenuto erroneamente efficace un pagamento avvenuto dopo la proposizione della domanda di risoluzione.

7. Il settimo motivo è intitolato “con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3 e/o 4, c.p.c., per violazione dell’art. 2909 c.c. e comunque del giudicato c.d. ‘interno’ formatosi sulla sentenza di primo grado, la sentenza è nulla perché ha erroneamente ritenuto validi ed efficaci nei confronti del signor Cu.Si. dei pretesi pagamenti che sarebbero stati effettuati in data 25.2.2013 e 23.11.2017 dalla debitrice Ra.Cl. al Cu.Se., nonostante la sentenza di primo grado, non impugnata sul punto, avesse affermato che era all’epoca già venuto meno il potere rappresentativo di Cu.Se. nei confronti di Cu.Si., sicché tali pagamenti non avrebbero potuto essere considerati liberatori nei confronti di Cu.Si.”.

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

Il ricorrente evidenzia che la sentenza di primo grado, non impugnata né riformata sul punto, aveva dichiarato che, a fronte della compravendita dell’immobile oggetto della procura, era venuto meno il potere rappresentativo di Cu.Se. nei confronti di Cu.Si.; quindi rileva che i pretesi pagamenti del 25-3-2013 e del 23-11-2017 non potevano neppure avere efficacia liberatoria nei confronti di Cu.Si.

7.1. Sia il sesto che il settimo motivo sono assorbiti dall’accoglimento del secondo e del quarto motivo.

Soltanto nel caso in cui il giudice del rinvio riterrà ammissibile e raggiunta la prova dei pagamenti del prezzo avvenuti nel 2013 e nel 2017 si porrà la questione posta nel motivo, relativa all’efficacia di pagamenti avvenuti dopo la proposizione della domanda di risoluzione del contratto per l’inadempimento consistito nel mancato pagamento del prezzo e dei pagamenti avvenuti dopo la cessazione del rapporto di rappresentanza.

8. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce “con riferimento all’art. 360, co. 1, n.5, c.p.c., la sentenza è nulla perché ha ingiustamente ritenuto non provata la simulazione del contratto di compravendita stipulato tra Ra.Cl. e Cu.Se., quest’ultimo in rappresentanza di Cu.Si., omettendo ogni esame circa il fatto -decisivo e oggetto di discussione tra le parti- che gli stessi Cu.Se. e Ra.Cl. hanno allegato in giudizio di aver tra loro pattuito di intendere realizzare un diverso negozio, addirittura producendo in giudizio quella che, a loro stesso dire, sarebbe stata la controdichiarazione”.

Evidenzia che l’atto di compravendita tra Cu.Se. e Ra.Cl. conteneva quietanza titolata, con la specifica indicazione degli assegni asseritamente utilizzati per il pagamento del prezzo e che già nell’atto di citazione l’attore aveva dedotto che il prezzo non era stato pagato; rileva che nella prima memoria istruttoria i convenuti avevano formulato capitolo di prova, con il quale avevano dedotto che, in via alternativa al pagamento del prezzo con gli assegni, le parti avevano pattuito la cessione del 50% di immobile di proprietà di Ra.Cl. sito a G, alle condizioni di cui alla scrittura stipulata il 28-7-2009;

rileva che in questo modo i convenuti avevano sostenuto l’esistenza di una controdichiarazione e che nella seconda memoria istruttoria i convenuti avevano completato la modifica della prospettazione in fatto, affermando che gli assegni non erano stati riscossi in forza del diverso accordo. Aggiunge che in primo grado i convenuti avevano giustificato tale condotta in ragione dell’intestazione fiduciaria della quota dell’immobile oggetto della compravendita in capo a Cu.Si., ma tale prospettazione era stata espressamente dichiarata infondata dalla sentenza di primo grado, senza proposizione di appello incidentale, e perciò era passata in giudicato. Quindi sostiene che, in forza della controdichiarazione, risulti dimostrato che il negozio dissimulato dalla compravendita tra il procuratore Cu.Se. e Ra.Cl. era una compravendita tra Cu.Se. in proprio e Ra.Cl.

9. Con il nono motivo il ricorrente deduce “con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., la sentenza è nulla perché ha ingiustamente ritenuto non provata la simulazione del contratto di compravendita stipulato tra Ra.Cl. e Cu.Se., quest’ultimo in rappresentanza di Cu.Si., dissimulante una liberalità, omettendo ogni esame circa i seguenti fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti: (i)il fatto che il prezzo non sia stato pagato; (ii)il fatto che in sede notarile gli intimati abbiano rilasciato false dichiarazioni in merito all’avvenuto pagamento del prezzo; (iii)il fatto che gli intimati abbiano tentato di far apparire pagato il prezzo tramite pagamenti asseritamente effettuati ad anni di distanza dalla compravendita e addirittura successivamente all’instaurazione del giudizio di appello;

(iv)il fatto che successivamente alla stipulazione della compravendita gli intimati non abbiano informato il ricorrente, nonostante il procuratore Cu.Se. avesse l’espresso dovere di rendiconto; (v)il fatto di aver indicato nell’atto di compravendita un prezzo di gran lunga inferiore al valore di mercato”.

Lamenta che, nonostante la sentenza impugnata abbia esattamente ritenuto che il rappresentato che agiva nei confronti del rappresentante era terzo ai fini della prova della simulazione, abbia poi considerato solo due delle circostanze addotte dall’attore, riferite al rapporto di coniugio tra le parti della compravendita e al mancato coinvolgimento del rappresentato nel negozio, sebbene egli ne avesse addotte molte altre; quindi lamenta il relativo omesso esame dei fatti decisivi, riferiti al mancato pagamento del prezzo, alle false attestazioni sul pagamento del prezzo eseguite nel rogito, al tentativo di fare apparire pagato il prezzo tramite pagamenti avvenuti a distanza di anni, al fatto che il rappresentato non era stato informato della compravendita nonostante il rappresentante avesse l’obbligo di rendiconto, al fatto di avere indicato nella compravendita un prezzo di gran lunga inferiore rispetto al valore del bene. Quindi sostiene anche che il mancato accertamento della simulazione sia frutto di ragionamento presuntivo eseguito in violazione dell’art. 2729 cod. civ.

9.1. Il nono motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del secondo e del quarto motivo. Infatti, il ricorrente indica quale elemento non esaminato al fine di ritenere la simulazione della compravendita dissimulante donazione il fatto che il prezzo dichiarato nel rogito non era stato pagato. Effettivamente la sentenza ha statuito, con pronuncia non censurata e che rimane ferma, che la quietanza rilasciata nel rogito non era sufficiente a dimostrare il pagamento del prezzo, ma poi ha ritenuto raggiunta la prova dell’avvenuto pagamento del prezzo in base ai documenti b) e c) degli appellati; l’accoglimento dei motivi di ricorso sul punto impongono nuovo accertamento sul pagamento del prezzo, prima di procedere a esaminare nuovamente la domanda di simulazione, non solo sulla base delle risultanze dell’accertamento sul pagamento del prezzo, ma anche di tutti gli elementi che il ricorrente lamenta non siano stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata.

Ne consegue che è assorbito anche l’ottavo motivo, in quanto nel momento in cui procederà a esaminare nuovamente la domanda di accertamento della simulazione il giudice del rinvio valuterà nuovamente anche la questione dell’esistenza di una controdichiarazione tra i contraenti.

10. Con il decimo motivo il ricorrente deduce “con riferimento all’art. 360, co.1, n.3, c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., la sentenza è nulla perché ha erroneamente ritenuto idonea a escludere il conflitto di interessi del rappresentante nel contrarre con sua moglie la formula ‘nell’interesse anche del procuratore’ contenuta nella procura, ancorché la stessa fosse mancante della determinazione degli elementi negoziali sufficiente ad assicurare la tutela del rappresentato e in particolare fosse mancante dell’indicazione del prezzo della compravendita”; lamenta che la sentenza impugnata, confermando la sentenza di primo grado, abbia rigettato la domanda di annullamento della compravendita ex art. 1394 cod. civ., escludendo il conflitto di interessi del rappresentante che ha concluso il contratto con il suo coniuge solo in ragione della generica dichiarazione del rilascio della procura “nell’interesse anche del procuratore”; sostiene che, al contrario, sarebbe stata necessaria la determinazione del contenuto del contratto anche in presenza di autorizzazione al rappresentante di agire nel proprio interesse.

Onere prova simulazione e la posizione del terzo

10.1. Il motivo è infondato.

La sentenza ha dichiaratamente fatto applicazione del principio secondo il quale, in tema di conflitto di interessi, la predeterminazione del contenuto del contratto e la specifica autorizzazione del rappresentato sono elementi richiesti unicamente dall’art. 1395 cod. civ. per la validità del contratto che il rappresentante conclude con sé stesso; si tratta di cautele poste in via alternativa dal legislatore per superare la presunzione legale circa l’esistenza connaturale, in tale caso, del conflitto medesimo, attesa l’identità tra la persona del rappresentante e l’altro contraente; tali cautele non rilevano ai fini dell’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato ex art. 1394 cod. civ. (così Cass. Sez. 2 31-1-2017 n. 2529 Rv. 642808-03, nello stesso Cass. Sez. 2 8-4-2022 n. 11439 Rv. 664383-01).

Del resto, il rapporto di coniugio è soltanto un indizio che, in concorso con altri elementi, consente al giudice di merito di ritenere sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo sia la conoscenza della situazione da parte del terzo (Cass. Sez. 3 5-5-2003 n. 6755 Rv. 562593-01); la sussistenza del conflitto va verificata in concreto dal giudice (Cass. Sez. 1 10-1-2017 n. 271 Rv. 643245-01) e sussiste qualora il rappresentante sia portatore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato (Cass. Sez. L 18-7-2007 n. 15981 Rv. 598389-01).

Nella fattispecie il ricorrente non specifica nel motivo in quali termini avesse sostenuto l’esistenza degli elementi del conflitto di interessi, in via ulteriore rispetto all’esistenza del rapporto di coniugio e alla mancanza della predeterminazione del contenuto del negozio, per cui sotto questo profilo il motivo è anche inammissibile per carenza di specificità ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ.

11. In conclusione, sono accolti per le ragioni esposte il secondo e il quarto motivo; in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata è cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che deciderà facendo applicazione dei principi esposti e attenendosi a quanto sopra ritenuto, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il decimo motivo, rigetta parzialmente il terzo motivo, per il resto assorbito, interamente assorbiti il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 8 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2025.

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